Ce ne sarebbe di più di quanto basterebbe per avere sufficiente consapevolezza dello stato dell'arte in materia di progressione del disastro pandemico.
Non ci siamo mai appellati, nella nostra testimonianza, ai riscontri del ceto politico-istituzionale chiamato ad una sorta di prova del fuoco della propria adeguatezza ad essere punto di riferimento comunitario in una temperie tremenda, probabilmente la più impegnativa del secolo.
Per farci una ragione, la più vicina possibile alla realtà, dello stato delle cose (rispetto ad uno scenario in cui, contrariamente ad una assertività inclinante ad una percepibile controfattualità) prenderemo, d'ora in poi, come punti di riferimento le esternazioni degli “addetti ai lavori”. Il cui tasso di aderenza ai fatti ed alle prospettive sia garantito da un indiscutibile retroterra scientifico.
Comprendiamo l'esigenza in capo agli abitanti della “stanza dei bottoni” di una comunicazione didascalica e a fin di bene. Come è comprensibile la ricerca del compromesso tra le ragioni dettate dai fatti e l'esigenza della coesione.
Da tale punto di vista è condivisibile e fortemente apprezzabile la testimonianza della più alta magistratura dello Stato, chiamata, in forza di un unanime riconoscimento, a “punzonare” emergenziali provvedimenti. Mai come in questo momento diventa, soprattutto di fronte alle barricate permanenti contro ogni provvedimento dei pubblici poteri (cui sono sottesi sia un irresponsabile impulso ad una “dialettica” simile alla guerriglia sia la quasi totale assenza della coesione comunitaria), non si possono perdere di vista tanto la percezione dei pericoli incombenti sulla tenuta quanto il quadro di riferimento reale.
Per quanto se ne avrebbe una grande voglia, i “conti” dell'accertamento delle responsabilità, in termini di negligenza e di studiata temerarietà, dovranno essere collocati temporalmente nell'agenda degli eventi deputati alla rappresentanza istituzionale.
Nel pieno convincimento che “right or wrong” questi sono i poteri liberamente e democraticamente eletti e deputati all'azione amministrativa.
Il che non implica la supina accettazione di tutto quanto (frequentemente con insopportabile impudenza) si pensa di propinare in termini di oblio degli errori e delle manchevolezze e di accreditamento dei provvedimenti.
L'etica della responsabilità e della coesione comunitaria in nessun caso può far sconti all'ineludibile impegno a far sentire il fiato caldo della controinformazione e della denuncia sul collo dei vertici istituzionali, cui importa maggiormente il consenso che non, invece, la trasparenza e la partecipazione consapevole.
È per questa premessa che, nel prosieguo della nostra testimonianza, terremo come riferimento di ogni analisi le consapevolezze dei “sapienti”, fortemente ancorate ad inoppugnabili fondamenti scientifici e fact-cheking.
Fortunatamente non tutti i “comunicatori”, insigniti di quarti di eccellenza scientifica, sono interessati (per quanto il profluvio di comparsate mediatiche dimostrerebbero il contrario) ad una promiscuità tra inappuntabilità scientifica, verità dei fatti e pulsioni comunicative.
Se ci fosse stata una correlazione tra il volume delle esternazioni “scientifiche” e la rispondenza fattuale, molti degli errori di percorso sarebbero stati risparmiati e con essi i titolari dell'azione pubblica sarebbero stati un po' più nudi dal punto di vista della copertura degli alibi.
Siamo, in questi giorni, all'imbocco di un tornante, imprevedibile solo per gli sciocchi o per i disinvolti imprevidenti.
Giunti a questo punto, diventerebbe condizione per la sottoposizione ad una Norimberga di ordine morale qualsiasi condotta che non avesse come incipit la verità.
Per quanto non ci sarebbe bisogno di roboanti conferme, l'evidenza viene soprattutto dalla testimonianza eticamente responsabile da chi ha ruolo.
Il Presidente della Federazione degli ordini dei Medici ieri ha dichiarato:
I Pronto Soccorso e i reparti ospedalieri sono ormai intasati, il 118 subissato. Con questo ritmo di contagi entro la seconda settimana di novembre si satureranno le terapie intensive e sono già in sofferenza i reparti Covid.
Ora non vorremmo, di fronte inoppugnabilità di tale evidenza, essere nei panni dei due maggiori players istituzionali della nostra Regione, giunti a tale ruolo non certamente come traguardo di una severa selezione di titoli e di progetti (piuttosto, il primo, il Governatore, per una resa dei conti in casa leghista ed il secondo, l'assessore al Welfare, per studiato ingaggio come garante degli indirizzi di continuità delle scellerate politiche di smantellamento della sanità pubblica e esponenziale privilegio di quella privata.
E poiché, come ammonivano le nostre virtuose nonne, anche le più spudorate bugie hanno le gambe corte, deve essere risultata evidente, a questi due campioni dei disastri gestionali, transitati dall'iniziale overdose presenzialista all'afonia scandita dai disastri, l'inesitabilità di comunicazioni inveritiere o, nelle migliori delle ipotesi, reticenti, ecco allora l'approdo ad una informazione “istituzionale”, fornita a cose fatte e sviluppata col metodo delle mezze verità (o delle mezze bugie).
Solo qualche giorno fa, quando, per quanto non ancora conclamata nelle sue reali dimensioni, la percezione del ritorno potenziato ai “picchi” (di trend della morbilità e di inadeguatezza delle risposte) era preannunciata, l'opinione pubblica lombarda è stata messa al corrente della situazione. Con una certa nonchalance era implicito un preannuncio, più che di potenziamenti generalizzati del sistema dei presidi, di un furbesco spostamenti dei fattori.
Sei mesi sarebbero stati oggettivamente pochi per invertire le linee-guida incardinate da trent'anni di governatorati non esattamente ineccepibili. Orientati, come abbiamo premesso, dall'ansia di smantellare la riforma sanitaria e la territorializzazione dei presidi, di promuovere un colossale slittamento di risorse dal pubblico al privato, di polarizzare l'”eccellenza” spedalocentrica nell'area metropolitana e nelle aree già privilegiate dagli indirizzi di sviluppo.
Con maggior evidente danno per le aree territorialmente periferiche, per di più significativamente marginalizzate dalle opzioni, sarebbe sbagliato non sottolinearlo o non denunciarlo, incardinate su ben altre priorità strategiche.
Il budget della sanità lombarda è stato negli ultimi anni superiore, per ogni esercizio, ai 10 mld di euro e, pare, dovrebbe essere, per effetto degli allargati cordoni della borsa a causa della pandemia, dilatato di un 20%. Un volume, questo, se non proprio ingente, sicuramente importante per garantire un sistema socio-sanitario congruo agli indirizzi di una tutela pubblica della salute.
Per come si è giunti a questa fase intermedia alla prima ed alla seconda ondata pandemica, un lasso di sei mesi deve essere apparso insufficiente ad una riconversione, che potesse essere virtuosa negli indirizzi strategici e congrua all'emergenza in atto.
Al di là della sostenibilità finanziaria (che, in teoria, era e resta costante), deve essere apparsa più agevole, più che una strategia, la tattica degli spostamenti (a parità di totale).
Il gatto e la volpe del Pirellone, hanno messo le mani avanti:
Nessun lockdown sanitario, ma una rimodulazione organica e funzionale delle attività sanitarie nei nosocomi. La rapida evoluzione epidemiologica e il conseguente aumento del numero dei ricoveri hanno determinato la necessita di un ampliamento della disponibilità dei posti letto Covid intensivi, per acuti e sub acuti, e delle degenze di sorveglianza.
Neanche i più esperti testimoni democristiani del “metodo Vasellina” avrebbero potuto praticare un così spudorato combinato-disposto di reticenza comunicativa e di fattualità applicata.
In aggiunta alla presunzione di poter attribuire ai cittadini utenti del nostro territorio la patente di deficienti.
Perché ci si era accorti da tempo che, al di là della reticente comunicazione ispirata dalla tranquilizzazione, l'ospedale (ed, in generale, l'attività delle ASST e dell'ATS) non solo non sarebbero ritornate a regime, ma sarebbero state ulteriormente penalizzate.
Suona sinistro quelle apparentemente tranquillizzanti istruzioni per l'uso del governo regionale
Viene gradualmente ridotta una parte dell'attività programmata ad eccezione di quella legata alle reti oncologiche e tempo-dipendenti per la cura delle gravi patologie neurologiche, cardiovascolari e dei grandi traumi. L'attività di ricovero programmato degli ospedali Non Hub viene sospesa in modo da rendere disponibili posti letto Covid per acuti e subacuti, garantendo sempre la continuità delle prestazioni urgenti e non differibili.
Sembra evidente. È avviato il processo conclamato di requisizione della ASST di Cremona al fine di creare per la Lombardia o parte di essa un lazzaretto dedicato alla degenza Covid. Scelta, che andrebbe spiegata agli operatori, ai vertici istituzionali del territorio, agli utenti ed all'opinione pubblica (perché in assenza verrà conferita la patente di sudditi). E non fatta scorrere fraudolentemente nel momento stesso in cui viene attuata a pieno regime. Riassumendo, Cremona ha acquisito sul campo il triste attestato di territorio martirizzato dalla prima ondata. Che ne ha fatto insieme con Lodi, Brescia e Bergamo la testa di serie.
Non ha conseguito particolari know how scientifico-operativi; al di fuori di un'encomiabile dedizione degli operatori medici e non.
Disporrebbe, come hanno sostenuto i leaders della maggioranza regionale replicati dal pedissequo allineamento “aziendale”, una struttura talmente malconcia da renderla candidata alla demolizione ed alla costruzione di un nuovo ospedale. Di più, nel ciclo dell'”aziendalizzazione”, i mille e passa posti letti originari sono più che dimezzati. Alcuni reparti di degenza sono stati trasformati nella furbesca week surgery; neologismo anglosassone funzionale ad un'ingannevole versione della vera decimazione delle degenze e dei reparti.
La transizione dalla prima alla seconda ondata, che avrebbe dovuto essere di ripristino, al di là dei proclami, è scivolata tanto inoperosamente da accreditare il dubbio che nelle consapevolezze di qualcuno non valesse la pena di far ripartire, di razionalizzare e di rilanciare.
Se non aveva funzionato (al di fuori del contrasto al Coronavirus) per quattro mesi, tanto valeva che ripartisse solo negli annunci e con programmi a scartamento ridotto.
Tanto sarebbe arrivata la seconda ondata; con il suo inalterato carico di emergenza e di straordinarietà.
Meglio riversare in un lazzaretto dedicato della Lombardia periferizzata e negletta la massa critica degli infettati.
In tal modo preservando le degenze ordinarie nei nosocomi delle aree metropolitana e del resto della Regione.
Di fatto per i lombardi già marginalizzati dai pregressi ridimensionamenti e peggioramenti qualitativi un ulteriore taglio, se non una soppressione, del diritto alla tutela della salute.
Rebus sic stantibus, francamente risulta inspiegabile quella sorta, se non di colpevole inconsapevolezza, di traccheggio tra la razionale percezione e la conseguente azione.
La polarizzazione della politica negli ultimi anni ha praticamente disinnescato quel senso di coesione, a valenza sociale ed istituzionale, che faceva premio, in materia di prerogative territoriali, sui campi militanti.
È palpabile un depotenziamento di qualsiasi iniziativa che abbia come obiettivo la difesa delle prerogative violate del territorio di fronte ai superiori livelli di comando.
Una metà politica del territorio si rifiuta, nonostante l'evidenza del disastro sanità e delle corrispondenti responsabilità politiche, di associarsi ad una iniziativa istituzionale, di carattere “dialettico” nei rapporti con la Regione.
L'altra metà, quella che in teoria sarebbe minoritaria negli equilibri regionali ma maggioritaria in quelli locali, è talmente destrutturata da non essere in grado di concepire minimali linee contro progettuali.
La “pratica” è all'evidenza di quell'avamposto della disperazione, rappresentato dai Comuni e dai Sindaci, che costituiscono il terminale dell'ordinamento istituzionale a più diretto contatto con la popolazione. Tante sono le prove di questa consapevolezza; si potrebbe azzardare, da parte di tutti i Sindaci del territorio.
Che, svolgono, un ruolo suppletivo di riferimento etico-morale delle comunità e di mediazione/interpretazione dei contesti e dei provvedimenti.
Forse un po' irritualmente, Antonio Grassi, Sindaco “interventista” del Comune di Casale Cremasco, comunica ai suoi amministrati
Per evitare un peggioramento e per contenerla, in attesa che la scienza e la medicina trovino soluzioni per sconfiggere il virus, sono a chiedervi il sacrificio di rispettare le indicazioni che Governo, Regione, Autorità Sanitarie e Comune indicano e indicheranno per affrontare il problema.
Durante i mesi terribili dell'inizio della pandemia avete già dimostrato un grande senso di responsabilità e di rigore che vi fa onore e che mi rende orgoglioso di essere Sindaco del nostro Comune. Sono certo che, anche in questa circostanza, dimostrerete la vostra grande sensibilità civica, consapevoli che il comportamento di ognuno di noi può influire sulla situazione dell'intera nostra comunità.
Da parte mia assicuro che l'Amministrazione Comunale sarà al vostro fianco e impiegherà energie e risorse a disposizione per rendere l'emergenza il meno gravosa possibile.
Un eloquio, questo, virtuosamente ispirato dalla consapevolezza di un ruolo di riferimento per tutta la popolazione, provata dalla drammatica criticità, e dalla necessità di creare coesione di risposte.
Quanto alla questione di merito, vale a dire alla necessità di un deciso contrasto agli indirizzi regionali di “requisizione” di quel che resta dei nosocomi territoriali, si ha il dovere di segnalare sia la testimonianza critica del Consiglio Comunale di Cremona sia la recente denuncia del Sindaco Galimberti.
Il quale rileva molto criticamente che Cremona ha già data sul terreno della solidarietà verso gli altri territori
Ci sono tre questioni che chiedono risposta. La prima. Per affrontare ancora questa situazione di emergenza all'ospedale di Cremona quali medici e infermieri in piu sono stati previsti? E non quelli che hanno colmato carenze pregresse ma quelli che servono per affrontare la pandemia. La seconda. Quando i posti Covid a Cremona saranno saturi dove andranno i nostri cittadini se i contagi e i ricoveri dovessero aumentare anche nel nostro territorio? E infine, non esistono solo i pazienti Covid.
E da marzo di quest'anno che questa città e questo territorio non hanno prestazioni sanitarie essenziali e cittadini cremonesi devono rivolgersi ad altre strutture, spesso private o in altre città.
Anche i corpi sociali intermedi territoriali, i Sindacati in particolare, hanno fatto sentire la loro voce.
Diventa indispensabile che, a questo punto e di fronte alle montanti criticità suscettibili di piegare la tenuta della provincia, si installi una regia politico-istituzionale, capace di dare sintesi sia alla contestazione di un modello ormai alle corde sia alla proposizione di un progetto alternativo, proteso alla tutela del territorio.