Dirà il prosieguo degli accertamenti cosa abbia pesato realmente nelle motivazioni e nelle dinamiche di un omicidio-suicidio, riuscito, fortunatamente, a metà.
A noi interessa prevalentemente il retroterra di una vicenda umana che può fungere da apologo di una metafora; in cui i due poveri coniugi anziani diventano, loro malgrado, segnalatori di un profondo disagio sociale ed esistenziale, che appare senza sbocchi sul terreno della dignità e della sostenibilità.
Un disagio, meglio un male di vivere, cui, sulla spinta dell'assuefazione alle cattive notizie ed alle tante ingiustizie, la gran parte della gente, dopo una prima reazione improntata da un miscuglio di stupore e sconcerto, potrebbe essere indotta a girare la faccia dall'altra parte. Archiviando la vicenda come un episodio tragico capitato, ma capitato ad altri.
Ma ci sono tanti altri, che, pur non approdando alla tragedia eclatante di Libero e Bianca, ne vivono una non meno insopportabile a dosi quotidiane costanti; con la stessa inesorabilità (per quanto limitata sia la scansione temporale) del fine pena mai.
Perché, come abbiamo detto nel precedente articolo, quel dramma è vissuto, più o meno, da un'ampia fascia di cittadini, immersi nelle criticità e nelle complicanze della senescenza od in esse coinvolti per rapporto parentale.
Il fatto che tale stato non sfoci sempre nella catastrofe conclamata non solleva l'anima; perchè la questione sociale, di cui apprestiamo a parlare, esiste ed è visibile ad occhio nudo
E.V.
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