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Nel 70° della Liberazione. Ribadire le basi antifasciste della Repubblica

Auspicio: la manifestazione a Cremona di sabato, con cui gli aderenti ai centri sociali intendono ribadire le ragioni del loro antifascismo, abbia uno svolgimento coerente

  22/01/2015 22:20:00

A cura della Redazione

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RIBADIRE LE BASI ANTIFASCISTE DELLA REPUBBLICA E FAR CESSARE I “DUELLI” VIOLENTI. Ci risiamo. Il panorama cittadino, che dal punto di vista dell’ansia e della vivacità del pensiero potrebbe definirsi da elettroencefalo piatto, ogni tanto si rianima. Per così dire, si concede dei botti. Ma non quelli a base pirotecnica che, in versione gride manzoniane, il Sindaco Galimberti ha, con poco successo pratico, vietato per la notte di Capodanno.

Sono i botti dell’esuberanze che i moderati di un tempo, sacerdoti del “tagliare e sopire”, mettevano in conto agli “opposti estremismi”.

Una locuzione questa, che poneva, al di là del più o meno fondato parallelismo tra le modalità di testimonianza, un’equivalenza quanto meno inappropriata.

Per farla breve, osserveremo che, da quando è approdata alla piazza cremonese Casa Pound, s’è acceso un “confronto”, non esattamente pacato, con la parte avversa, rappresentata dagli ambienti antagonisti di sinistra.

Come loro, gli inquilini di Casa Pound, richiamantisi appunto al pensiero di Ezra Pound, censore dell’usura e delle dottrine capitaliste e marxiste, nonché cantore delle mirabilia della R.S.I. (per la cronaca, pare che gli eredi del poeta abbiano più volte dichiarato di non gradire l’accostamento), sono costituiti in centri sociali. Soltanto che appartengono alla destra radicale.

Questa versione, cingolata, del revisionismo neo-fascista, proteso al superamento della dicotomia destra-sinistra, che si avvale di un’efficace tecnica di proselitismo capace di miscelare cultura pop e neofascismo, da due anni, come si diceva, è approdata, si diceva, anche a Cremona.

Dove si è dotata, con una sede collocata in posizione centralissima, della condizione minimale per praticare la propria comunicazione e la propria azione, di proselitismo e di azione.

Volendo essere più particolareggiati, il versante neo-fascista cremonese contemplerebbe anche la presenza attiva di Forza Nuova. Che, in un recente passato ha dato segnali di sé, attirando, di tanto in tanto, nella città di Stradivari manipoli di manifestanti provenienti da altri territori.

Non tutti se lo ricorderanno; ma le scene della città, posta sotto assedio da, come si suol dire, facinorosi interessati solamente ad un scontro poco dialettico, sono state ricorrenti ed inquietanti.

Qui non si tratta solo dei contrasti, anche fisici, dei tempi della tensione degli anni 70; quando non meno determinati testimoni del nostalgismo e dell’eversione nera (alcuni anche autoctoni) affrontavano provocatoriamente la piazza. E venivano adeguatamente contrastati dalla testimonianza antifascista. Che, essendo gestita, non sempre mansuetamente, da un popolo, motivato ma responsabile, e da servizi d’ordine, decisi ma coscienti dei rischi, non sconfinò dalla linea di qualche prammatica sanzione a colpi di insulti e, tutt’al più, di qualche spintone.

Ma anche su tale fronte, i tempi sono cambiati.

Il neo-fascismo classico, al netto dei rigurgiti eversivi operanti frequentemente al soldo e agli ordini degli organi deviati dello Stato, si è andato istituzionalizzando e, pur non rinunciando alla griffe identitaria, è approdato alla stanza dei bottoni.

Fino a raggiungere, parallelamente agli snodi della seconda repubblica (imperniata sul mantra del superamento degli steccati tra destra e sinistra), posizioni di vertice.

D’altro lato, andrebbe anche qui sottolineato che, già poco dopo la Liberazione, era insita in certi ambienti politici del CLN una propensione a tenere la mano leggera in materia di epurazione.

Che comportava il rischio, non si sa quanto consapevole, di imprimere una chiara e decisa discontinuità, soprattutto nell’ordinamento statale, tra lo sconfitto e disintegrato regime ed il contesto post-resistenziale.

Se ne sarebbero viste le conseguenze. A principiare dall’immediata ricostituzione di un movimento fascista, che sapientemente miscelò parlamentarizzazione e opzione eversiva. Almeno fino all’esaurimento della cosiddetta prima repubblica; quando vennero messi in discussione durevoli equilibri.

Ad agevolare la sua evoluzione, in cui non sempre è stato facile distinguere il grano (della resipiscenza) dal loglio (dell’opportunistico trasformismo), indubbiamente ha concorso la propensione della sinistra post-comunista ad elevare il rating democratico (a “sdoganare”, come si insisteva), oltre che se stessa, anche l’avversario.

S’intende, come partners legittimati nei nuovi scenari del bi-polarismo: non più lo schema destra/sinistra inconciliabili; ma centro-destra/centro-sinistra alternativi, ma fungibili.

Su questo terreno un fondamentale contributo fu offerto dalle riflessioni e dalle esternazioni del Presidente della Camera, Violante, che, in qualche modo riconoscendo l’onore delle armi alla buona fede dei ragazzi di Salò, tentò una possibile via della pacificazione nazionale.

Ha sostenuto, di recente, Arrigo Levi: “Dovremmo compiacerci di mezzo secolo di progresso civile e materiale. Invece è di moda rivendicare le presunte ragioni di tutti coloro – a partire dallo squadrismo e dalla dittatura fascista – fino alle BR – che cercarono con la violenza di costruire l’esatto opposto di quello che siamo.

Gli epigoni sono ancora in guerra contro lo Stato costruito grazie all’antifascismo ed alla Resistenza”

Già, dovremmo. Ma, la storia non è scritta una volta per tutte e può ripetersi (anzi non pochi operano perché ciò avvenga); ed, allora, perché stupirci se siamo costantemente di fronte ad un passato che non passa e ad un futuro che non arriva. Va da sé che il sistema, se, da un lato, è attrezzato per metabolizzare la transizione del tradizionale neofascismo, dall’eversione all’omologazione, dall’altro, non fatica a fronteggiare gli effetti della reincarnazione delle pulsioni eversive di timbro nazi-fascista, di ultima generazione.

Specie, quando la proliferazione mediatica associata alla mondializzazione degli scambi e degli incontri fornisce assist quotidiani all’emulazione ed al proselitismo.

Ecco, la partenogenesi del batterio, capace di rigenerare, al di là dei mutevoli brands con cui si presentano, e far proliferare l’eversione nera. Il cui habitat di coltura è fornito, o anche solo agevolato, dal contesto in cui gli establishments irresponsabilmente consentono o favoriscono intollerabili divaricazioni nell’assetto sociale.

Per di più, come nel caso di Casa Pound, il messaggio e la tecnica di reclutamento fa leva, più che sulla nostalgia e sul rimpianto di preesistenze non vissute, su un sapiente mix di cultura pop (un must evergreen per i giovani) e di facile richiamo alla purezza rivoluzionaria dell’ordine, del ripudio della contaminazione, ecc.

Se si aggiungono il format autogestionario dell’associazione, un certo distacco dalle lusinghe di carriera, la consapevolezza di un fisiologico bacino di interesse giovanile verso tali messaggi, les joeux sont faites.

Ci sarebbe da osservare, in aggiunta a certe amnesie ed aporie tipiche del mostro partorito dal pensiero debole e liquido e dai movimenti leggeri, che i buoi sono ormai usciti dalla stalla e che gli ooooh! di sorpresa sono quanto meno stucchevoli.

Il 70° della Liberazione presenterebbe un’ulteriore occasione propizia per uno slancio di pacificazione nazionale che integrasse, però, un principio irrinunciabile.

Vale a dire che i vincitori, come vengono sprezzantemente definiti gli epigoni della testimonianza antifascista, non possono essere disposti a sconti.

A cominciare dalla riaffermazione che, se avessero vinto gli altri, oggi la situazione della per quanto macilenta democrazia sarebbe un po’ diversa.

Sotto tale profilo, è lecito chiedersi se il fronte democratico riesca veramente ad articolare qualcosa di più dell’indignazione (giustissima!) nei confronti delle ricorrenti esuberanze dell’eversione nera.

Premesso che è irrealistico consegnare il problema ad una risposta di mero ordine pubblico (soprattutto, in momenti in cui gli apparati vengono sguarniti e la domanda di sicurezza è accresciuta dalla proliferazione malavitosa), l’antifascismo è ancora in grado di mobilitare le coscienze?

Da un lato, la lettura equidistante data dal Sindaco di Cremona, figlia della continuità “moderata” (neanche un primo cittadino democristiano avrebbe potuto fare meglio!) e, dall’altro, la tradizionalissima riproposizione di schemi reticenti non contribuiscono e non contribuiranno in prospettiva a fare dell’antifascismo un fatto permanente di condivisione comunitaria.

A meno che la si voglia relegare nei gesti sempre più rari delle celebrazioni convenzionali e a meno che la si voglia delegare ai “compagni” dei centri sociali.

Il cui identikit è stato così delineato dalla compagna di Rifondazione “Gli attivisti del Dordoni non sono mai fisicamente aggressivi, magari su certi temi prendono posizioni intransigenti, che si esprimono senza troppi giri di parole, però non risulta abbiano mai aggredito volontariamente e premeditatamente qualcuno”.

Sarà, ma senza metterla in conto ai militanti del Dordoni, abbiamo ben impressa nella memoria l’occupazione violenta della Sala del Consiglio Comunale (quindi, il simbolo per eccellenza dell’istituzione cittadina), da parte di esagitati che contestarono nel novembre 2013 la celebrazione solenne dei 100 anni compiuti dal Prof. Mario Coppetti; al grido, ovviamente, di “fascisti”.

Fascista a Coppetti, uno dei pochi coerenti antifascisti durante tutto il ventennio e uno dei più attivi nella Resistenza e nella Liberazione.

Per non dire, dell’ormai radicata usanza della reciproca contestazione in occasioni di manifestazioni pubbliche; a suon di intemperanze violente, che mettono in sospensione la compostezza del vivere comune.

Ora non v’è chi non veda l’urgenza di porre contrasto ad un siffatto stato di cose, che svilisce le basi democratiche della Repubblica e che turba l’ordine pubblico.

Chi deve intervenga, decisamente, per l’attuazione delle leggi che vietano l’apologia del fascismo. Non sappiamo se appartenga alla competenza comunale il rilascio dell’autorizzazione all’apertura di sedi in capo ad organizzazioni operanti nel solco dell’apologia. Se sì, tali sedi vengano chiuse.

Sicuramente, appartengono agli organi di polizia le autorizzazioni per le manifestazioni pubbliche e la sorveglianza sulle condizioni per l’esercizio della libertà di manifestazione democratica.

Giusto quanto ha sostenuto il consigliere socialista Paolo Carletti nel dibattito nell’aula consigliare del Municipio.

Non si può essere equidistanti tra gli opposti fronti della testimonianza antifascista e dell’eversione neo-fascista.

La testimonianza antifascista, però, deve manifestarsi secondo i valori ed i principi che gli sono propri.

Nessuno pensa di imporre ai ragazzi dei centri sociali i moduli, con cui la pluralità dell’antifascismo cremonese è sempre sul pezzo; della riaffermazione intransigente di quei valori e della loro divulgazione, soprattutto, nelle nuove generazioni e nell’ambiente scolastico.

È solo il caso, qui, di segnalare il collaborante impegno di ANPI, Partigiani Cristiani, Associazione Divisione Acqui; i viaggi della memoria; l’attività di ricerca storica; la convegnistica divulgativa; l’editorialistica.

Ma, evidentemente, tale timbro viene fatto rientrare nelle categorie dell’antifascismo rinunciatario.

Per essere in linea con i canoni della Resistenza non tradita par di capire che bisognerebbe praticare una testimonianza a colpi di spranghe.

L’antifascismo della ragione non può che ripudiare tale logica e tali modalità.

La criticità del momento, che riverbera le sue ombre sullo stato di tensione di una città, della sua agente, delle sue attività, può suggerire, insieme ad un deciso contrasto alla degenerazione del tessuto democratico, l’opportunità di aprire un confronto anche con le frange rappresentate, come si esprime l’esponente di Rifondazione Comunista, da coloro che “prendono posizioni intransigenti, che si esprimono senza troppi giri di parole “.

L’ordine dei fattori che concorrono alle riflessioni in corso non cambierebbe sostanzialmente anche se si accertasse il fondamento delle congetture fatte in queste ultime ore (e tutte ovviamente da verificare) secondo cui l’attivista del Centro sociale Dordoni ferito gravemente domenica ha iniziato la militanza nell’opposto campo politico.

Curiosamente il coordinatore di Casa Pound, interpretando la dinamica delle cruente vicende di domenica scorsa (svoltesi in un ambiente deputato alle attività sportive!), ha pensato di attenuare la premeditazione e le responsabilità; soprattutto, in rapporto al fatto più grave, rappresentato dal ferimento di Visigalli.

“ Sarà caduto e ha battuto la testa”. Non vogliamo inorgoglirlo; ma, 92 anni fa il capo della squadra, che, in un agguato perpetrato nella cascina Traballino di S. Vito di Casalbuttano, aveva vilmente massacrato il vice-presidente della Provincia e dirigente della cooperazione cremonese, Attilio Boldori, si era appellato all’incidentalità del fatto e delle sue conseguenze.

Boldori era, sì, caduto, ma sotto la gragnuola dei manganelli farinacciani. Aveva anche lui battuto la testa. Colpa sua, se quella testa era fragile.

Non si può che concludere con un auspicio: la manifestazione a Cremona di sabato, con cui gli aderenti ai centri sociali intendono ribadire le ragioni del loro antifascismo, abbia uno svolgimento coerente con tali enunciate ragioni.

E.V.

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