Di iniziativa, come prevede la legislazione relativa all'istituzione referendaria, di ben 9 Regioni, che hanno deciso di opporsi all'estensione fino all'esaurimento dei giacimenti delle concessioni, avvenuta ad opera della Legge di Stabilità per il 2016.
Non si può dire che coi tempi brevi della campagna, col marasma politico generale e, soprattutto, con il portato di confusione indotto, come si diceva, dalle appena dette precondizioni, oltre che dal solito impulso scandito dalla dezenformacija, il referendum numero 60 sia destinato a griffare una fase esaltante della vita pubblica italiana.
Delle pulsioni e degli obiettivi, che hanno radicato l'iniziativa referendaria, abbiamo, nel precedente articolo, tutto quanto pensavamo si potesse e dovesse dire, nell'interesse della chiarezza.
A cominciare dal parterre vasto e forse un po' sospetto dei sostegni politici, arrisi all'iniziativa delle Regioni (Lega, 5 Stelle, Forza Italia, sinistra radicale, sinistra” del PD) e di quelli associativa (nel lungo elenco del coordinamento spicca per evidenza (e curiosità) la LIPU- lega protezione uccelli (da cui da dieci anni mi sono dissociato) e l'ARCI-Caccia (che nel suo vasto parterre rende compatibili le ragioni dell'ambiente e la passione venatoria). Cui si è aggiunto, nelle ultimissime ore, l'endorsement del molleggiato per eccellenza, che (fortunatamente, de gustibus) non canta più, ma che non perde mai occasione per essere al centro delle “testimonianze civili”.
Il gigante, Adriano Celentano, che, tra gli anni settanta ed ottanta, aveva raggiunto le estreme vette del pensiero critico con l'incontrovertibile assioma secondo cui “Chi non lavora non fa l'amore”, volendo dare sempre il meglio di sé, non ha perso l'occasione del referendum trivelle. La sua è una testimonianza a favore della preservazione dell'ambiente (che in nessun caso sarebbe comunque a rischio, va aggiunto); anche a costo di far perdere posti di lavoro.
Alla filosofia musicarella, cui trent'anni fa non garbava che i lavoratori scioperassero per il lavoro e per condizioni di vita dignitose, oggi antepone a quei diritti la preservazione dell'ambiente (che nelle conseguenze antitetiche dell'esito del referendum non è assolutamente in causa).
Vero è che il “molleggiato” ha sentenziato: “Meglio perdere posti di lavoro che la salute. Quegli undicimila che perderebbero il posto salverebbero 22 mila bambini dal cancro”.
Ci sono momenti in cui la logica si avvita in spirali paradossali.
Sono ormai evidenti e palpabili, nelle motivazioni e nel percorso referendario, quell'insopprimibile impulso, tipico di ampi settori dell'opinione pubblica e della classe politica a votare sempre contro.
Per comprendere meglio il concetto, si potrebbe ricorrere alla segnalazione dei numerosi esempi di narrazione dei pro e dei contro le ragioni del comportamento nel segreto della cabina, ormai caricate di riflessi pavloviani.
Per come è messa, la prospettiva è che per i referendum di aprile ed ottobre non si voterà su scelte a tema (chiudere i pozzi e riformare la Costituzione), bensì sulla demarcazione manichea tra buoni e cattivi.
Se è comprensibile che i sostenitori delle ragioni abrogative si organizzino per orientare l'elettorato (ciò che è avvenuto anche nella nostra provincia), sconcertano la vaghezza e la sostanziale diserzione dalla dialettica del fronte opposto (costituito praticamente solo dal governo).
Come ci comporteremo noi il 17 (non andremo alle urne, senza tuttavia concederci ad alternative edonistiche), l'abbiamo scritto e lo ribadiamo; invitando chi la pensa come noi a fare la medesima cosa.
Ma la nostra testata, che si avvale di un retroterra di testimonianze e di contributi quasi mai partisan, avverte il dovere di rappresentare l'opinione di chi è di altro avviso.
In tal senso, abbiamo sollecitato il qualificato intervento di Giancarlo Storti, nostro editor, e di Giuseppe Azzoni, un osservatore molto attento alle vicende politiche, dopo essene stato in altra epoca apprezzato protagonista.
e.v.
Il PD fatica a capire il nuovo della società di Gian Carlo Storti
Su questa vicenda del Referendum sulle Trivelle cadono massi pesanti. Lo scandalo Guidi –che sul piano giudiziario finirà come i giudici accerteranno i fatti- ripropone diversi temi ed in particolare due: di nuovo la questione ambientale ed il distacco della politica da una parte di cittadinanza attiva, che si batte per un modello di sviluppo alternativo all'attuale.
Chi mi segue sul blog sa che ho criticato fortemente la decisione del PD di Renzi di proporre l'astensione dal voto per la sola ragione che in questo modo si disaffeziona il ‘popolo sovranò alla partecipazione.
Non condivido questa posizione in quanto non cambia la sostanza del problema e di fatto ‘delegittimà lo strumento di partecipazione quale il referendum (che nella proposta di riforma costituzionale è profondamente modificato) e non decide nel merito ovvero o votare SI o NO.
Anzi vi è un approccio teso a sminuire il valore del contenuto non cogliendo- secondo me- che la maggioranza dei cittadini vuole un nuovo modello di sviluppo per il nostro paese. Questo è confermato da più pronunciamenti popolari a partire dal nucleare fino all'ultimo referendum sull'acqua pubblica.
Il Senatore Pizzetti, dichiarando – controcorrente rispetto al suo partito- di andare a votare e di votare NO dimostra di cogliere le difficoltà che il PD ha nel rapporto fra politica e partecipazione.
Poi il fatto che voti NO è una sua scelta di merito che ha lo stesso valore democratico di chi voterà SI.
Renzi in questa tornata ‘referendarià non governa il PD. Ha contro pezzi importanti quali il Governatore delle Puglie Emiliano ed altri esponenti regionali che sono stati i promotori del Referendum partendo appunto dalla necessità di cambiare il modello di sviluppo della società e quindi ponendosi il problema di come avere il consenso della partecipazione.
Quasi tutto il mondo dell'associazionismo laico e cattolico è per andare a votare e votare SI a dimostrazione- se ancora ve ne fosse bisogno- del distacco del PD- visto solo come un partito di Governo- e la società più sensibile su questi temi.
Tutto questo detto, non credo che la partecipazione al voto supererà il 50% più uno degli aventi diritto, ma sono certo che i SI prevarranno.
Come voterò io? Non è importante. Sicuramente mi recherò al seggio e voterò. Spero che in tanti partecipino al voto.
L'astensione: un'opportunistica furbata, ma anche un'arma a doppio taglio, pericolosa per la democrazia di Giuseppe Azzoni
Leggo, con negativa meraviglia, che L'Eco del popolo consiglia di non andare a votare nel referendum, sui pozzi petroliferi vicini alla costa, indetto da 9 Regioni. Se la gente non vota, si dice, è come votasse “no” perché si rimarrebbe sotto il quorum di elettori votanti necessario perché il responso sia valido. Io andrò a votare, come ho sempre fatto, e voterò “si”, cerco di riflettere e confrontarmi con le ragioni di chi voterà diversamente e prenderò atto del risultato liberamente e democraticamente espresso.
Sono convinto che il quorum (e con esso il numero di firme o di Regioni necessario per indire un referendum) sia un criterio per dare autorevolezza e peso al responso popolare. Nelle olimpiadi l'asticella del salto in alto certifica chi supera o meno una prova, non è certo messa… per passarci sotto, chi passa sotto è squalificato e basta.
Ora invece abbiamo un capo del governo che predica l'astensione definendola una forma di espressione di volontà sul quesito referendario. Per me questa non è solo una opportunistica furbata ma è anche un'arma a doppio taglio pericolosa per la democrazia. La democrazia vive della partecipazione popolare. Chi la rappresenta non può salire, pur di vincere una competizione, sulle spalle di un ciclope, oggi purtroppo molto forte di per sé, quale è la miscela di non conoscenza che c'è un referendum, di disinteresse, di discredito della politica, di sfiducia e quant'altro che lo alimenta, spingendo a non andare a votare. Una volta che ti affidi ad esso non sai dove questo ciclope potrà andare a parare.
Rilevo quindi con dispiacere che anche “L'Eco del popolo”, che fu bandiera storica della lunga e dura battaglia per il diritto di voto universale (anche in polemica con chi, a sinistra, considerò per un momento l'astensione come arma della rivoluzione), oggi si accodi ad un furbesco e grave invito governativo alla gente perché non vada a votare.