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REFERENDUM 2020-2

Dalla "Grande Riforma" al colossale imbroglio

  31/08/2020

Di Tommaso Anastasio

REFERENDUM+2020-2

Col referendum costituzionale di settembre ci verrà chiesto, senza che si debba raggiungere un quorum (è bene ricordarlo), di avallare il taglio del numero dei parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. 

Come socialisti, siamo convinti che in assenza di una riforma complessiva ed organica degli assetti istituzionali, da un lato, e di una più coerente legge elettorale, dall'altro, ci troveremo inevitabilmente difronte a squilibri pericolosi. Sia per la tenuta democratica delle istituzioni, ovvero, delle sue fondamenta basate sulla democrazia rappresentativa, sia per quanto concerne la già residuale dialettica fra Parlamento ed Esecutivo, a tutto vantaggio di quest'ultimo e dei “capipartito”.

Vogliono forse ridurre il numero degli eletti per non disturbare i pochi “manovratori”? Senza scomodarsi in congetture o possibili derive autoritarie, come disse Giacomo Matteotti nel suo ultimo discorso al Presidente della Camera il 30 maggio 1924 (prima di essere assassinato una decina di giorni più tardi da una squadraccia fascista): “Matteotti: Onorevole Presidente! Presidente: Onorevole Matteotti, se ella vuol parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente. Matteotti: Io chiedo di parlare non prudentemente né imprudentemente, ma parlamentarmente”. Queste sole tre righe bastano a definire, nella pratica, l'alto valore e il nobile significato del Parlamento. “Pavidi” e “Yes man”, come allora, non mancano, ma ciò non toglie che tale spazio debba rimanere il luogo privilegiato del confronto istituzionale; della dialettica ad alto valore aggiunto, nella più ampia condivisione fra gli eletti dal popolo.

Dati 2012

Le giustificazioni addotte dai promotori del taglio si rifanno banalmente alla riduzione della spesa pubblica (quasi irrilevante) e ad un maggiore efficientamento delle attività parlamentari (tutto da dimostrare). Sebbene riscontriamo nella prima motivazione la possibilità di perseguire il medesimo risultato attraverso il taglio degli emolumenti e dei benefit che sono a dir poco vergognosi in proporzione alla produttività media dei nostri rappresentanti, non capiamo invece come potrebbe aumentare l'efficienza se avessimo meno parlamentari a fare la stesse cose. Riguardo quest'ultima, l'ostacolo maggiore è, semmai, l'ultragarantismo, giustamente dato dai nostri padri costituenti (visti i terribili trascorsi durante il ventennio fascista) che ha però inevitabilmente compresso le capacità del Parlamento di essere efficiente e, forse ancor di più dannoso ai giorni nostri, reattivo. È dunque questo semmai uno dei suoi limiti più plausibili, insopportabile orpello nell'immaginario collettivo; in aperto contrasto con una società che vorrebbe liberare le sue energie più vitali e sulla quale fanno leva i movimenti populisti.

Quasi quarant'anni fa (era il lontano 1982) nella “Conferenza Programmatica di Rimini del PSI”, fra i tanti temi all'ordine del giorno dei socialisti riformisti vi era la questione delle riforme istituzionali (la “Grande Riforma”) con l'intento di risolvere gli atavici problemi di ingovernabilità e favorire la modernizzazione e il progresso del Paese.

Una maggiore “produttività” (termine politicamente infelice ma utilmente sbrigativo) delle Istituzioni per essere al passo coi tempi dovrà passare piuttosto dal riequilibrio fra le garanzie, cioè della rappresentanza parlamentare, in giusto rapporto agli elettori e senza ingannevoli propagande che ci vogliono al di sopra degli standard europei e mondiali (vedasi gli impropri paragoni con gli USA) e l'efficienza, conseguibile attraverso maggiore omogeneità e forza dell'Esecutivo. Ecco che si potrebbero meglio realizzare gli stessi effetti negli auspici dei promotori del taglio del numero dei parlamentari passando da un bicameralismo perfetto (ormai inutilmente ridondante e foriero di anacronistiche lentezze procedurali) ad un monocameralismo di 630 deputati (esattamente come oggi), più snello per definizione. Senza eterogenesi dei fini. Del Senato se ne potrebbe fare a meno, oppure, lo si potrebbe modificare in organo consultivo, accorpandovi il CNEL (altro Ente in bilico), in rappresentanza degli interessi dei territori e delle parti sociali.

In ultimo (ma non per importanza), coerentemente collegata al ragionamento appena fatto, necessiterebbe una legge elettorale (proporzionale con sbarramento minimo a garanzia del più ampio pluralismo) in grado di rappresentare il più possibile le diverse opinioni e gli interessi del Paese. La stessa, come logica conseguenza, consentirebbe la formazione di un governo più stabile, se forte di accordi preelettorali e non di “accordicchi” a posteriori per il mantenimento, effimero e solo fine a se stesso, del potere. Le alleanze, in un tale sistema tendente al bipolarismo (più aderente alla realtà dei fatti nella formazione di una maggioranza e di un'opposizione) in cui però all'interno dei due schieramenti i “pesi” dei vari partiti saranno stabiliti dall'esito delle consultazioni elettorali.

A parte i rappresentanti pentastellati di cui conosciamo l'ambizione ad affermare la “loro” democrazia diretta (per la quale il Parlamento dovrebbe sparire  e paradossalmente i cittadini verrebbero chiamati a votare tutto ciò che conviene ai governanti di turno) ci fa specie la miopia, per usare un eufemismo, dei dirigenti di altri schieramenti che in Parlamento hanno votato (e fatto votare, dopo essere stati contari per ben tre volte!) una legge per pura convenienza partitica, ma che per i cittadini italiani non farà certo alcuna differenza Anzi, se la farà, come detto, sarà in peggio.

Ecco che nella legge oggetto di referendum non riscontriamo, oltre alle semplicistiche e demagogiche soluzioni, modifiche sostanziali utili al funzionamento delle Istituzioni da cui dipende il destino del Paese. Oggi più che mai in un “mondo che va a cento all'ora”.

fonte: Repubblica
fonte: Repubblica

Questi sono elementi che devono fare riflettere i cittadini e che in piena libertà di pensiero dovranno esprimersi per il SI o per il No al referendum in oggetto. Che avrà una valenza capitale, questo va sottolineato, sulla tenuta o meno del Governo.

Se dovesse vincere il NO molti esponenti di partito avrebbero di che riflettere sulla loro incoerenza, ma non ci aspettiamo tanto lusso...

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