Da settimane, per primi e in anticipo su quasi tutti, lo andiamo sostenendo: quell'imperativo etico, (imposto dal severo ammonimento della pandemia), che coinciderebbe con una grande occasione di cambiamento, sta per essere, ancora una volta, clamorosamente mancato.
Scampato il pericolo, si gabba il santo! Dopo settimane trascorse in un combinato di smarrimento derivante dalle dimensioni smisurate del problema, di consapevolezze di fronte alla patente inadeguatezza al ruolo e principalmente dell'ansia di scansare i calcinacci di una performance collettiva che non verrà iscritta negli annali delle migliori testimonianze civili, sta prendendo forma, in aggiunta al non commendevole esercizio di scaricarsi vicendevolmente le responsabilità (che, se non fosse una costante della vita pubblica italiana, costituirebbe ulteriore aggravante nella percezione dell'opinione pubblica), una non inaspettata fase di riposizionamenti. Ispirati non già dalla consapevolezza di dover dare conto dell'operato, bensì dalla precostituzione degli alibi auto-assolutori preliminari alla prosecuzione, tamquam non esset, delle carriere.
In un Paese normale (e lo diciamo senza minimamente voler buttare la croce su nessuno, perché, non abbiamo difficoltà alcuna ad ammetterlo, la prova è stata biblica), gente come l'assessore regionale alla Sanità Gallera, anziché annunciare la sua scesa in campo per futuri e più elevati ruolo amministrativi, avrebbe, virilmente, dovuto avvertire il dovere morale di rendicontare la sua prova e le sue responsabilità (in concorso con i supporti tecnici ingiudicabili).
Se l'avvocato azzurro avesse voluto essere coerente coll'abusata cifra del liberalismo cavalleresco, di cui si proclama epigono, si sarebbe messo da parte.
In realtà, da parte si è messo solo allentando la morsa di un superpresenzialismo mediatico, tanto inopportuno quanto immotivato dalla discrepanza tra le mirabolanti performances prestazionali e l'evidenza fallimentare. Dei fatti! Mentre dei reconditi presupposti, che ne avevano punzonato l'ingaggio assessorile (e per di più al vertice di una corrazzata dotata di un fondo spesa annuo di quasi 20 miliardi pari a tre quarti dell'intera dotazione finanziaria) non mette conto esternare, tanto appaiono plasticamente confermati.
Nel marasma di uno scenario pesante e nell'evidente tentativo una narrazione ad usum delphini, se, da un lato, è risultato manifesto l'impulso, soprattutto da parte del movimento del “comandante” (che in Lombardia, come ben si sa, esprime il governatorato) a difendere, a dispetto di una chiara demarcazione delle attribuzioni, le rispettive “terga”, non rinunciando a confondere le carte in tavola.
Quanto all'auto attribuita patente di “eccellenza”, è solo il caso di ricordare l'aforisma di Boskov, secondo cui “essere goal …quando dire arbitro…”
E non pare proprio che nella fattispecie arbitro abbia deciso niente di particolarmente lusinghiero di incontrovertibile sull'operato né del governatorato né dell'assessorato monstre, che faccia inorgoglire il nostro senso di lombardidad.
In una precedente testimonianza avevamo severamente condannato la canea espressa anche in forme violente e minacciose contro chi ha svolto ruoli gestionali.
Il che non esime, adesso che è doppiato l'acme delle criticità, dall'obbligo di riannodare la normale dialettica politico-istituzionale; che assegna all'esecutivo il compito di dar conto ed alle forze di opposizione il dovere di chieder conto.
Sotto tale profilo dobbiamo aggiungere che i due campi, all'avvio della fase tre, non ci stanno sembrando particolarmente efficienti. Infatti, mentre l'avamposto della denuncia nei confronti delle vistose carenze è presidiato dalla testimonianza della, come si diceva un tempo, società civile, l'opposizione consiliare sembra balbettante.
Mentre, ancora, l'establishment del Pirellone, che non può essere ritenuto responsabile dell'innesco della pandemia, sembra essere inconsapevole delle concause per cui nella propria giurisdizione territoriale il fenomeno ha per settimane mantenuto posizioni da hit parade mondiale.
Che nel, stricto sensu, nostro territorio ha raggiunto e superato picchi sconosciuti.
Ora non ci vengano a dire che tutto ciò è ascrivibile all'ordine dell'eccezionalità e delle dimensioni del guaio. Che sono comuni ad almeno altre due Regioni (Veneto ed Emilia Romagna) che, inizialmente, furono nelle nostre medesime condizioni. Da cui uscirono, non perché dotate di poteri miracolistici, bensì di retroterra organizzativi, articolati in presidi territoriali dimostratisi particolarmente adatti ad una risposta consona alla natura della crisi del sistema sanitario.
Se è permesso il nostro suggerimento (che prescinde da qualsiasi richiesta di dimissioni e di elezioni anticipate), sarebbe il caso che il Consiglio Regionale nel suo insieme dedicasse tempo e risorse alla rivisitazione del percorso attraverso cui la Lombardia ha stravolto il modello che è servito a Veneto e ad Emilio Romagna a limitare i danni.
Importante che ciò si faccia subito, in modo trasparente e con propositi virtuosi.
Non ci sembra rientri in questa fattispecie l'incipit della campagna con cui i promotori della campagna del nuovo ospedale hanno rovesciato il tavolo di un severo accertamento di responsabilità attraverso il ricorso ad una narrazione ingannevole.
Avremo modo di approfondire questo disinvolto modo di sfuggire alle proprie responsabilità introducendo scenari che escludono qualsiasi analisi dei fatti che hanno condotto al disastro.
“Chiodo schiaccia chiodo” deve, il parlamentare europeo azzurro Salini, aver stimato come tattica opportuna per uscire dall'imbarazzo di dover coprire il proprio accolito assessore regionale al Welfare e dall'angolo di una situazione che non ammette svicolamenti (tanto palese è il nesso di causalità tra il disastro del trimestre terribile ed i prodromi gestionali che hanno sfinito e svuotato, a beneficio della lucrosa e parassitaria sanità privata, un sistema regionale che, un quarto di secolo fa, era perfettamente in linea con l'ispirazione della riforma).
Et voila, proprio nell'intento di uscire dall'accerchiamento, il colpo di genio di ribaltare il tavolo spostando l'attenzione con un coupe de theatre: la certezza di un ospedale nuovo di zecca.
Vi avrebbe provveduto l'Europa, poi l'Italia, ed, infine, la Regione. In qualche modo ingenerando l'idea che a caval donato non si guarda in bocca.
Dell'affidabilità della fonte finanziaria di copertura di una spesa, che dire ingente sarebbe poca cosa, non sono mai stati portati elementi d'appoggio inoppugnabili.
La materia del contendere (di cui la messa a carico della spesa continua, fino a prova contraria, a pendere più pericolosamente della proverbiale spada di Damocle) è stata collocata sotto un riflettore apparentemente laterale. Ma che, nelle logiche depistanti del grande bluff, è stato fatto diventare principale e dirimente: l'assoluta convenienza a costruirne uno nuovo anziché mettere mano all'efficientamento di quello esistente.
Sulla storia dell'esistente segnaliamo un interessantissimo approfondimento a firma di Fabrizio Loffi sul settimanale Mondo Padano. Tra qualche giorno ci affiancheremo con un nostro contributo di rivisitazione più politica.
Adesso ci preme denunciare il tentativo di impalcare la verità assoluta della convenienza a costruire un nuovo nosocomio, cominciando dallo screditamento dell'esistente.
Rinviando una trattazione più particolareggiata ad un prosieguo, che affideremo anche a contributi esterni, dichiariamo già nell'incipit che per cultura siamo collocati su due perni etici: 1) siamo contrari alla dissipazione di risorse pubbliche eccedenti lo stretto necessario; 2) a teorica parità di spesa tra l'ipotesi di costruzione ex novo ed efficientamento dell'esistente, non abbiamo dubbio alcuno circa l'opzione della seconda. Per aderenza etica e per consapevolezze da green economy.
E, dato che ci siamo, aggiungiamo che in questo progetto, i cui fondamenti di spesa ci sembrano collimanti con le scienze trilussiane, non c'è nulla che accrediti il modesto scostamento di importo finale tra le due ipotesi.
L'altro aspetto poco rassicurante dell'attendibilità degli sponsors del progetto è che la stroncatura della residua sostenibilità dell'attuale struttura ospedaliera venga da una nomenklatura di boiardi regionali di nomina politica che, dall'“aziendalizzazione” della gestione ospedaliera in poi e a seguire per un quarto di secolo ha fatto scempio di una realizzazione resa possibile dalla forte filantropia del popolo cremonese. Sia sul versante del ridimensionamento delle potenzialità di cura (i 1100 posti letto del 1970, attraverso una cura dimagrante, si sono ridotti della metà) sia sul mantenimento fisico della struttura. Che, negli ultimi 25 anni, ha assistito alla sostituzione di qualche piastrella di rivestimento delle facciate e, negli ultimi mesi, della “razionalizzazione” del parcheggio interno, patrocinato dal nuovo Direttore Generale (che forse in questo modo sperava di stornare l'attenzione dalla fuga dei primari).
Riterremmo che i proponenti di un progetto così impegnativo e dalle modalità così drastiche dovrebbero sentire il dovere di far assistere il loro endorsement da un parere tecnico pro veritate circa l'assenza di alternative praticabili.
Diversamente saremmo costretti ad appellarci ad una delle massime maoiste, secondo cui «La Lunga Marcia iniziò con un passo».
La lunga marcia del nuovo ospedale, in assenza di elementi probanti, inizia con un passo falso.
Niente e nessuno da questo punto di vista ci distoglie, come abbiamo considerato sin dalle premesse, il convincimento che questo spottone altro non sia una trasposizione nel teatrino politico dell'avatiano “Regalo di Natale” quasi interamente giocato sulla suggestione del bluff.
Vorremmo concludere questa riflessione da uno degli aspetti più sgradevoli della sistematica campagna di delegittimazione, da parte della sala regia del nuovo Ospedale, di tutte le voci potenzialmente ascrivibile al campo dei contrari.
Al Direttore dell'ASST di largo Emilio Priori, vorremmo dire che una figura come la sua dovrebbe astenersi dall'entrata a gamba tesa in confronti che attengo al campo squisitamente politico ed istituzionale.
Il fatto che sia stato prescelto sulla base di requisiti di prevalente fedeltà politica, non fa del suo ruolo una accettata prerogativa istituzionale.
Tra i capi di imputazione scaraventati contro i “potenziali” testimoni avversi alla demolizione di un nosocomio costruito mezzo secolo fa il dottor Rossi elenca: “gli affezionati all'attuale struttura semplicemente hanno paura del cambiamento o magari perché vive nel ricordo di antiche donazioni”.
Noi non abbiamo paura proprio di niente, men che meno dei cambiamenti, che sono connaturati nell'idealismo solidaristico del popolo cremonese.
Senza del quale, se fosse dipeso allora come il mirabolante progetto di adesso dipende dalla sicumera della copertura del Pirellone, saremmo ancora nel vecchio ospedale costruito a cominciare dal 600.
Nelle schiere degli “affezionati” militano silenziosamente e armati solo del loro idealismo civico eredi di una straordinaria stagione di testimonianza etica.
La prima ansia, come scriveremo in un prossimo articolo dedicato alle premesse del vecchio “nuovo” Ospedale, dei dirigenti politici di tutte i movimenti e sensibilità fu, qualche settimana dopo la fine della guerra ed in uno scenario di estrema indigenza, di costruire quel nosocomio che fu negli auspici della prima giunta socialista del 1914 e del deputato Giuseppe Garibotti.
Dopo 20 anni di sospensione delle libertà e della democrazia la civica Amministrazione eletta nel marzo 1946, capeggiata da Gino Rossini, pose ai vertici delle realizzazioni del Comune la costruzione di una moderna struttura. Ci sarebbero voluti altri 20 anni per predisporre le condizioni.
Cremona si sarebbe, attraverso le donazioni e i lasciti di una cittadinanza che giustamente si rifà alla lezione del suo patrono Omobono Tucenghi, autotassata. Con un gigantesco fundraising.
Il direttore Rossi, nonostante che la sua posizione non dipenda dalle prerogative elettive, dovrebbe ispirarsi quanto meno a cautela e rispetto verso i cittadini.
Che, se non propensi per la maggior parte alle chiassate di cui si pasce la politica di oggi, non sono disposti a transigere quando si passa il limite del garbo.
Ci ha scritto, nel merito della campagna del nuovo Ospedale, una nostra vecchia amica, Clara Rossini, figlia, nonostante sia deceduto più di 70 anni fa, di Gino Rossini, antifascista angariato dal regime, partigiano, dirigente socialista, Sindaco dal 1946 al 1948, prematuramente scomparso per i postumi di una ferita della Grande Guerra e delle ricorrenti bastonature.
Le sue sono riflessione di buon senso, anche se sottendono una forte radice etica che si riannoda ad un preciso convincimento politico.
Riportiamo di seguito alcuni passi del whatsapp:
Buongiorno Enrico! Non so come la pensi tu ma non condivido la scelta di un nuovo ospedale. In quello attuale vi sono fior di reparti chiusi per mancanza di personale. Quando sono stata ricoverata per la frattura del perone ho dovuto attendere una decina di giorni per la mancanza di posti letto perché vi erano camere chiuse per la penuria di personale. Così in cardiologia un intero reparto off limits. Vogliamo creare un altro caso “vecchio ospedale“ sede per anni di topi, ragnatele e tanto altro, nel centro della città? Rubiamo altro spazio alla natura quando l'attuale costruzione ne abbraccia una buona porzione??
Mi sembra di tornare ai tempi della legge Basaglia. Si voleva ripartire da zero per iniziare le nuove esperienze quando lo stesso dottore indicava alcune basi già rivelatesi utili nel vecchio sistema. Si pensa a creare dal nuovo e non all'assunzione di infermieri e dottori per una maggiore larga assistenza ai cittadini e ad un alleggerimento di prestazioni e orari a quelli attualmente in servizio. Sono sconcertata e non capisco né Galimberti né Pizzetti.
Scusami, riferendomi all'assunzione intendevo immediata e non faremo, chiederemo, riconosceremo....quanti soldi ci hanno fregato causando il declassamento del nostro ospedale?? Ora li fanno cadere dall'alto se mai cadranno... Si vuole creare una super struttura come a Milano che ha ospitato solo 25 pazienti ed ora è chiusa?? Hanno interpellato i primari e i loro collaboratori per essere informati delle possibili soluzioni al problema?? D'accordo che siamo nell'epoca dell'usa e getta, ma ci stiamo ridimensionando con la crisi finanziaria mai terminata e ora aggravatasi...il governo non dovrebbe fare altrettanto??? Possibile che ristrutturare o migliorare debba prendere più tempo che creare dal nuovo senza sapere ancora dove è come??? Scusami lo sfogo ma io la vedo così. Un abbraccio.