Dopo il 30
Abbiamo visto nelle grandi linee quello che sarà il nuovo Ospedale, o meglio il suo guscio e come l'area intorno verrà addobbata.
Riteniamo doveroso spiegare ai nostri concittadini che il nuovo edificio e parco della salute sono ancora nelle braghe del vescovo, come si diceva un tempo di chi, in attesa di essere concepito, era solo nei pensieri di mamma e papà.
È bene sapere che il percorso è solo agli inizi e che gli intoppi potrebbero essere tanti e di diversa natura.
Dal primo di dicembre di quest'anno il vincitore del concorso ha tempo 120 giorni per redigere un progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto che deve essere approvato dalla Regione.
Poi dovranno essere redatti progetto definitivo ed esecutivo, entrambi da approvare.
Tra un progetto e l'altro, la gara per l'affidamento dei lavori sarà bandita verso la fine del 2024 e solo nella primavera del 2025 sapremo chi costruirà l'Ospedale, sperando non sorgano ricorsi e controricorsi, come sta avvenendo per il nuovo ospedale di Trento, in gestazione dal 2011.
Già in base alla tabella di marcia, che Regione e Asst si erano date, siamo in ritardo di un anno.
Se tutto va bene il nuovo ospedale entrerà in funzione tra 8-10 anni.
E nel frattempo cosa succede a quello vecchio?
Dovrà essere costantemente mantenuto in buono stato ed efficiente, per la sicurezza dei Lavoratori e dei pazienti.
Così oltre a spendere 330 milioni per costruire un Ospedale Nuovo, ne spenderemo parecchi altri per garantire il funzionamento di quello ritenuto obsoleto.
Infatti, spulciando i documenti ufficiali, abbiamo trovato programmati per l'adeguamento della terapia intensiva quasi 8 milioni, per l' adeguamento strutturale, impiantistico e l' incremento della sicurezza antincendio del pronto soccorso 7,5 milioni, per predisporre alcuni ambienti all'installazione di nuove e avanzate attrezzature tecnologiche 1 milione circa, per l'incremento del livello sicurezza antincendio dei collegamenti verticali dell'Ospedale 2,5 milioni, per l'adeguamento alla normativa antincendio del piano interrato, 1,7 milioni.
Nel padiglione n. 8, destinato a diventare calcinacci e polvere insieme a tutto il resto, pare siano in corso alcuni lavori per trasformarlo in Ospedale di Comunità.
Tutti questi soldi “buttati” per una struttura che non è adeguabile e non più adatta alla sanità?
Ci pare che gli interventi e le cifre sopradescritte testimonino ampiamente che il non così tanto vecchio Ospedale si può benissimo recuperare e migliorare, non solo all'interno, ma anche all'esterno.
È solo questione di volontà, di rispetto dei cittadini e delle tasse che pagano allo Stato e alla Regione.
Gallery delle iniziativa pubbliche del Movimento
Affaire Dea
Una variante del tema, questa; latente, il cui uso è binario. Per scandire che sarebbe una precondizione inaggirabile per il via deliberativo del nuovo ospedale (senza del quale…) Ovvero, quando viene trattato separatamente dal contesto generale, il riconoscimento viene fatto ascendere alla giurisdizione ministeriale e al possesso di requisiti (che l'Asst non avrebbe…ma che se si rema per la scelta strategica della Regione…).
Insomma, siamo in presenza di un argomento doubleface. Diversamente da quanto dovrebbe essere, per questioni di trasparenza narrativa in capo ai pubblici poteri e di sostanza. Perché questo Dipartimento è fondamentale ai fini della sostenibilità dell'impianto sanitario e ospedaliero del nostro territorio.
In merito abbiamo ricevuto la segnalazione di un attento lettore, che fa riferimento ad un doppio pagine dell'edizione di ieri del settimanale Mondo Padano.
Tale contributo viene riscontrato attraverso l'impiego della chiara scheda recentemente redatta da Celestina Villa, esponente del Movimento per la Riqualificazione dell'Ospedale, che ci esime da ulteriori nostri sforzi ermeneutici.
Continuano gli spottoni dei non disinteressati
Caro Direttore, non trascuro, da settimana, nessuno degli aggiornamenti costanti e particolareggiati che la testata fornisce in ordine al “pacco”.
Notando che la cosiddetta informazione “istituzionale” si avvale, oltre che dispiegamento totale di un sistema informativo asservito alla causa decisa dal management e sostenuta dall'establishment politico istituzionale, anche di alcune “manine” attinte dal capiente contenitore di potenziali supporters, sempre disponibili a correre in soccorso dei vincitori. Categoria, questa, plasticamente individuabile, specie dopo il grand opening dell'Auditorium di qualche giorno fa, nell'aggregato di scese in campo a favore di una soluzione del declino della sanità ospedaliera del capoluogo e del territorio a mezzo rottamazione.
Per rendere credibile l'operazione non ci si fa scrupolo, da parte della regia, di ricorrere ad accreditamenti attinti da segmenti di sensibilità e deontologia che proprio non potrebbero mentire.
Ora, dopo l'evidente stratosferico successo di critica conformistica (ma non di pubblico, manifestamente escluso dalla partecipazione all'evento, ancorché destinatario permanente di un'operazione promozionale, in cui ha larga incidenza un servizio di relazioni esterne di riconosciuta professionalità) del “botto” della cerimonia, la tattica del convincimento e della rassicurazione continua ratealmente. Mettendo in campo un tipo di esternazione, che mette in sinergia il livello di efficienza più o meno fattuale (ma non è questo l'aspetto principale della vicenda) di alcuni reparti e specialisti medici e il credito della fonte sull'operazione strategica.
Senza alcun malanimo e, soprattutto, senza alcun intento di discredito delle professionalità di stimati professionisti (forse messi di mezzo dalla opportunità di decantare il valore del proprio servizio), mi sono imbattuto, alcuni giorni fa, nel paginone della del settimanale locale nell'esternazione di un primario, che ha come incipit: le carenze del nostro sistema sono note così la ben poca capacità a provi rimedio.
È solo un problema di risorse (chiede l'abile intervistatore)? Forse no, visto il via libera al monumentale progetto del nuovo ospedale a Cremona, pronto nel 2030, che è un gioiello di architettura ed efficienza strutturale tali da renderlo la struttura più moderna del Paese. L'ultima incertezza che pende è il riconoscimento di Dea di II livello, che dovrebbe sfumare a giorni: La Regione è pronta, deve solo deliberare, Cremona lo avrà. Poi, bontà sua, prosegue il primario intervistato, la medicina territoriale va integrata di più con quella ospedaliera. La Lombardia è caratterizzata da una sanità ospedalocentrica; ma non si può avere una medicina territoriale assente o lontana dagli ospedali.
Fare un nuovo ospedale significa aprire le porte di Cremona.
Tutto sommato, siamo in presenza di un endorsement che sprizza ottimismo e fiducia. Forse un po' compiacente alla linea-guida scandita dall'intervistatore e dalla dorsale editoriale, correlata al coro dei poteri mediatici inneggianti alle potenzialità taumaturgiche del nuovo ospedale, anche se, non abbiamo difficoltà ad ammetterlo, con toni ed esposizioni meno beceri.
In tutto ciò balza evidentissimo il fatto che la cosiddetta Dea è da tempo divenuta quella sorta di “capel de Lurens”, che notoriamente, el se slarga e el se strens (a seconda delle necessità narrative).
Orlando, 9 dicembre 2023, Cremona
Celestina Villa: Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione (DEA)
Il DEA rappresenta un'aggregazione funzionale di unità operative che mantengono la propria autonomia e responsabilità clinico-assistenziale, ma che riconoscono la propria interdipendenza adottando un comune codice di comportamento assistenziale, al fine di assicurare, in collegamento con le strutture operanti sul territorio, una risposta rapida e completa.
I DEA afferiscono a due livelli di complessità, in base alle Unità operative che li compongono: DEA di I livello e DEA di II livello.
Questa sopra è la definizione che si trova sul sito del Ministero della salute, insieme a molto altro
Celestina Villa:
Questa la mia valutazione: Il Dea di II livello in teoria è buona cosa, ma si può realizzare se intorno, a supporto, c'è una rete di altre strutture sanitarie che garantisce gli interventi che il Dea non offre. Il Poma di Mantova è Dea II livello per il territorio Cremona-Mantova e rispetta i requisiti contemplati nelle linee guida ministeriali.
Se ne fanno un altro, non rispettano le linee guida, ma sono linee e non norme, con quali requisiti sarà e per fare cosa?
Parlano di politraumatizzati, significa che chiunque nella bassa Lombardia subisce più di un trauma, per lavoro, per incidente, viene qui e non più a Milano, cui Lodi è più vicina, o a Brescia?
Informazione civica e trasparente sulla sanità pubblica
Innanzitutto, ring grazio EdP per la dettagliata, costante informazione sulle nuove iniziative del Movimento No al nuovo ospedale a Cremona. Condivido pienamente la fattualità' dei vostri nuovi progetti di lavoro per proseguire con consapevolezza il percorso di informazione civica e trasparente sulla sanità pubblica alla cittadinanza cremonese. Alla base di ogni rapporto personale e pubblico ci deve essere rispetto e democrazia. L' amministrazione pubblica deve rendere conto del suo operato e ascoltare il dissenso della popolazione, i cittadini non sono sudditi ma parte partecipe del sistema sociale.
Un clima di fiducia verso quella democrazia
Mio padre quando fu eletto sindaco di Cremona nel lontano 1946 dovette instaurare un clima di fiducia verso quella democrazia per cui tanto si era combattuto e sofferto. Era un socialista, un sucialista come si definiva l'esimio professor Mario Coppetti, infervorato dagli ideali per cui si aspirava non solo alla libertà, ma anche a diritti e doveri uguali per ogni cittadino. Naturalmente nelle sedute consigliari non mancavano i franchi tiratori per cui argomenti e decisioni venivano riportati in modo travisato alla popolazione. GINO e compagni decisero di trasmettere dal vivo e in contemporanea ogni importante riunione e dibattito, collegando la sala consigliare tramite altoparlanti a tutta la piazza sottostante. Libertà è partecipazione, è stato auspicato e cantato, però a quanto sembra non più rispettato. Non rispettato da chi manovra dall'alto e non ben valutato da chi preferisce seguire l'andazzo, lamentandosi, ma non unendosi a chi con coraggio difende il vivere della popolazione tutta. Ho già ringraziato in più occasioni i promotori del Comitato del No, mi sono infilata nel loro gruppo con fiducia, anche se per motivi di salute potrò dare ben poco apporto fisico, tentando però di contribuire nella diffusione di suggerimenti utili per aggregazione e solidarietà.
Sarebbe del tutto inappropriato, da parte nostra, attestarsi, nei confronti dei contributi che giungono a commento, sulla sponda ermeneutica.
I nostri interlocutori sanno che possono rivolgersi all'EdP con la garanzia che i loro testi non vengono manipolati né posizionati non disinteressatamente a seconda dell'utilità di sminuire od esaltare il senso del commento.
Per fortuna nostra, chi ci scrive è quasi sempre sintonizzato sulla linea editoriale. Tutt'al più la nostra fatica è concentrata in una chiosa funzionale al rafforzamento del concetto espresso.
Nei prossimi giorni posteremo un'organica cronaca della svolgimento della “premiazione” (del vincitore del progetto del nuovo nosocomio, che, come l'araba fenice sorgerà, semmai sorgerà, dalle ceneri e dalla rottamazione (in proposito abbiamo, sia pure con l'ausilio dello spannometro, calcolato che per stipare il prodotto della demolizione dell'attuale nosocomio sarebbe necessario predisporre ad una fossa pari a cinque volte il volume necessario per interrare i rottami dello stadio di San Siro). Una cronaca commento dedicata più che ai contenuti (di cui, nella loro evanescenza progettuale, si sa tutto) alla forma della narrazione dell'evento e delle finalità sottese.
Aspetto questo su cui si sofferma (ancorché da noi non esaustivamente trattato) la lettrice di cui al precedente paragrafo 3).
Con la presentazione di migliaia di firme, non estorte da forzature o carpite da testimonianze radical, bensì acquisite come terminale di un eccezionale prova di cittadinanza attiva, con un irriducibile messa in campo di argomentazioni inoppugnabili (anche se non rimbalzate nella stampa che dovrebbe essere indipendente e colpevolmente trascurate dalla stanza dei bottoni), con la riserva, come appare dal costante sforzo di aggiornamento da parte del Coordinamento del Movimento e dei numerosi attivisti, di alzare il livello del contrasto allo sciagurato disegno, ci pare di poter fondatamente affermare che non sia eludibile né marginalizzabile una testimonianza che, pur nella centralità del perno dell'opposizione al nuovo ospedale, si sforzi di allungare lo sguardo sul conteso più generale della sanità.
Su Corsera Giangiacomo Schiavi (e noi con lui, qui) si chiedeva come mai, dopo i perentori “Ripartiremo” del picco pandemico, sono esplosi ritardi, liste d'attesa, prenotazioni ad attesa biennale. Si dava (ed oggi, ad epidemia parzialmente imbrigliata ma non domata) la colpa al Covid. In quel momento giustificata. Adesso però non regge e appare un alibi. La domanda di cura sanitaria si è stabilizzata ai volumi precovid. Non si ha contezza né dell'emergere di nuove patologie né di imprevedibili splafonamenti nel trend dell'invecchiamento (che costituisce fattore standardizzato ma che dovrebbe essere sistematicamente affrontato con la leva del welfare, su cui, invece, Ministero e Regione, sono fortemente e colpevolmente carenti). Vero è che è in atto da tempo una politica di demolizione del servizio sanitario pubblico. Attraverso una palpabile spending review verticale, un evidente dislocamento delle risorse a favore della sanità convenzionata (locuzione che sta per privata), un disincentivo alla permanenza nelle strutture della sanità pubblica degli operatori medici e paramedici
Ne esce, anziché un sussulto di consapevolezze correlate al vero stato dell'arte, una narrazione, per giunta dotata da un aggravio simbolico, che veicola una sorta di swinging healthcare. Come appare in tutta la sua evidenza la genialata del cosiddetto nuovo ospedale, sempre più corroborata da una campagna mediatica che ha come scopo la volontà di lasciare sul tavolo una sola opzione strategica.
In cui il recinto dei dimenticati quando non dei scientemente derubricati nella priorità comunitaria di portatori di un diritto espressamente costituzionale, viene tutt'al più considerato alla stregua di un destinatario dell'imponente sforzo narrativo attorno alle gesta ed alle potenzialità rigenerative discendenti dall'impresa. Di fronte a siffatta, tanta, irrispettosa (come sottolinea la lettrice Lozza) dei doveri di informazione civica avvertiamo i lettori, come peraltro abbiamo qua e là azzardato, che (per quanto tutti gli sforzi di denuncia siano stati enormi e per noi inaspettati) l'esito di questa imponente prova civica non sarebbe fecondo, se il Movimento non alzasse l'asticella, sul terreno di una campagna di consapevolezze più “universali”.
Il Movimento è un'entità complessa che deriva dalla convergenza di sensibilità tematiche articolate, ma discendenti da visioni universali articolate.
Fin qui lo sforzo di armonizzazione dei convincimenti e degli indirizzi di testimonianza è stato, a dir poco encomiabile.
Il passo successivo, pena l'imbocco di un percorso che porterebbe sicuramente al riconoscimento di un impegno così lucido e generoso, ma anche ad un esito non chiaro e non scontato dell'incidenza concreta nel cambiamento dell'obiettivo della controparte, è rappresentato dalla consapevolezza dell'ineludibilità di una gestione politica del dossier che si richiami al valore universale di diritti di rango costituzionale come la cura della salute, conculcati ed indirizzati ad una strada senza ritorno.
Il no al nuovo ospedale, al “pacco” congegnato da un establishment che con l'operazione vuole stornare le responsabilità dell'agonia della sanità pubblica, è il perno simbolico di un'opposizione popolare. Il retroterra è rappresentato da consapevolezze di valore universale più vaste e profonde.