Nel centenario della scissione di Livorno pubblichiamo il secondo capitolo della ricerca storica di Agostino Melega sulla controversa figura di Nicola Bombacci. Dal carattere tanto mite quanto profondamente e politicamente rivoluzionario, decisamente aggrappato ai propri ideali più che alle ideologie, è protagonista nella nascita del Partito Comunista Italiano insieme ad Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci.
Molti obbligati e piccoli proprietari erano attirati dalla propaganda delle leghe cattoliche di Guido Miglioli, che si stavano allora affermando soprattutto nel Soresinese e verso le quali Bombacci scagliò i propri strali anticlericali attraverso “La Libera Parola”, il periodico di Crema che egli dirigeva. L'anticlericalismo era d'altronde un fenomeno diffuso fortemente in quell'area politica che all'epoca veniva chiamata “l'Estrema” (socialisti, repubblicani e radicali) e non ci si deve meravigliare che lo stesso stato post-risorgimentale non ne fosse meravigliato, tanto da far descrivere Bombacci in un rapporto di polizia nel seguente modo: ”Egli risulta di buona condotta morale. Non è elemento pericoloso per l'ordine pubblico e mostra abbastanza deferenza verso l'autorità” (30).
Dell'esperienza cremasca va sottolineato il ruolo che lo vide protagonista nella risoluzione di numerosi conflitti di lavoro, di cui il principale fu lo sciopero dei muratori (31). In pochi mesi di lavoro Bombacci organizzò in chiave sindacale sellai, calzolai, tipografi, metallurgici, falegnami (32). Inoltre mise in piedi le leghe dei gassisti, degli infermieri, degli insegnanti e rilanciò le leghe degli impiegati e dei commessi. Inoltre tutti i giorni Bombacci teneva una conferenza di propaganda, soprattutto a Offanengo e Soncino (33). L'esperienza di Crema fu decisiva per Bombacci nella modificazione di un processo generale d'analisi sociale e politica.
Del riformismo di Prampolini l'organizzatore sindacale conservava l'idea della necessità del proselitismo e della costruzione di tutte le organizzazioni proletarie (dalla Casa del popolo, alla cooperativa) necessarie per stabilire in modo progressivo e non violento il potere operaio e contadino. D'altra parte – e questo è fondamentale in rapporto ai futuri orientamenti – Bombacci, in seguito ai continui compromessi dei parlamentari socialisti con Giolitti, aveva maturato il forte dubbio sul ruolo positivo del parlamento come strumento istituzionale capace di realizzare anche solo una parte del programma socialista. L'embrione di una visione antiparlamentare o a-parlamentare lo poneva, senza volerlo, in una posizione vicina ai suoi primi antagonisti sovversivi, anarco-sindacalisti o sindacalisti-rivoluzionari, poi divenuti soreliani, poi interventisti rivoluzionari, poi soviettisti dannunziani, poi fascisti corporativisti ed infine socializzatori. Secondo Bombacci il gruppo parlamentare socialista doveva mantenere in quel particolare momento storico la più assoluta autonomia per il bene delle masse popolari che non si sentivano minimamente rappresentate da Montecitorio, lontano regno assoluto in mano all'abilità trasformistica di Giolitti, un pericoloso avversario politico capace di snaturare il socialismo stesso.
L'accentuazione di questo distacco lo si ebbe soprattutto nel marzo del 1911, di fronte alla partecipazione di Leonida Bissolati al Governo Giolitti (34). L'abbandono di quella che definì “l'illusione riformista” non coincise per Bombacci con una subitanea adesione alle posizioni rivoluzionarie. In questo senso – scrive Salotti – “egli si dimostrò molto più rispettoso della tradizione politica e del bagaglio intellettuale del riformismo rispetto a Mussolini, più possibilista, senza pregiudizi e pronto a tutto per arrivare alla ‘suà rivoluzione” (35).
Nel frattempo, a partire dal Maggio del 1910, Bombacci era stato nominato Segretario della Camera del Lavoro di Cesena, e direttore del locale periodico “Il Cuneo”. Il giornale portava avanti una linea d'intransigenza verso qualsiasi compromesso al pari del giornale di Forlì “Lotta di classe”, diretto da Benito Mussolini. Una intransigenza che veniva ribadita nei confronti di qualsiasi alleanza – in Romagna e fuori – con il Partito Repubblicano, che deteneva la maggioranza all'interno della Camera del lavoro regionale, e con qualsiasi frangia della borghesia. Come si è accennato in precedenza, quando nel 1911, alla vigilia della guerra di Libia, il socialista cremonese Leonida Bissolati rompe il fronte delle opposizioni e partecipa alle consultazioni per la formazione del nuovo governo Giolitti, fu da Forlì e da Cesena che si levarono gli attacchi più intensi.
Mussolini si ribellò al punto di dichiarare autonoma la sua federazione, Bombacci più cauto e più rispettoso della gerarchia di quanto non lo fosse il suo impetuoso amico, si limitò a far votare degli ordini del giorno che chiedevano l'espulsione dal partito del “traditore” (36). Va aggiunto che al di là del versante politico, l'amicizia fra Nicola e Benito si rafforzò sempre più anche a livello personale (37). Nell'estate del 1911, presente Mussolini, avvenne uno scontro a fuoco fra i “rossi” socialisti e gli allora “gialli” repubblicani. Mussolini ne uscì indenne. Tuttavia l'affronto contro il loro “Duce”, come già cominciavano a chiamarlo, infiammò gli animi dei socialisti romagnoli.
Bombacci scrisse sul “Cuneo” un articolo violentissimo contro gli attentatori che avevano osato colpire “un'anima cosciente e coerente di socialista, mente coltissima e forte tempra di combattente” (38). Alla fine di quell'anno, quando Mussolini, insieme al repubblicano Pietro Nenni, fu imprigionato nel carcere di Forlì a seguito degli incidenti da loro provocati per protestare contro la spedizione militare in Libia, fu ancora Bombacci a organizzare collette a favore delle famiglie dei prigionieri e la campagna di stampa per ottenere la liberazione di Mussolini.
Nel frattempo, nell'autunno del 1911, Bombacci viene nominato Segretario della Camera del Lavoro di Modena, al posto di quell'Ottavio Dinale che aveva portato le leghe socialiste e anarco-sindacaliste a notevoli successi negli anni precedenti e che sarebbe poi diventato, con alterne vicende di ripudi e di riavvicinamenti, uno degli esponenti di spicco del movimento fascista (39)
Nella provincia di Modena esistevano in questo periodo tre Camere del Lavoro, a Carpi, a Mirandola e nel capoluogo di Modena. A Mirandola, in quegli anni, il sindacalista Amilcare De Ambris, futuro rivoluzionario interventista e futuro consigliere di Dannunzio a Fiume, poi anti-mussoliniano ed anti-fascista, era succeduto a Michele Bianchi, già segretario della Camera del lavoro di Cosenza, poi di quella di Ferrara, futuro cofondatore del Fascio rivoluzionario d'azione internazionalista nell'ottobre del 1914 (40), e futuro quadrumviro alla “Marcia su Roma”.
A Modena Bombacci diventa prima collaboratore ed in seguito direttore del periodico “Il Domani”, con il quale egli apre una campagna polemica con i sindacalisti rivoluzionari modenesi e mirandolesi, ed in particolare con il giornale libertario “La Bandiera del Popolo”, diretta dal futuro interventista di sinistra, segretario generale dell'Unione Italiana del Lavoro nel 1918, ed in seguito ministro fascista Edmondo Rossoni, nel frattempo rientrato in Italia.
Non ci si deve proprio meravigliare, di fronte allo spiegamento di tanti anarco-sindacalisti, che proprio a Modena venga fondata nel novembre del 1912, nel congresso di tutte le organizzazioni sindacaliste d'Italia, l'Unione Sindacale Italiana, proclamando la scissione dalla Confederazione Generale del Lavoro (41).
Nella temperie dell'epoca i fatti politici incalzano. Sulla linea dell'intransigenza Bombacci è inviato a rappresentare i socialisti modenesi al congresso nazionale di Reggio Emilia, apertosi il 7 luglio del 1912, dove sostiene l'incompatibilità di permanenza nel PSI per quanti hanno accettato la partecipazione dei socialisti al governo ed appoggiato i ministri favorevoli all'impresa di Libia. In sostanza egli nel teatro di Reggio va a sostenere l'ordine del giorno proposto da Mussolini, il quale a sua volta è diventato d'improvviso, per gli astanti e la stampa dell'epoca, la rivelazione del Congresso.
Attraverso una risoluta e clamorosa oratoria e col sostegno di quattro autorevoli esponenti rivoluzionari: Costantino Lazzari, Giacinto Menotti Serrati, Francesco Cicciotti ed Angelica Balabanoff, Mussolini avvinse infatti i presenti, la base e la piazza, riuscendo a far approvare un ordine del giorno che sanciva l'espulsione dal partito “per gravissima offesa allo spirito della dottrina e alla tradizione socialista” i cosiddetti riformisti di destra: Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi, Angiolo Cabrini e Guido Podrecca, i quali, a loro volta, diedero subito vita al Partito socialista riformista italiano, avente per organo il settimanale romano “Azione socialista” (42).
Col Congresso di Reggio inizia la vertiginosa parabola ascendente di Mussolini, nominato in quell'anno direttore dell'”Avanti!”. L'avvenimento viene descritto da Bombacci sul periodico “Domani” in questo modo: ”La direzione del partito ha nominato all'unanimità il prof. Benito Mussolini, una coscienza diritta, un'anima adamantina, un intransigente di concezione, una mente quadra di socialista e di pensatore. Pubblicista brillante, valoroso, caustico, Benito Mussolini terrà alta la bandiera del socialismo marxistico fra tante demoralizzazioni di principi e di metodi. A lui rivolgiamo il nostro fraterno, entusiastico saluto…” (43).
Bombacci mettendo mano a tutte le leve del potere nel partito e nel sindacato - da vero e proprio Kaiser di Modena, come lo definiva scherzosamente Mussolini - stava tentando, a livello locale modenese, di realizzare quanto l'amico direttore de “L'Avanti!” cercava di fare in campo nazionale per ristrutturare il Partito su basi rivoluzionarie (44).
L'attività di Bombacci era in quel periodo seguita con una certa attenzione dalle Autorità di Polizia ed egli subì anche alcuni procedimenti penali. Il più rilevante fu quello del primo ottobre 1913 della Corte d'Appello di Bologna, con il quale veniva condannato a quattro mesi di detenzione e a una multa di L.500 per violenza contro la forza pubblica (45).
Prima che egli sconti la pena, in casa Bombacci nasce il 2 gennaio 1914 una bambina, Gea (46). La pena viene scontata alcuni mesi dopo, dal 30 maggio al 22 settembre 1914, nello stesso periodo della “settimana rossa” di Ancona e dell'inizio del conflitto mondiale. Durante la detenzione Nicola riceve una affettuosa lettera di Mussolini, che approvava la sua decisione di costituirsi e di non chiedere o accettare la grazia, e gli consigliava di approfittare dell'occasione per approfondire la conoscenza delle opere di Marx, Engels e Lassalle (47).
Era il 25 maggio del 1914, e questa è probabilmente l'ultima delle tante lettere che Mussolini e Bombacci si scambiarono prima che l'intervento dell'Italia nella Grande guerra dividesse i loro destini (48). Bombacci, quando alla fine di ottobre uscì dal carcere, venne a trovarsi di fronte ad un quadro politico internazionale del tutto nuovo, inedito. Il Vecchio continente, ormai a fuoco e fiamme per la guerra, con i suoi immancabili condizionamenti nazionalistici, aveva mandato in frantumi la Seconda Internazionale.
Scrive Petacco: ”Dimentichi delle loro utopie su un'Europa senza frontiere unita nella pace e nel lavoro, i partiti socialisti dei paesi belligeranti avevano preso posizione all'ombra delle rispettive bandiere nazionali. Per gli altri si trattava di scegliere da che parte stare”(49). Fra questi altri si annoverano anche coloro i quali vedono nella guerra la possibilità di giungere in fretta alla palingenesi sociale europea, una prospettiva e una convinzione queste che essi stessi ritengono, per mancanza della diffusione di strumenti interpretativi adeguati, impedite ai più (50).
Nel magma forgiato dalla guerra il discrimine politico fu costituito dai neutralisti-pacifisti da una parte e dagli interventisti dall'altra e così una stessa linea tratteggiata unì i rivoluzionari anarchici e soreliani con la sinistra socialista mussoliniana, per compattare, in un ribaltamento totale delle posizioni, i riformisti interventisti di Bissolati, i volontari di scuola mazziniana e garibaldina, le frange futuriste e via via, in una sorta di eclettica e contraddittoria progressiva fusione i reduci dei reparti d'assalto degli arditi e di molti altri ex-combattenti, per arrivare poi alle intese in chiave anti-bolscevica ed anti-migliolina con i nazionalisti e con il partito degli agrari.
Certo i bagliori che giungevano dalla Russia condizionarono fortemente il processo. Gran demiurgo forgiatore di quelle leghe diversificate, fuse in un unico gran crogiuolo, unite in una sola fascina di rami differenziati d'energia politica, fu Benito Mussolini. A Bombacci non restava che combattere il disegno di Mussolini, il disegno di conquista del potere attraverso l'unione degli opposti, un disegno che si poneva al di fuori e contro la sensibilità politica della tradizione socialista, pur mantenendo egli, Bombacci, sempre la residua speranza in un recupero del maestro di Predappio, così portato apparentemente a privilegiare il momento e la tattica rispetto alla visione strategica.
Dopo il Congresso di Bologna, nell'ottobre del 1919, Bombacci diventa segretario nazionale del Partito Socialista Italiano, la cui direzione risulta composta da rappresentanti della maggioranza massimalista. Egli fu eletto “con un vero plebiscito come lo era stato del resto, durante le elezioni della Direzione, a Roma, nel settembre 1918” (51). E rimarrà in carica, come segretario, solo per poco, fino al 1° dicembre di quell'anno, essendo diventato nel frattempo deputato con le elezioni del novembre del 1919 e quindi incompatibile per regolamento a mantenere l'incarico precedente (52).
Va comunque detto che, al di là della carica ricoperta, durante tutto il “biennio rosso” (1919-1920) Nicola Bombacci fu un capo carismatico, quando “maree di folla seguivano trepidanti i suoi discorsi infuocati che non mancavano mai di colpire al cuore l'uditorio. Sui palchi dei comizi Bombacci era ineguagliabile: la barba al vento, la voce tonante, gli slogan a effetto, tutto contribuiva a renderlo popolare” (53). Sotto la sua guida, il partito ottenne un risultato clamoroso, con circa il 35 per cento dei suffragi e156 seggi conquistati in Parlamento, un vero record (54).
Il suo successo personale fu ancor più grande: raccolse infatti oltre centomila voti (55). I fascisti lo disprezzavano, specialmente i fascisti organizzatori dei sindacati contadini nazionali, che si rivolgevano con crescente successo ai lavoratori della terra nel Bolognese con Dino Grandi e soprattutto nel Ferrarese con Italo Balbo (56).
“Me ne frego di Bombacci/ e del sol dell'avvenir…” cantavano gli squadristi del '20 e del '21. Ed ancora: ”Con la barba di Bombacci/ faremo spazzolini: per lucidar le scarpe/ di Benito Mussolini…” (57). Ed infine con la variante: ”Con la barba, con la barba di Bombacci, ci faremo, ci faremo un bel pennello, per cassare per cassare falce e martello, per dipingere per dipingere il tricolore” (58).
Ora, in questi anni, Bombacci e Mussolini sono due personaggi all'apice di due fronti ormai ferocemente contrapposti, ma che non demordono, imperterriti, nel mantenere rapporti di stima e simpatia sul piano personale, nel ricordo di un legame che veniva da lontano. L'atteggiamento amichevole con Mussolini, malgrado le aggressioni subite dai fascisti da parte di Bombacci, sarà più volte rinfacciato a Bombacci stesso pubblicamente dai commenti trancianti di Gramsci (59).
Un esempio di questa amicizia è la lettera affettuosa che Bombacci invia a Mussolini quando questi, nel maggio del 1921, viene eletto per la prima volta deputato con altri trentaquattro parlamentari fascisti (60). Mussolini, dal canto suo, invia a Bombacci un telegramma scherzoso quando la moglie di questi, Erissena, dà alla luce, nel '22, il terzo figlio Vladimiro (61).
Secondo Ernesto De Felice fra i due vi furono anche contatti in occasione della proposta del patto di pacificazione con i partiti di sinistra e alla Confederazione Generale del Lavoro nel 1921, proposto da Mussolini su suggerimento dei cosiddetti fascisti idealisti milanesi di Cesare Rossi; patto che fu poi rigettato risolutamente dalla base fascista dei sindacalisti della terra e dagli squadristi vicini agli agrari (62).
Interessante punto di congiunzione storica e politica, vero snodo di proiezioni future, era avvenuto anche nei mesi precedenti, nel rapporto sviluppato da parte di Mussolini e di Bombacci con il movimento dei legionari di D'Annunzio a Fiume durante la Reggenza del Carnaro, dal settembre del 1919 al Natale del 1920. Sia Mussolini sia Bombacci si approprieranno in seguito di elementi teorici ed estetici di quella cultura avanguardistica, a propria volta imbevuta di contenuti e di stilemi risorgimentali e mazziniani, sintetizzata nel famoso documento della “Carta del Carnaro” (63).
L'approccio di Bombacci con D'Annunzio era, fra l'altro, ben visto anche da Lenin che intravedeva in quel movimento insurrezionale possibilità d'ulteriore sviluppo in chiave rivoluzionaria (64). Ed anche Gramsci era d'accordo di tenere in debita considerazione il movimento fiumano che stava offrendo al proletariato l'occasione di agire direttamente contro la borghesia (65). Ma per Bombacci l'evento ebbe un significato aggiuntivo. Egli, attraverso le dichiarazioni favorevoli alla causa dei legionari, pubblicate poi sul giornale “Il Comunista”, iniziò a delineare un pensiero di alleanza con forze che facevano del patriottismo e del nazionalismo il loro scopo di lotta, con una posizione che andava a preannunciare le sue future elaborazioni vicine al nazionalismo sindacalista e corporativista, che avrebbe rappresentato una delle componenti ideologiche del fascismo mussoliniano (66).
Bombacci compie due viaggi importanti nel 1920: uno in primavera a Copenaghen per stringere rapporti con i delegati della Repubblica dei Soviet ed uno a Leningrado nel mese di luglio (67).
Qui partecipa, insieme ad altri esponenti del PSI, quali Serrati, Vacirca, Rondani e Graziadei, al II Congresso dell'Internazionale Comunista, alla quale il partito socialista aveva aderito all'unanimità nell'autunno del 1919. Bombacci è fra i più convinti sostenitori della frazione comunista all'interno del partito socialista, partito che non accetta però integralmente i ventun punti della III^ Internazionale e soprattutto la richiesta di dover trasformare il nome del partito in “comunista” (68).
Gli eventi incalzano. La frazione comunista del partito socialista si organizza e si struttura. Il 21 gennaio 1921 Bombacci, con gli esponenti della frazione comunista, abbandona a Livorno il teatro Goldoni, mentre è in corso il XVII° Congresso Nazionale del PSI, per andare al teatro San Marco, dove gli scissionisti fondano il partito che assunse il nome ufficiale di Partito Comunista d'Italia, sezione dell'Internazionale Comunista (69).
Gli anni dal 1921 al 1927 rappresentano una tappa fondamentale per Bombacci. Eletto, al momento della fondazione, membro del Comitato Centrale del Partito Comunista d'Italia, e chiamato a dirigere dal febbraio al luglio dello stesso anno l' ”Avanti comunista”, che si pubblicava a Roma, Bombacci sarà in seguito al centro di un vero e proprio “caso” politico-disciplinare protrattosi per quasi quattro anni, e culminato con la sua definitiva espulsione dal Partito, nel 1927 (70).
Bombacci si trovò al centro di una complessa manovra sotterranea di avvicinamento fra Roma e Mosca. Questo “deplorevole avvicinamento” faceva il paio con la “deplorevole cordialità” fra Bombacci e i fascisti denunciata da Gramsci (71). I contatti si intensificarono. A differenza degli altri dirigenti comunisti, chiusi in carcere o sottoposti a severa sorveglianza, Bombacci poteva fare liberamente la spola fra Roma e Mosca ottenendo gli indispensabili visti con sospetta facilità.
Nel frattempo si era formato a Roma un gruppo di dissidenti provenienti dal PSI, dalla CGIL e anche dal Partito Comunista d'Italia, detto “della Gironda” dal titolo della loro rivista, che si proponevano di gettare un ponte fra il fascismo e il socialismo (72).
La confusione, in quell'estate del 1923, era dunque massima e Mussolini, capo di un governo di coalizione, non aveva ancora rinunciato al progetto di aprire una fase nuova col partito socialista (73). Intanto Bombacci lavorava attorno all'utopia di unire le due rivoluzioni, quella russo-sovietica e quella romano-fascista.
Intervenendo alla Camera, il 30 Novembre 1923, per perorare la ripresa delle relazioni diplomatiche fra l'Italia fascista e la Russia bolscevica, Bombacci, sostenuto direttamente dal Governo sovietico, fu portato a compiere due atti di indisciplina gravissimi per l'etica gramsciana e bordighiana. Non solo si rifiutò di leggere la dichiarazione preparata dalla direzione del partito, ma non informò nemmeno i dirigenti degli argomenti che intendeva analizzare. Ma la cosa più grave affiorò non tanto nel metodo ma nel contenuto del suo discorso, infiorettato ad un certo punto da una frase rivolta a Mussolini; frase blasfema agli orecchi dei comunisti. “La Russia – disse Bombacci – è su un piano rivoluzionario: se avete come dite una mentalità rivoluzionaria non vi debbono essere per voi difficoltà per una definitiva alleanza fra i due Paesi” (74).
Il I° dicembre l'”Avanti!”, parlando di “comunismo fascisteggiante”, deplorò l'atteggiamento del deputato comunista (75). Il 5 dicembre fu la volta del partito comunista che dichiarò Bombacci non più autorizzato a rappresentare il partito alla Camera, invitando perentoriamente il parlamentare a rassegnare le dimissioni da deputato (76).
Che Bombacci avesse riconosciuto che in Italia c'era stata una “rivoluzione fascista” non poteva essergli perdonato e questo pregiudicò la sua carriera politica. Paradossalmente la fine politica di Bombacci comunista coincise con l'approvazione a larghissima maggioranza del trattato commerciale con la Repubblica dei Soviet. Il governo di Mussolini, ossia dell'uomo che simboleggiava in Italia e in Europa la lotta al bolscevismo, era dunque il primo a riconoscere ufficialmente la Repubblica russa nata dalla rivoluzione d'Ottobre.
Mentre in Italia non si era ancora concluso il processo intentato dai comunisti a Bombacci, egli partecipava in prima fila, nel gennaio del 1924, a Mosca ai funerali del suo protettore Lenin (77).
Tornato a Roma, ed escluso dalle liste elettorali del partito comunista italiano, fu aiutato a vivere dall'amico Zinov'ev con un'occupazione definitiva e ufficiale presso la Missione commerciale sovietica. I suoi rapporti politico-professionali con i sovietici durano fino al 1930, fino al momento in cui Stalin rimuove ed elimina i suoi vecchi amici. Zinov'ev viene infatti inviato a dirigere una cooperativa oltre gli Urali proprio nel 1930 per essere poi fucilato nel 1936.
Per Bombacci e la sua famiglia è la fame. A prestargli i primi aiuti sono i suoi antichi compagni ed avversari di lotta: Edmondo Rossoni, diventato il capo del sindacalismo fascista, Leandro Arpinati, l'ex anarchico diventato sottosegretario agli Interni, ed il ministro degli Esteri Dino Grandi (78), ed infine lo stesso Mussolini che lo aiuta finanziariamente a far ricoverare all'Istituto Rizzoli di Bologna il figlio di otto anni Vladimiro, colpito da una frattura alle vertebre cervicali (79).
Ma tutti gli storici sono convinti che Bombacci non fu solo preso da Mussolini per fame. Bombacci fu preso gradualmente dal mito di Mussolini ed in questa visione mitica Mussolini prese il posto della figura di Lenin. Arrigo Petacco sottolinea che l'avvicinamento al fascismo di Nicola Bombacci non dipese solo dalla ritrovata amicizia di Mussolini, ma piuttosto dalle realizzazioni sociali del regime. Il sogno di unificare le due rivoluzioni era rimasto immutato nel suo animo ed era rafforzato dalla frequentazione di Rossoni, di Arpinati e degli altri fascisti di sinistra.
Molti infatti ancora non avevano rinunciato al programma sociale che aveva caratterizzato, nel 1919, la nascita del cosiddetto fascio primigenio. Costoro rappresentavano quella linea rossa che continuò a muoversi all'interno del partito, fra alti e bassi, fino a riesplodere negli anni difficili della Repubblica sociale (80).
D'altra parte le realizzazioni del regime erano lì davanti agli occhi di Bombacci a dimostrare che pur nella cornice di alleanze di potere con forze conservatrici e reazionarie ed attraverso piani d'attuazione totalitari, il richiamo all'anima popolare e sociale figliata dal risorgimento e dal sindacalismo rivoluzionario aveva portato alla concretizzazione d'innegabili risultati, anche se a pagare un dolente pegno era la democrazia e la mancanza della libertà d'opinione, senza parlare della barbara vessazione nei confronti dell'etnia ebraica.
E così avvenne che la costituzione dell'INPS che riformava il sistema pensionistico, la riorganizzazione del sistema scolastico, le opere per l'assistenza della maternità e dell'infanzia, la definizione delle quaranta ore settimanali di lavoro, non potevano non colpire positivamente chi aveva a cuore l'emancipazione delle plebi ed il benessere sociale.
Grande impressione suscitò soprattutto in Bombacci l'approvazione della Carta del lavoro che affidava alle corporazioni, definite “organizzazioni unitarie delle forze produttive”, il compito di coordinare e disciplinare tutti gli aspetti della produzione. Per lui infatti il sistema corporativo poteva rappresentare l'auspicata terza via fra le durezze del sistema sovietico e le ingiustizie di quello capitalista.
Ma le corporazioni furono asciugate del loro lievito d'emancipazione diventando un peso burocratico nel regime diventato ormai imperiale nel gaudio del consenso generale, un consenso ben studiato analiticamente da Renzo De Felice (81) e continuamente riaffermato da un testimone diretto, l'autorevole Indro Montanelli (82).
Abituato ai rovesci, Bombacci non smise però di sognare e di riprovarci. Ecco perché seguì poi Mussolini a Salò, sito crepuscolare e di disperato amore per l'Italia, epicentro di entusiasmi, di simboli e di morte, di rivoluzione sociale in atto; ecco perché a Dongo egli morì davanti ad un plotone di partigiani, fra i quali avrebbe potuto rintracciare suo figlio partigiano; ecco la sua anomala presenza accanto ai testimoni protagonisti di altri fascismi, di altre visioni del mondo, di altre storie; ecco perché egli portò nel cuore dell'ultimo soffio di vita, magiche parole appartenenti ai magici ideali di gioventù, ideali rimasti irrisolti ed incompiuti (83).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
(30) Cfr. S. Noiret, p.68.
(31) Cfr. Ibidem, p.69. Sullo sciopero dei muratori di Crema (febbraio-aprile 1910), Cfr. pure Ibidem, pp.71-76.
(32) Cfr. Ibidem, p.70.
(33) Cfr. Ibidem, p.71.
(34) Bombacci, in un articolo del 1°aprile 1911 “Bissolati ministeriale”, si esprime con un'invettiva dolente di fronte ad una realtà che fa male, e scrive: “Giolitti non meritava il sacrificio di un uomo retto e onesto qual è Bissolati”. Cfr. A. Bombacci, cit., p.67.
(35) Cfr. G. Salotti, … da Mosca a Salò, cit., p.19.
(36) Cfr. A. Petacco, cit., p.24.
(37) Si veda la lettera affettiva inviata da Bombacci a Mussolini in occasione della morte del padre di quest'ultimo; cfr. Ibidem, p.25.
(38) Cfr. Ibidem.
(39) Sul riferimento a Dinale, segretario della Camera del Lavoro di Modena, cfr. G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.20. Sul riferimento a Dinale “fascista di sinistra”, cfr. G. Parlato, cit., pp.76 e 284.
(40) Cfr. F. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, cit., p.681.
(41) Cfr. S. Noiret, cit., p.179.
(42) Cfr. Renzo De Felice, “Il congresso di Reggio Emilia”, in Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Einaudi, Torino, 1°ed.1965, 2° ed.1995, pp.112-135
(43) Cfr. A. Petacco, cit., p.27.
(44) Sulla definizione di “Kaiser di Modena”, cfr. A. Petacco, cit., p.27. Sulla posizione politica di Bombacci in quel momento, cfr. G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.22.
(45) Cfr. G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.22.
(46) Cfr. A. Bombacci, cit., p.83.
(47) Cfr. G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p. 23.
(48) Cfr. A. Petacco, cit., p.26.
(49) Cfr. Ibidem, p.28.
(50) Sulle modalità interpretative dell'interventismo da parte dei sindacalisti rivoluzionari, cfr. Tullio Casotti, Corridoni, Casa Editrice Carnaro, Milano, 1932.
(51) Cfr. S. Noiret, cit., p.325.
(52) G. Salotti, …da Mosca a Salò, p.32. Noiret però annota che Bombacci lasciò veramente la carica di segretario, nonostante le pressioni degli “amici-avversari” (virgolette nostre), solo nel febbraio 1920; cfr. S. Noiret, cit., p.355.
(53) Cfr. A. Petacco, cit., p.35.
(54) Cfr. S. Noiret, cit., p.328.
(55) Cfr. Ibidem, p.329.
(56) Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925, Einaudi, Torino, 1°ed.1966, rist.1995, p.15. Cfr. pure Giordano Bruno Guerri, Italo Balbo, Mondadori, Milano, 1998, p.74.
(57) Cfr. S. Noiret, cit., nota 155, p.556.
(58) Cfr. Ibidem, nota 154, p.555.
(59) Cfr. A. Petacco, cit., p.70.
(60) Cfr. S. Noiret, cit., nota n.166, p.557.
(61) Cfr. A. Petacco, cit., p.59.
(62) Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista..., cit., p.158 e seg.
(63) Sull'influenza della Carta del Carnaro o Quarnaro sui primi sindacati fascisti, cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista…, cit., p.47. Sull'atteggiamento degli intellettuali fascisti in ordine alla Carta del Carnaro, cfr. G. Parlato, cit., p.92-93.
(64) Tratto da “La Tribuna” di Roma del 30 dicembre 1920, in G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.44.
(65) Cfr. S. Noiret, cit., p.442. Cfr. anche G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.46.
(66) Cfr. S. Noiret, cit., p.444.
(67) Sul viaggio a Copenaghen, cfr. G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., pp.33-34. Sul viaggio a Leningrado, cfr. S. Noiret, cit., p.378.
(68) Sulla partecipazione di Bombacci al II Congresso dell'Internazionale comunista dal 19 luglio al 6 agosto 1920, cfr. Ibidem e seg. Cfr. pure G. Salotti, …a Mosca a Salò, cit., p.47.
(69) Cfr. S. Noiret, cit., p.434. Cfr. anche A. Petacco, cit., p.57.
(70) Cfr. G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit.,72 e seg.
(71) Cfr. G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.73.
(72) Cfr. A. Petacco, cit., p.80.
(73) Cfr. Ibidem, pp.80-81.
(74) G. Salotti, …da Roma a Salò, p.69.
(75) G. Salotti, … da Roma a Salò, cit., p.72.
(76) Cfr. Ibidem.
(77) Cfr. Ibidem, p.78.
(78) Cfr. A. Petacco, cit., p.109.
(79) Cfr. S. Noiret, cit., nota 546, p.589.
(80) Cfr. l'intero testo di G. Parlato, cit. Sui parallelismi, le convergenze, gli intrecci fra fascismo e comunismo, cfr. Marcello Veneziani, “Fascio e Martello”, in Il Secolo Sterminato. L'Italia laboratorio del Novecento, Rizzoli, Milano, 1998, pp. 159-195. Cfr. pure “Fascisti di sinistra”, in Paolo Mieli, Storia e Politica. Risorgimento. Fascismo e Comunismo, Rizzoli, Milano, 2001, pp.242-249.
(81) Cfr. R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso. 1929-1936, Einaudi, Torino, 1974, ried.1996.
(82) Cfr. Indro Montanelli, La Stecca nel Coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo, Rizzoli, Milano, 1999, p.90, p.242, pp.268-269. Cfr. anche Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia del Novecento, Rizzoli, Milano, 1998, p.118.
(83) Sulle motivazioni psicologiche e morali, più che politiche, dell'adesione degli italiani alla R.S.I., cfr. R. De Felice, “Il dramma del popolo italiano tra fascisti e partigiani”, in Mussolini l'alleato.1940-1945. II La guerra civile. 1943-1945, Einaudi, Torino,1997 e 1998, pp.102-342. Si veda inoltre la testimonianza di uno dei più importanti storici della Sinistra italiana, Roberto Vivarelli, in R. Vivarelli, La fine di una stagione. Memoria 1943-1945, il Mulino, Bologna, 2000. Cfr. pure Silvio Bertoldi, Soldati a Salò, Rizzoli, Milano, 1995. Cfr. anche Ulderico Munzi, Donne di Salò, Sperling & Kuffer Editori, Milano, 1999. Cfr. inoltre Mariano Dal Dosso, Quelli di Coltano, Editore Giachini, 1°ed.1949, 3° ed.1950.