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Dossier Provincia: vigilia del rinnovo della Consiliatura

  12/08/2024

Di Redazione

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Lista unica alle provinciali? Meglio la dialettica politica

Editoriale di Virginio Venturelli

Dopo 10 anni dalla entrata in vigore della legge Delrio (56/2014), limitante le competenze gestionali delle province, nonché abolito l'elezione diretta dei presidenti e degli organi provinciali, sostituita con un sistema di secondo livello, riservato solo ai consiglieri comunali e sindaci, nonostante i ripetuti impegni politici, non è ancora stata, colpevolmente, archiviata.

 La normativa che doveva essere temporanea, in previsione della completa cancellazione delle Province, è nel limbo a decorrere dalla bocciatura del referendum costituzionale tenutosi nel dicembre 2016.

Aver assecondato la ventata anticasta ed antipolitica, è stato un grave errore, oggi largamente condiviso da parte dei principali Partiti a fronte delle criticità conseguenti nei riordini amministrativi, negli accentramenti dei poteri in capo alle Regioni e nei tagli delle risorse assegnate.

I ripensamenti al riguardo si moltiplicano, ma la formalizzazione di un testo legislativo unitario che ripristini il ruolo delle Province, le loro storiche rappresentatività, funzioni e competenze unitamente alla elezione diretta del Presidente e dei consiglieri, ancora langue nelle commissioni parlamentari.

Nelle more della urgente archiviazione della Legge Del Rio, mi paiono del tutto incoerenti, con le modifiche in approvazione, le proposte per “spoliticizzare” le competizioni elettorali da parte delle principali forze politiche.

In nome dei rituali proclami sulla unità territoriale, si ipotizzano liste e candidature unitarie, naturalmente previo intese ed accordi politici amministrativi, penalizzante ulteriormente il già sottovalutato apporto degli amministratori dei piccoli comuni, nonché le aspettative dei cittadini che, esclusi dal voto, reclamano almeno chiarezza circa le responsabilità gestionali operanti nei rispettivi ambiti territoriali.

Esempi di soluzioni concordate tra centro sinistra e centro destra, ci sono, ma non credo che il contesto cremonese debba acriticamente uniformarsi a tale prospettiva.

Quale credibilità potrebbe avere una canditura unica alla Presidenza della nostra Provincia, quando alle elezioni comunali di Crema, nel 2022, si sono confrontati 6 candidati sindaco, espressione di altrettanti programmi, così come è accaduto, nel 2024, anche a Cremona.

Di fronte a delle ingessate coalizioni di potere, come agli schieramenti pregiudizialmente ostili nei confronti delle parti avverse, va opposta una via alternativa dialettica, che metta insieme una reale prospettiva politica, un programma distintamente “per” e non contro.

Se i potenziali costruttori di tale processo, presenti tra gli amministratori comunali e negli ambiti politici, non si rassegneranno agli eventi in fieri, l'elezione del presidente e del consiglio provinciale previste per il prossimo 29 settembre, potrebbero rivelarsi meno scontate, a vantaggio di una consultazione di adeguata dialettica politica.  

Forum

Lista unica per le provinciali? No grazie. Il campo progressista sia la bussola. Serve una lista di centrosinistra chiara, coerente, coesa

Cremona, 8 agosto - L'ipotesi di lista unica per le provinciali, che secondo quanto riportato dalla stampa sarebbe proposta dal Partito Democratico e appoggiata dal centrodestra, rischia di essere un ennesimo passo falso che ignora i numerosi segnali provenienti da cittadini ed elettori. È chiaro che Alleanza Verdi e Sinistra non si presterà all'ennesimo tentativo di accordi talmente ampi da garantire il non governo della Provincia, come è stato il caso della guida Signoroni, frutto della stessa logica cinque anni fa, a cui ci siamo opposti allora e a cui ci opponiamo ora. La Provincia è stata negli anni depotenziata, ma resta l'unico presidio in grado di governare, in maniera coordinata e pertanto più efficace, un territorio su temi importanti come infrastrutture, trasporti, ambiente e istruzione. Può inoltre indirizzare una pianificazione territoriale di sviluppo in stretto contatto con le amministrazioni locali, e questo merita chiarezza nei confronti dei cittadini, non ulteriori accordi di potere che, come abbiamo visto negli ultimi anni, portano a un ulteriore allontanamento dell'Ente e della politica da chi vive il territorio. Le elezioni europee, così come quelle politiche e amministrative, hanno dato segnali chiari: da un lato l'astensione in costante aumento testimonia una crescente disaffezione degli italiani verso la politica, un dato di cui si parla sempre ma che poi rischia di essere costantemente ignorato nei calcoli elettorali - in questo caso di secondo livello, quindi con una distanza ancora maggiore dai cittadini; dall'altro lato, chi è andato a votare ha lanciato segnali forti: non è il momento per l'ennesimo accordo elettoralistico, è stata premiata (soprattutto dai giovani) la chiarezza delle proposte. Alleanza Verdi e Sinistra si appella, dunque, al centrosinistra e a quello che viene definito “Campo progressista”: “Non possiamo fare ad ogni elezione due passi avanti per poi farne quattro indietro con scelte calcolate che rischiano di tradire e disorientare tutti quei cittadini che, ogni volta, sperano che la politica sappia elaborare una proposta chiara e concreta, capace di rispondere ai bisogni della gente” dichiara Paolo Losco, Segretario Provinciale di Sinistra Italiana. “Le elezioni provinciali possono essere un'opportunità per dimostrare che siamo in grado di farlo, che sappiamo coniugare le esigenze elettorali a quelle delle persone. Abbiamo più volte e a tutti i livelli dimostrato di essere a disposizione per la costruzione di un progetto politico progressista ampio, plurale e comune, a patto che si parli di temi concreti e che lo si faccia con chiarezza. Lo abbiamo fatto, non senza difficoltà, alle Politiche, lo abbiamo fatto alle regionali, alle europee e alle amministrative. Ma ci deve essere un chiaro progetto politico, non la riproposizione di ‘larghe intese' - o grandi ammucchiate pur di stare al potere - buone solo a tradire i cittadini, che nemmeno possono votare per le provinciali. A questo gioco non partecipiamo.”“Per il nostro territorio serve una dialettica politica che non può essere soffocata da un' unica lista espressione di un consociativismo paralizzante.” afferma Andrea Ladina, segretario provinciale di Europa verde “Le Provincie sono state ingiustamente penalizzate dalla Legge Del rio che ha sottratto loro finanziamenti, personale e competenze. Non ci rassegniamo allo svilimento di un Ente locale che ha mostrato in un secolo di vita di essere una istituzione molto vicina al territorio, specie riguardo alle molteplici tematiche ambientali, dalla difesa del suolo, dei fiumi, dei fontanili, delle acque superficiali. Dal settore dei rifiuti, delle cave, della viabilità provinciale, della futura metropolitana verso il nostro territorio fino all'edilizia scolastica. Sottratte competenze e finanziamenti adesso non è accettabile che ci sia anche una sottrazione di democrazia. Per questo come Europa Verde all' interno del progetto AVS, Verdi Sinistra chiediamo che vi siano due liste distinte per il rinnovo della carica di Presidente della Provincia e di rinnovo del consiglio provinciale.”L'importante esperienza delle elezioni amministrative ed europee ha saputo in parte rimotivare le persone - tra cui moltissimi giovani - a votare, con un lavoro prima sui programmi e poi sull'individuazione di candidati in grado di rappresentarli, riportando la sinistra al governo di città e regioni e ampliando la presenza in parlamento europeo. Se vogliamo proseguire su quella strada che, a tutti i livelli, sta riavvicinando le persone alla politica, cercando finalmente di ridare fiducia a chi l'aveva persa, con coerenza e una visione d'insieme chiara, allora Alleanza Verdi e Sinistra ci sarà. Per questo ci appelliamo al Partito Democratico e a tutte le forze progressiste della Provincia, affinché non si perda, sul territorio Cremonese, l'ennesima buona occasione per decidere di stare dalla parte delle persone.

Paolo Losco, Segretario Provinciale Sinistra Italiana, Cremona,
Andrea Ladina, Segretario Provinciale Europa Verde, Cremona.

Ho letto l'appello di Paolo Losco al PD. Lo condivido. Già in passato, l'allora Consigliere Regionale Marco Degli Angeli, si era mobilitato cercando di creare una alternativa da offrire alla nostra provincia, purtroppo non si riuscì a portarlo a termine.

Ci troviamo di fronte a una scelta cruciale per il futuro di tutto il nostro territorio. Viviamo in un'epoca di grandi sfide, ma anche di straordinarie opportunità. Sarebbe importante riuscire proporre una nuova lista progressista per le prossime elezioni provinciali.

Una lista così verrebbe fondata su valori di giustizia sociale, sostenibilità ambientale, inclusione e innovazione. Crediamo fermamente che il progresso non sia solo una questione di crescita economica, ma di miglioramento della qualità della vita per tutti i cittadini, senza lasciare indietro nessuno.

La crisi climatica è una delle più grandi minacce del nostro tempo e non la si può ignorare. Ci si deve impegnare a promuovere politiche ambientali ambiziose, volte a ridurre le emissioni di carbonio, incentivare le energie rinnovabili e proteggere la biodiversità. Vogliamo costruire una provincia più verde, dove lo sviluppo economico sia compatibile con la tutela dell'ambiente.

Tutto questo è impossibile se viene proposta una lista unica.

Insieme, possiamo trasformare il nostro sogno di progresso in realtà solo con una alternativa veramente progressista.

La questione dell'inaccettabilità di una lista unica di destra e sinistra nelle elezioni provinciali può essere analizzata da vari punti di vista, tra cui legale, politico e istituzionale. 

Ecco alcune delle principali ragioni per cui una lista unica potrebbe non essere accettata:

  • Normative Elettorali e Regolamenti.
    Le leggi elettorali e i regolamenti specifici per le elezioni provinciali spesso delineano chiaramente le modalità di presentazione delle liste. Tali normative possono prevedere che le liste rappresentino gruppi politici distinti e che rispettino determinati criteri di rappresentanza e trasparenza. Una lista unica che combina candidati di destra e sinistra potrebbe violare tali disposizioni.
  • Chiarezza e Trasparenza per gli Elettori.
    La trasparenza e la chiarezza sono fondamentali in un processo elettorale. Gli elettori devono essere in grado di comprendere chiaramente le opzioni a loro disposizione e le ideologie rappresentate dai diversi candidati. Una lista unica che mescola candidati con ideologie politiche opposte potrebbe generare confusione, rendendo difficile per gli elettori fare una scelta informata.
  • Coerenza Ideologica.
    Le liste elettorali sono spesso basate su piattaforme ideologiche coerenti. Una lista unica che combina candidati di destra e sinistra potrebbe mancare di una coerenza ideologica, rendendo difficile per i candidati stessi lavorare insieme in modo efficace una volta eletti. La mancanza di una visione condivisa potrebbe ostacolare il processo decisionale e la governance.
  • Conflitti Interni.
    Un'altra ragione per cui una lista unica di destra e sinistra potrebbe non essere accettata è l'alto rischio di conflitti interni. Le differenze ideologiche profonde potrebbero portare a disaccordi significativi su questioni chiave, minando la capacità della lista di presentare un fronte unito e di governare in modo efficace.
  • Reazioni degli Elettori e degli Altri Partiti.
    Gli elettori e gli altri partiti politici potrebbero vedere una lista unica come un compromesso forzato che non rispetta le differenze ideologiche fondamentali. Questo potrebbe portare a una perdita di fiducia e di sostegno sia per i candidati della lista unica che per i partiti coinvolti. Inoltre, gli altri partiti potrebbero contestare la legittimità della lista unica, ricorrendo a vie legali per bloccarne la partecipazione.

Infine, è possibile che gli statuti dei partiti politici stessi vietino la formazione di alleanze con partiti ideologicamente opposti. Questi statuti sono vincolanti per i membri del partito e potrebbero impedire la creazione di una lista unica, indipendentemente dalle normative elettorali, questo è il caso dello statuto del nostro Movimento 5 Stelle.

Paola Tacchini, Consigliere Comunale di Cremona M5S
Paola Tacchini, Consigliere Comunale di Cremona M5S

Una (mezza) notizia buona

A fine dicembre, chiosando l'esito delle operazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio Provinciale e, soprattutto, la chiosa dei players politici in campo, ci veniva spontanea la riflessione che riprendiamo:

… non siamo molto lontani dal reale e non esageriamo quando manifestiamo la percezione che si è di fronte allo smottamento del ciclo caratterizzato dalla sinergia tra l'azione civica e la testimonianza dei partiti. Tutti hanno vinto, nessuno ha perso: è ciò che, perdurando la liberazione dall'obbligo di precisare linee di programma su cui tarare l'impegno di vincitori e vinti, condurrà inevitabilmente all'uscita di scena dell'ente intermedio territoriale

I destini di un territorio marginalizzato come il nostro avrebbero bisogno di un sussulto civico, capace di far imboccare un minimo di remuntada. Un sussulto che fosse prerogativa trasversale di tutte le culture politiche e di tutto il popolo degli amministratori comunali.

A suffragare il fondamento di un pessimismo cosmico, bensì portato della constatazione di consolidati percorsi politici non esattamente virtuosi, c'erano stati, a scrutini appena conclusi, certi pronunciamenti dei corifei d i due dei campo competitors, manifestamente incuranti del livello di guardia, superato da tempo, delle fortune di una istituzione intermedia dell'amministrazione periferica ormai incanalata ad un'obsolescenza, non programmata ma di fatto decretata. Più che da un ragionamento logico, dalla neghittosità, da parte degli investiti di mandato, a farsi carico di un progetto ragionato di rimodulazione istituzionale generale e di correzione di avventate “riforme” (sic), come l'improvvido, estemporaneo, decreto Del Rio. Che, come abbiamo indicato e ripetuto (ad nauseam), decretava di fatto la scomparsa dell'Ente intermedio. All'uomo forte del renzismo (ovviamente prima delle capriole dei posizionamenti interni al PD) parve imperdibile l'occasione di prendere due piccioni con una fava sola: attuare l'indirizzo dei tagli lineari in capo alla spending review cominciando dagli “sprechi” di un Ente inutili (La Provincia) e, ad un tempo, iscrivere a futura memoria il suo sostanziale delisting come ente autarchico territoriale (munito di chiare competenze e di risorse certe) nel quadro della “riforma Renzi-Boschi”. Un linkage questo, di dubbia onestà intellettuale e correttezza procedurale e, soprattutto, di inefficace capacità trainante (che avrebbe seppellito le fortune sia della riforma complessiva trainante sia di quella minore trainata).

In materia di riforma di istituzioni di rilievo istituzionale bisognerebbe partire da presupposti di rango etico, avere un percorso congruo e, soprattutto, evitare la rateizzazione (quando non si ha la certezza dell'esito finale).

Come siano andate le cose è all'evidenza degli occhi di tutti. Dovrebbero esserlo anche alle consapevolezze di chi lavora di concerto con le realtà periferiche.

Ma evidentemente le abitudini del medico emiliano, sciaguratamente prestato (anche con ruoli eminenti) alla politica, devono essere influenzate dal proverbiale gatto che “la fa e poi la sotterra…”.

Non si sa se il prodotto di questa dissennatezza “riformatrice” possa essere definito “un'incompiuta”. Sarebbe potuta andare molto peggio, se il progetto fosse stato punzonato dal referendum del 2016. Anche se l'indotto dell'incompiutezza, che da 2014 consegna l'entità Provincia ad una fattispecie di terra di nessuno, non si sa, in termini di incertezza e di semiparalisi dell'istituzione periferica di secondo livello, costituisca il classico “male minore”.

In realtà l'Ente Provincia in sette anni è stato vandalizzato di funzioni operative, di organici e di risorse congrue ai compiti che (senza adeguati finanziamenti) permangono e, in particolare, cannibalizzato di alcune prerogative (come l'agricoltura) lestamente avocate dalla Regione Lombardia.

Già nel 2016 i due parlamentari socialisti di quella legislatura (Oreste Pastorelli e Pia Locatelli) furono primi firmatari di una risoluzione, approvata dalla Camera, i, in cui si impegnava il governo sulla

...necessità di proseguire nello forzo intrapreso al fine di garantire e, se necessario, incrementare le risorse necessarie ad assicurare l'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali da parte delle province e delle città metropolitane, anche promuovendo le opportune modifiche alla legislazione vigente.

Inoltre nella risoluzione si in invita il Governo a “adottare ogni iniziativa di competenza utile a favorire il ripristino dell'autonomia organizzativa degli enti, anche attraverso la deroga temporanea delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 420, lettere c), d) e) della legge.190 del 2014”.

Sono trascorsi sei anni, senza che da quella raccomandazione, approvata dalla Camera, sortisse un concreto, coerente indirizzo.

Per essere chiari, il fallimento dell'assurda riforma Del Rio sarebbe ricaduto sulle spalle, già gravate ed infragilite, dei Comuni, i cui eletti sarebbero diventati (come avvenne) corpo elettorale e elettorato passivo di questa istituzione dimezzata.

Si protesta, ma poi, a quotidiano diretto contatto con la realtà periferica territoriale (che non distingue troppo in fatto di attribuzioni e si rivolge all'eletto di prossimità), ce se ne fa una ragione. Anche quando il carico aggiuntivo complica la compatibilità esistenziale con la testimonianza civica e viene svolto (quasi) gratis et amore dei.

Non possiamo negare, dopo questa incensata ai civils servants diventati protagonisti (bon gré malgré) della sopravvivenza dell'Ente, di aver intravisto un certo impulso di adattamento allo sfruttamento di certi interstizi di potere politico, anche nel nuovo format monco.

L'enormità dell'amputazione, che per un territorio già marginalizzato come il nostro rispetto alle logiche della destinazione delle risorse e delle compensazioni in termini strategici decretati dalle logiche neocentralistiche della Regione Lombardia, ha comportato ulteriore ulteriori marginalizzazioni ed impoverimento, avrebbe giustificato il gesto, da parte di tutto il territorio e dei rappresentanti elettivi del medesimo, di rovesciare, come si suol dire, il tavolo.

Ma tant'è su questo terreno si è balbettato qualcosa e poi ce se n'è fatta una ragione. Reinstallando nel format della provvisorietà e della vessazione, paro paro, le medesime logiche che orientano un po' a tutti livelli decisionali l'agire del sistema partito e del personale politico.

Si sarebbe almeno potuto o dovuto articolare una testimonianza di denuncia più decisa e maggiormente congrua ad una risposta coerente con la natura dell'impasse e col danno al territorio. Ma, come abbiamo anticipato, commin facendo si è abbozzato al copia-incolla delle claudicanze con cui le logiche “maggioritarie” prevalgono sull'etica della inclusività e della responsabilità comune.

E anche quando “i campi larghi” si rivelano i campi delle cento pertiche, in cui anche per equilibri di rappresentanza equivalenti si inforca il punto morto, si inventano soluzioni da geometria variabile, in cui contano le logiche di potere.

A danno, ovviamente, della mission principale che sarebbe la coesione civica e la ricerca di una visione comune.

L'impasse del risultato delle urne del 18 dicembre deve aver, in controtendenza con certe declamatorie ispirate da logiche di bottega, suonato come un alert di disincentivo a reiterare quelle logiche. E come un endorsement ad invertire il senso di marcia.

Alla prima seduta del nuovo Consiglio Provinciale, per l'omologa degli eletti e del loro formale insediamento, nonché per l'attribuzione delle deleghe, è avvenuto un fatto nuovo che appare di discontinuità rispetto sia alla situazione immediatamente pregressa sia alla situazione data troppo sbrigativamente per scontata (alias la reiterazione sic et simpliciter di una maggioranza risicatissima e di una minoranza quasi equivalente).

Facendo saltare il banco di certezze non suffragate e presumibilmente corrette da un tardivo empito di resipiscenza (osiamo sperare in capo al senior partner del centrosinistra), il Presidente Signoroni (il cui mandato proseguirà ancora per un biennio) ha pronunciato un inatteso “Fermi tutti!”. Osiamo sperare che questo gesto declaratorio sia stato suggerito da una virtuosa elaborazione dell'inammissibilità di un intendimento opposto.

Ma, a rendere ancor più chiaro il gesto di discontinuità, c'è quel “Ora dobbiamo lavorare insieme”.

Un'esortazione quanto mai ineludibile, oltre che sul piano degli equilibri politici, anche e soprattutto per una circostanza, certamente non virtuosa, che vede non direttamente rappresentati i vertici dei Comuni più importanti e di tutti quelli Capo-comprensorio.

In assenza di chiari pronunciamenti dei “campi” non possiamo convenientemente stimare se l'esternazione presidenziale possa avere un seguito di consenso, armonizzazione e convergenza da parte delle sensibilità che orientano gli eletti.

Noi ci speriamo.

Alt!

Una doverosa precisazione: quanto sopra (tanto per evitare equivoci) non è di nuovo conio. Come i successivi “Alla vigilia del rinnovo della Presidenza della Provincia Fermare la caduta libera del territorio! ED UN FACILMENTE PERCEPIBILE” “E mo'?”. Tutti consultabili nello storico della nostra testata.

Già …non riproponiamo per bulimia autoreferenziale. Ma, perché l'impianto della nostra analisi resta confermato dal tempo. Per la quinta o sesta volta si aprono quelli che un tempo si chiamavano i comizi elettorali per il rinnovo della Consiliatura dell'ente territoriale intermedio. Esattamente nel contesto confermato che da anni stiamo denunciando come nefasto per la governabilità del territorio.

Ma, per quanto sembrerebbe assurdo, in un contesto politico addirittura peggiorato.

L'Ente Provincia, colpito ed affondato nelle sue peculiarità e nella sua sostenibilità gestionale, è svuotato e praticamente agonizzante (mentre, come osservavamo, reclamerebbe un suo virtuoso rilancio).

Uno sforzo di armonizzazione della lettura dello stato dell'opera e di convergenza della cura sarebbe sollecitudine da minimo sindacale. Fatto che appare assai difficile considerato il contesto generale ispirato dal modulo bipolare, poco proclive alla contaminazioni del principio di trasversalità del bene superiore comunitario, e, soprattutto, dalle ferite ancora aperte di un "confronto" (per la conquista del ruolo di governance) che non ammetteva prigionieri. Un passaggio detox sarebbe utile. Ma, a tale ineludibile “drizzone” nei percorsi dei players della vita pubblica, politica ed istituzionale, la risposta che viene dagli stessi è ispirata dalla continuità della risposta non trasparente e giocata “in casa”.

Alla moda dell'aforisma di Onofrio marchese del Grillo, praticato, ad essere onesti, senza arroganza ma nei fatti.

“Meglio la dialettica politica”, argomenta lucidamente e responsabilmente il nostro editorialista Virginio Venturelli (anche come massima espressione delle riflessioni della Comunità Socialista).

Non sarà difficile rinvenirvi il monito a stare lontani dall'inciucismo ma anche dalle contrapposizioni (come è il caso della sinistra alternativa benché referente dei campi larghi), prigioniere di una fissità ideologica, che mal si concilia col superiore interesse di una visione trasversale del territorio.

E il centro-sinistra? Se ci fosse (come entità di elaborazione e testimonianza) dovrebbe battere un colpo.

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