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S. Pietro, una tradizione sul viale del tramonto

Riceviamo da Clara Rossini e volentieri pubblichiamo

  28/06/2021

Di Redazione

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Carissimo direttore, dopo aver tralasciato la frequentazione delle giostre nei giorni dedicati alla Fiera di San Pietro, per aver terminato il numero di figli e nipoti in età di poter apprezzare tale divertimento, torno con la memoria agli anni in cui il fine settimana era dedicato alla sfilata tra le bancarelle di Viale Po. Appuntamenti con cugine e cognate di primo mattino per cercare tra le merci esposte quel qualcosa di nuovo che potesse giustificare tanto voluto interesse, onorare la tradizione. Difficilmente succedeva ed ogni volta ci si riproponeva di evitare tale esperienza il prossimo anno. Troppa gente, troppo caldo, curiosità insoddisfatta.  

I nipoti, la figlia ormai cresciuti non hanno interiorizzato le nostre vecchie abitudini ed io, attraverso i loro occhi, deduco che effettivamente la tradizione viene superata dalle attuali priorità. Viviamo in un mondo difficile, si riaffermano valori ben diversi dal piacere di acquistare borsette, abiti, vasellame o altro. Avvenimenti che si susseguono sempre più spesso favoriscono il rispetto per la propria salute e quella dei nostri simili. Il denaro si apprezza per affrontare difficoltà anche future, si cerca di guardare avanti per concorrere, contribuire ad appoggiare le eventuali risoluzioni dei fenomeni che minacciano il nostro pianeta. Rispettare le tradizioni può donare un momentaneo appagamento nel sentirci legati a positivi aspetti del passato, ma è illusorio. Disertare la visita alle bancarelle viene giustificato dalla penuria di denaro, dalla paura del contagio. Invece è il nostro sentire, più saggio e responsabile. Mi dispiace tantissimo per gli ambulanti, i commerciati e tutte quelle attività che hanno risentito e risentiranno per i mancati guadagni. Ma è l'economia in toto che piange. Chi ha provato a rinnovarsi ha ottenuto buoni se non ottimi risultati. Forse dovremmo indirizzarci a seguire questa via senza esitazioni né abitudini forzate. 

Clara Rossini 

l'edizione odierna della stampa professionalizzata è uscita con le lacrime agli occhi per quello che appare il preannuncio di un inarrestabile default della fiera di S. Pietro. 

La nostra affezionatissima lettrice ne dà una lettura mediata. Un po' di tasche languenti, un po' di pericolo contagio non ancora scongiurato ed un po', dato che a qualcosa si deve rinunciare, un incipit dell'addio, neanche tanto singhiozzato, alla tradizione. 

Forse anche perché i più strenui testimoni, appunto, delle tradizioni, sono gli anziani, per i quali, in aggiunta al pericolo di accanimento del virus, il combinato di ressa e di canicola è qualcosa di più di una controindicazione relazionale. 

Ammesso che ne abbiamo sbavato in passato, facciamocene una ragione. Questo tipo di festa popolare, peraltro privo di supporti storici e sopravvissuto a se stesso inerzialmente, è, (e l'edizione 2021 ne è la plastica certificazione), avviato al tramonto. Parere personalissimo, chi scrive la considera una feconda inversione di tendenza rispetto al carico di gravami sul quartiere ed in generale sull'assetto viabilistico della città, all'invasiva relazionalità, agli eccessi consumistici. Tra l'altro di generi primordiali. Per non parlare dell'assurdo evento di contorno, rappresentato dal botto finale della festa. La conclusione dei cosiddetti spettacoli pirotecnici. Che, in aggiunta ad una assurda sproporzione tra benefici (quali?) e costi (consistenti e bruciati in una decina di minuti), alterano la quiete pubblica in orario notturno e non costituiscono una mano santa per il patrimonio zoologico selvatico insediato nella natura circostante il nucleo abitato. 

Se fosse questo il motivo elettivo per abrogare definitivamente la festività, la fiera, il mercatino, ne saremmo convinti supporters. Anzi la riflessione è propizia per una decisa campagna di divieto di qualsiasi “spettacolo” (sic) pirotecnico. 

Ed è propizia, se è consentito e con grande rispetto per gli avvisi contrari, anche per delineare una nuova cultura esistenziale, fatta di convivialità meno pervasiva, di maggiore sobrietà capace di invertire gli eccessi consumistici, nuovi stili comportamentale e nuova etica comunitaria. Per oltre un anno si è avvertita una pressione, in cui una parte attiva hanno avuto i portatori di interessi diretti ed indiretti, perché tutto “tornasse come prima”. Se c'è una cosa per cui la sconfitta della pandemia può diventare edificante sarebbe la dismissione degli eccessi.  

Delle innocenti tradizioni e, soprattutto, dei nuovi metodi di sballo. 

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