È avvilente e preoccupante la deriva della “Lega di Salvini”. Essa sta accentuando neghittosità ed insofferenza verso i valori della lotta di Liberazione quando non sprezzo per l'antifascismo. Una deriva che si mostra sempre più frequente, con episodi, anche clamorosi, in una emulazione (forse non solo elettoralistica ma di sostanza) con gli eredi ed i nostalgici del duce e di Almirante. Così rispuntano ambigui luoghi comuni da nostalgie del “ventennio”, da “difesa della razza” mentre personaggi leghisti marciano qua e là con vari pretesti a fianco di neofascisti e neonazisti.
In questi giorni campeggia l'impresa di un viceministro leghista, tale Claudio Durigon, il quale avanza pubblicamente una proposta che disonora l'Italia e deve suscitare lo sdegno degli italiani. Una proposta doppiamente esecrabile. Da un lato si vorrebbe cancellare la intitolazione a Falcone e Borsellino di un parco della città di Latina a loro attualmente dedicato. Una cosa scriteriata, sconcertante, immorale...
Dopo di che il viceministro Durigon vorrebbe tornare a valorizzare, come si fece durante il “ventennio”, il nome di Arnaldo Mussolini, fratello del duce, appunto ripristinandone la intitolazione di quel parco.
Arnaldo Mussolini non era, peraltro, semplicemente il fratello, tramite il quale valorizzare ufficialmente quel cognome per qualche pretestuoso vago quanto inesistente merito. Il suo “merito” (e responsabilità) è quello di essere stato un importante collaboratore e sostenitore del duce. Passando per “moderato” (in continua baruffa con Farinacci) svolgeva compiti di collegamento con importanti centri di potere economico e non solo, deteneva cariche politiche, amministrava “Il popolo d'Italia” ed edizioni collegate. Promosse la scuola di “mistica fascista”. Fu anche assiduo editorialista, autorevole presso certi ambienti, nel sostegno pieno delle scelte e direttive del fascio. Importante la sua presenza in diversi consigli di amministrazione dell'economia e della finanza milanese. Il suo nome fu anche coinvolto in vicende poco trasparenti di quel mondo.
Comunque Arnaldo Mussolini sostenne sempre, fino al 1931 data della sua morte, le scelte politiche ed ideologiche del regime fascista. In particolare durante e dopo la crisi che seguì all'assassinio di Matteotti, scrisse ed usò il motto “Mussolini non si tocca!”. Era la linea che portava alle “leggi fascistissime”.
È davvero inammissibile che un personaggio del nostro governo voglia ridare lustro a lui ed a quel passato che portò l'Italia al disastro e che è stato condannato dalla Resistenza e dalla Costituzione.
Giuseppe Azzoni
Il sollecito, da noi rivolto e andato a segno in pieno ferragosto, a Giuseppe Azzoni noto ed apprezzato esponente dell'antifascismo cremonese, non ci esime da una brevissima chiosa. Che è di piena sintonia con le riflessioni di denuncia e di esortazione a non lasciar cadere l'argomento nella rilassatezza estiva.
C'è molto di più e di peggio nel gioco del leghista buono (il Salvini diventato senior partner della coalizione governativa di salvezza nazionale) e del leghista cattivo (il noto esponente della destra laziale strappato ad un conclamato trascorso neofascista, mai, dalla recente performance, archiviato).
Già che ci siamo, aggiungiamo che il nostro radar di convincimenti ideali e militanti farebbe comodamente a meno anche del leghista buono, massima espressione della balena policroma che è la Lega postbossiana.
Dall'autonomismo con forti e percepibili venature separatiste ad un aggregato indirizzato a diventare tendenzialmente maggioritario, in quanto capace di incanalare le spinte trasformiste. Da un lato, l'evidente furbata di togliere la tuta della militanza antisitemica per indossare il doppio petto della funzione di governo. Dall'altro, l'impulso ad assecondare l'algoritmo della “bestia”che fortemente orienta la tentazione ricorrente di agganciare ogni protesta e l' opposizionismo surrogato, espressione della pancia populistica.
Nelle more di questo facilissimo equilibrismo, agevolato da una sinistra inclinata prevalentemente su battaglie in sé condivisibili, ma non esattamente tarate sul sentiment popolare delle priorità sociali e civili, emerge in piena evidenza il tratto del fascio leghismo, già presente, sia pure minoritariamente, anche nel ciclo bossiano, con i profili nazistoidi di Borghezio, ma esplosi con l'avvento della leadership salviniana.
Già, considerando ciò, ce ne sarebbe e ne avanzerebbe per dubitare della sostenibilità dell'aggregato politico di questa alleanza governativa, più simile ad un commissariamento che non si fa molti scrupoli nella selezione dei partners.
Piaccia o no, pur riconoscendo il valore dell'idea di un governo emergenziale e delle professionalità messe in campo, con gente come questi leghisti, non esattamente ed inequivocabilmente schierati con le linee guida della Costituzione Repubblicana, non prendiamo nessun caffè. Tornino nella posizione più congegnale ad un ruolo dichiaratamente antisistemico o, considerando la provenienza del mentore della continuità mussoliniana, nelle fogne.
Andrebbe aggiunto un aspetto sfuggito a quasi tutte le riflessioni sul caso. Che l'esponente fascio-leghista abbia provenienze mai nascoste e rinverdite con convinzione e forza impudente non corre alcun dubbio.
Ma c'è un aspetto ancor più ripugnante. Tra non molto ricorrerà un combinato di eventi politici: la resa dei conti sul primato elettorale nel campo della destra e le elezioni comunali a Roma. Una tentazione troppo forte per non mandare avanti la punta avanzata del fasciosalvinismo laziale nella ricerca del consenso degli, purtroppo, ampi settori elettorali refluiti sulla destra non esattamente liberale.
L'impudente rottamazione dell'intitolazione del parco dedicato ai due giudici eroi dell'antimafia risponde, ripetiamo miserevolmente, anche a questo.
Antifascisti, se ci siete, battete un colpo! (e.v.)