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Piccoli comuni in una nuova realtà

Quale via per una aggregazione dei piccoli comuni? Apriamo una discussione e confronto su questo tema

  25/11/2020

Di Silvano Bonali

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L'amore e l'attaccamento alle nostre radici trova il proprio fondamento nella nostra storia con l'affermarsi delle realtà comunali e dove la patria era il comune.

Nel successivo passaggio alle città stato la città è diventata la patria e questo ha affievolito le rivalità comunali ma non ha sradicato completamente il senso di appartenenza al proprio comune, sentimento che è sopravvissuto, seppur ulteriormente addolcito dal passar del tempo, albergando in noi come un marchio culturale.

Oggi sopravvive esprimendosi come “campanilismo” e accompagna il nostro vivere quotidiano e purtroppo a volte raggiunge livelli eccessivi e al di la di ogni ragionevolezza.

Ogni paese ha il proprio “storico”, il proprio cantore delle bellezze e delle qualità del comune, decanta il piccolo centro storico, il palazzo antico, i cittadini illustri che vi sono nati o vi hanno vissuto ecc. ecc..

Per fortuna la emergente generazione digitale e dell'Erasmus ha portato ad un ulteriormente affievolimento del campanilismo “esagerato” senza per questo voler negare che i nostri giovani continuano giustamente a nutrire affetto e orgoglio per il proprio paese o città.

Non siamo particolari ammiratori dei cosiddetti cittadini del mondo, di questo mondo globalizzato.

Le esperienze delle persone e nuclei familiari che hanno vissuto quassi sempre per motivi di lavoro in tanti posti diversi, città diverse e stati diversi non sono particolarmente entusiasmanti; appena superato l'aspetto fascinoso del loro girare il mondo capisci che sentono la mancanza delle loro vere radici e che un poco ci invidiano per il nostro senso di appartenenza e ancoraggio a luoghi fisici definiti.

Coltivare e mantenere un legame con le proprie radici è senz'altro da preservare perché favorisce l'equilibrio emotivo personale e aiuta a sfuggire alla omologazione e dalla spersonalizzazione dilagante: una sano e meditato campanilismo dobbiamo dunque coltivarlo.

Questo buon sentimento però non può essere la barriera contro ogni adeguamento alla realtà e necessità attuali e non deve obnubilarci e portarci a contrastare la modernizzazione delle nostre strutture amministrative.

La industrializzazione sviluppatasi tumultuosamente a partire dagli anni '50 e la meccanizzazione in agricoltura hanno causato e accelerato il fenomeno di urbanizzazione ingrossando a dismisura le città e i comuni loro limitrofi. Conseguenza ovvia di questo fenomeno migratorio causato da necessità lavorative è stata il depauperarsi della popolazione delle zone agricole e montane causando lo svuotamento dei comuni che sono diventati piccoli, troppo piccoli e che purtroppo, salvo rari casi, diventeranno sempre più piccoli.

Comuni diventati troppo piccoli per assicurare servizi ai cittadini all'altezza in numero e qualità generando un conseguente disagio abitativo, sopportato e vero dagli abitanti per abitudine e adattamento o per campanilismo, ma al quale bisogna porre rimedio per evitare lo svuotamento totale.

I problemi dei comuni troppo piccoli sono anche la scarsa disponibilità di persona disposte a fare gli amministratori e i pochi che si impegnano sono si persone di buona volontà ma sovente di scarsa competenza politico-amministrativa e comunque ingabbiati dalla impossibilità di poter incidere o programmare il futuro del proprio territorio.

Il sindaco di un piccolo comune quasi sempre non può andare molto oltre alla semplice amministrazione e alla fine praticamente risulta essere poco più di un amministratore di condominio.

E tutto questo avviene, a pensarci sembra pazzesco, nel contesto di un ordinamento che da ai sindaci pressappoco lo stesso potere siano essi sindaci di grandi città o di piccoli paesini.

Per avere contezza del fenomeno pensiamo che il quartiere Baggio di Milano ha quasi gli stessi abitanti dell'intera provincia di Cremona e che l'amministratore di condominio nell'immagine qui sopra ha più amministrati dei sindaci di oltre 100 comuni cremonesi.

Le difficoltà di questi comuni piccoli, alcuni lillipuziani, sia di farsi ascoltare voce sia di pura operatività devono portarci a riprendere con forza l'argomento della AGGREGAZIONE!

Argomento certamente non nuovo e tornato recentemente alla ribalta nel nostro territorio per la conclamata difficoltà dei piccoli comuni cremonesi di avere voce e peso sulle problematiche comprensoriali e provinciali.

Argomento del quale se ne parla dagli anni ‘80 del secolo scorso senza significativi passi avanti.

È vero che abbiamo avuto negli anni diversi interventi legislativi e piccole riforme (Legge 42/2009 – Legge 191/2009 – D.L. 78/2010 – D.L. 138/2011 e naturamente la legge 42/2011) ma hanno prodotto scarsi risultati trovando sempre un forte contrasto sia per i vari campanilismi e soprattutto sia per opportunismi, anche politici.

Occorre contrastare la scarsa volontà politica di affrontare con decisione questo problema per la paura che non sia gradito ai cittadini (che poi votano), dobbiamo trovare la capacità di proporre una riforma organica.

E per evitare gli errori e scarsi risultati fin qui ottenuti bisogna cercare e trovare approcci innovativi e avere la capacità di proporla nei giusti modi alla cittadinanza: poniamo fine a questa insopportabile inerzia!

Su quali basi dovrebbe puntare un serio progetto di riforma?

Primo agire per eliminare il disagio abitativo dei piccoli comuni dovuto alla scarsità o totale mancanza dei servizi e secondo fare attenzione a non mortificare il senso di appartenenza dei cittadini per proprio comune.

Non è la questione economica che deve guidare il progetto anche se è cosa nota che l'efficienza sia una questione strettamente legata alla dimensione. I possibili risparmi saranno una conseguenza non il fine.

Abbiamo sperimentato che l'unione dei comuni ha avuto percorsi difficoltosi e allora pensiamo a un percorso diverso, un percorso non in conflitto con il campanilismo: una aggregazione amministrativa.

In pratica un “supercomune” che avrà un sindaco ed un consiglio comunale nel quale saranno adeguatamente rappresentati tutti i comuni aggregati.

Nessun comune viene soppresso o inglobato, superando così il problema campanilismo, e il nuovo “supercomune” dovrà avere la dimensione ottimale per garantire a tutti i comuni aggregati parità di servizi in numero e in qualità.

Il supercomune con la propria dimensione avrà capacità contrattuale, amministrativa e politica per garantire uno sviluppo armonico territoriale e l'ampliamento dei servizi.

I comuni aggregati avranno, nel consiglio comunale aggregato, i loro rappresentanti quali portatori delle loro istanze e necessità.

Necessario e ineludibile sarà la necessità di un importante lavoro di adeguamento normativo anche difficile trattandosi di argomenti sensibili come le modalità di elezione dei propri rappresentanti e gestione delle risorse. Non tutto è da inventare, studiamo la organizzazione amministrativa di città metropolitane ad esempio Milano con i suoi nove municipi per indicazioni e idee.

Ma la questione fondamentale è: quale è dimensione definibile ottimale del “supercomune”?

Probabilmente una dimensione di almeno 15000 abitanti parrebbe congrua ma, se necessario procedere con gradualità, sarebbe già un buon risultato partire con una dimensione di almeno 10.000 abitanti. Importante sarà che qualsiasi sia la dimensione il consiglio comunale aggregato abbia le caratteristiche rappresentative che attualmente regolano i consigli comunali delle località con almeno 15.000 abitanti.

Questa condizione è necessaria per la rappresentatività del consiglio che dovrà essere il più possibile aderente alle espressioni politiche del territorio. Riacquisteremo anche nelle piccole comunità il sapore dell'agone politico oggi mortificato da rapporti squilibrati fra maggioranza e minoranza.

Importante comprendere anche che una tale novità amministrativa addolcirebbe gli effetti dell'inopinata soppressione delle province.

Uno sguardo alla situazione della nostra provincia formata da 113 comuni (dati ISTAT 31dic2019):

  • 12 comuni non raggiungono i 500 abitanti

  • 32 comuni non raggiungono i 1000 abitanti

  • 101 comuni non raggiungono i 5000 abitanti

Con un buon processo di aggregazione incideremmo sulla qualità abitativa per migliaia i cittadini, ora marginalizzati, che avrebbero migliori servizi e servizi per tutti godendo degli effetti per le sinergie operative fonte di risorse da destinare al miglioramento per tutti.

Immaginiamo che procedendo correttamente, con metodi volontari e partecipativi, avremmo la possibilità di governare l'intero territorio provinciale con meno di una decina di amministrazioni.

E c'è da scommettere che assisteremo ad un fenomeno migratorio inverso; abbattendo il disagio abitativo avremo il ripopolamento delle piccole comunità a beneficio sia nostro che del nostro territorio.

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