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Liberi ed indomabili Claudio Martelli a Crema a sostegno di Mimma Ajello

L’adesione alla lista civica, guidata da Mimma Ajello, finalizzata ad un orizzonte contingente ma non necessariamente limitato, rappresenta un primo snodo per le potenzialità della riacquisizione di un ruolo nella vita politica e nel confronto nella sinistra del territorio.

  09/06/2017 16:43:00

A cura della Redazione

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… come il cavallo del West. Ha così apostrofato, con un gesto (chapot) di apprezzabile signorilità che stride con una campagna elettorale miserevole per contenuti e stile, il candidato Sindaco dell’alleanza di centro-destra rivolto al menage elettorale del candidato della civica “Cambiare si può”.

Quanto alla scalcinatezza dei riti e delle virtù dell’attuale classe politica, che si esalta, e se ne comprende la principale ragione, nelle competizioni in vista del voto (la vera e forse unica mission di questa politica), si potrebbe dire qualcosa di più.

Ma, con l’età e la crescita esponenziale dell’inclinazione all’imbarbarimento, francamente ci si è chiuso lo stomaco. Specialmente di fronte a trovate di profilo neo-inquisitorio (tipo la sottoposizione alla prova del capello, che, per i poco informati, sottintenderebbe la non velata accusa a qualcuno dei competitors di far uso di sostanze psicotrope).

Chi scrive, non fuma (da trent’anni) non beve (praticamente più, avendolo fatto in passato a modicissime dosi), ama più che il piacere edonistico il mantenimento della lucidità e, volendo strafare, dichiara di aver condiviso, a suo tempo, l’anatema di Craxi (drogarsi fa male ed è vietato).

Stanti le premesse, è pacifico che gli investiti di pubblico ruolo dovrebbero astenersi da certe abitudini e stili, non esattamente edificanti e potenzialmente meno matrici.

Ma ci passa da tale premessa di principio a scatenare una caccia alle streghe, senza dubbio alcuno ingaggiata allo scopo di esaltare le proprie (supposte) virtù e, per converso, di criminalizzare l’avversario.

Ma, dato che ci siamo, a campagna praticamente chiusa, ci sentiamo, nell’intento di sondare il retropalco del profilo dei candidati, di avanzare, in un’epoca da sei politico (che ha archiviato la prammatica prova di alfabetismo cui in passato erano costretti gli eletti), la sottoposizione al test di q.i. (quoziente di intelligenza ovvero di sviluppo cognitivo). Un requisito di cui, unitamente alla probità civile, l’amministrazione comunitaria si gioverebbe.

Probabilmente in comune con Zucchi abbiamo solo questa intuizione (sulla cifra del candidato di “Cambiare si può”) che si attaglia perfettamente al profilo di una new entry nell’agone politico locale.

L’avvocato Mimma Ajello, per il breve tratto che ce l’ha fatta conoscere dalla candidatura in poi, corrisponde (ed è questa l’unica novità della politica cremasca) ad un canone che da troppo anni è desueto nella vita pubblica: libertà di valutazione e di testimonianza al di fuori degli schemi precostituiti dal conformismo.

È ciò che gli ha riconosciuto (ancoraggio al pensiero critico e determinazione nei propositi) il protagonista di un tardo pomeriggio, speso bene. Ovviamente per chi avesse voluto “contaminarsi” di over dose di bella politica, di cultura istituzionale, di spunti e riflessioni. Che consentano, anche ai più recalcitranti, di sperare ancora nell’inversione feconda di un ciclo decisamente infausto.

Spunti e riflessioni che sono stati attinti da un deposito di sapere e di esperienze vissute e che, hai voglia!, sarebbero molto utili a questo sgangherato Paese.

Zavorrato, da troppo tempo, da un combinato di negatività che confluisce inequivocabilmente nell’accertamento di un sistema-paese preda di un processo regressivo negli standards dei saperi, nell’imbarbarimento della vita pubblica, nella dequalificazione della sua classe dirigente (applicata alla politica come a quasi tutti i restanti ambiti comunitari).

Per chi, come chi scrive, si avvale del “servizio pubblico” televisivo a dosi piccole e selezionate (e, di conseguenza, non può che aborrire l’offerta dei talk shows) la performance di Claudio Martelli, tornato a Crema per una conferenza che ha talmente spaziato (dalla rievocazione del giudice Giovanni Falcone, ad una ragionata valutazione su diseguaglianze, migranti, Europa, socialismo) dall’indurre a recriminare sulla limitatezza temporale, rappresenta una full immersion edificante.

Si deve, oltre che alla capacità di gestire proficuamente la scansione dei tempi dell’oratore, anche alla sapiente conduzione di Paolo Gualandris (che ha dimostrato di stare al proprio posto e di conoscere perfettamente le materie dell’approfondimento) se il meeting, contraddistinto da una partecipazione da prima repubblica, ha avuto uno svolgimento armonico, affrontando pienamente le tematiche in programma.

Martelli ha dato il meglio di sé nella rievocazione dei fatti che conversero nell’epicentro dello scontro (per dirla sbrigativamente) tra lo Stato e la mafia e nella mattanza, con cui l’antistato malavitoso alzava esponenzialmente il livello dell’intimidazione.

Non avrebbe potuto esserci miglior modo per celebrare ed attualizzare, nel venticinquesimo della morte, l’abnegazione ed il sacrificio di servitori dello Stato, come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ed altri. Restando aderente, come ha fatto Martelli, alla verità dei fatti. Senza concessione alcuna alla retorica, alle amnesie interessate, alle resipiscenze postume. In quel periodo egli era Ministro di Grazie e Giustizia e Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, oltre che (lo diciamo ancora con compiacimento) deputato socialista della Circoscrizione Mantova-Cremona. Le fasce elastiche della tenuta del sistema-paese stavano vistosamente cedendo, manifestando le crepe che avrebbero condotto al cambio di passo di un quarto di secolo fa, scandito dalla pressione mediatico-giudiziaria. Ed avviando l’Italia al declino socio-economico e civile tuttora in corso.

Le premesse della bancarotta della finanza pubblica e del modello economico si avvolgevano alla manifesta escalation dei contropoteri malavitosi interessati ad infliggere, nel momento di massima debolezza dello Stato, il colpo mortale.

Fino a lì l’organizzazione mafiosa, con epicentro in Sicilia ed ormai decollata a ranghi multinazionali, aveva pur sviluppando un impressionante volume di criminalità e di influenza economica. In una cornice e con modalità di rispetto del “patto”, non scritto ma evidente nelle dinamiche della politica e degli organi dello Stato.

Non si può esattamente affermare che l’establishment politico-istituzionale comandasse sulla mafia. Ma che sicuramente fosse, interessatamente insincero quando, con ammiccamenti e sottintesi, la riconduceva a dimensioni e caratteristiche appena più che bagatellari.

Una sorta di “ti tollero finché stai nei limiti” e, magari, ti presti al voto di scambio.

Ma, ad un certo punto, i confini dell’invadenza della “piovra” sull’economia, sulla vita istituzionale e sulla sicurezza dei cittadini debordarono dai confini fin lì sistematicamente tollerati. O, più probabilmente, si attivarono nel mondo della magistratura, delle forze dell’ordine, della politica consapevolezze e determinazioni, capaci di porsi l’inversione di quel consolidato scambio.

Si deve a quel ciclo (non uniformemente virtuoso) se coraggiosi civil servants della politica, della magistratura e degli organi di polizia incardinarono una straordinaria risposta strategica. Che, se non ha “asfaltato” (come direbbe un certo neologismo) la criminalità organizzata, sicuramente ha meglio attrezzato la Repubblica a sventare un pericolo mortale. Che avrebbe fatto dell’Italia un paese del tutto omogeneo alle realtà latino-americane od estremo-orientali.

Per noi, che dai ranghi locali della politica abbiamo seguito pari passo la testimonianza politica e parlamentare di Martelli (rinfrescata da quel bel compendio, di memorialistica e di rivisitazione delle fonti del recente ciclo contemporaneo, che è l’ultima fatica editoriale di Martelli dal titolo “Ricordati di vivere”), la lucida e culturalmente onesta rivisitazione di quel tentativo di risposta alla mafia non costituisce novità assoluta.

Ma il suo semplice excursus, alla luce sia dei contrasti di tipo militare messi in campo dalla mafia sia dalla risposta in parte negazionista ed in parte correttiva, assume il significato di un forte contributo di verità.

Rispetto ad una temperie, nei cui confronti è ben lontano l’obiettivo, semmai ci fosse stato e ci fosse, di dissolvere opacità ed incrostazioni che hanno pervaso i gangli più delicati dello Stato e della politica.

Soprattutto apprezzato è stata la definizione del rapporto, umano e gerarchico, instaurato con una personalità come Giovanni Falcone, cui nocque non si sa bene se più l’atroce determinazione del nemico mafioso od il malanimo annidato nell’avversione e nella rivalità tanto della politica quanto del rango cui apparteneva.

La riflessione di Martelli ha spaziato su questioni nodali anche negli scenari attuali.

Attorno a cui è intervenuto, come sui flussi migratori, con piena cognizione di causa.

Ventiquattro anni fa l’agenda delle criticità, comprendeva, oltre alla già analizzata questione mafiosa, anche l’esplosione dei flussi migratori. Nel 1993, a seguito del collassamento del post-comunismo sull’altra sponda mediterranea, si presentarono, a bordo di due navigli provenienti da Valona e da Durazzo, qualcosa come 25.000 “migranti”, solo 4000 dei quali potevano essere definiti, in senso tecnico “profughi”. Questi furono trattati da rifugiati oggetto di tutela internazionale. I restanti 21.000, in un primo tempo accolti negli stadi pugliesi (perché allora non esistevano strutture logistiche che l’emergenza successiva ed il radicamento del business dell’accoglienza avrebbe fatto esponenzialmente proliferare), sarebbero stati riportati in patria a seguito di accordi di collaborazione e sostegno ad un paese manifestamente in disfacimento.

La tanto vituperata “legge Martelli” (che, unitamente al referendum della caccia, incardinò il populismo leghista) costituì la prima (e, visti gli sviluppi, l’unica) risposta razionale ad un’emergenza imprevedibile ed incontenibile con mezzi ordinari. Prevedeva il possesso di due requisiti ai fini dell’accoglienza: abitazione/lavoro ed un tutor italiano.

Nei successivi dieci anni arrivarono in Italia 500.000 profughi. A partire dal periodo successivo, in cui avrebbero operato le leggi Turco-Napolitano e Fini-Bossi, quella cifra sarebbe stata costante, ma come valore annuale. Al punto che, alla fine del decennio, si è totalizzata (ammesso che la calcolatrice abbia funzionato bene) quasi 5.000.000 di arrivi. È compatibile questa massa di arrivi, che comporta integrazione e sostentamento, con un sistema-paese ingracilito dalla crisi e dalle conseguenze che l’accoglienza comporta sui ceti autoctoni forzosamente chiamati a sostenerne il peso?

Lo stesso Papa, che per lungo tempo ha svelato un afflato privo di consapevolezze, sta riconducendo, almeno nelle omelie, i limiti dell’accoglienza all’ambito, se non proprio della ragionevolezza, a quello derubricato di una generica possibilità.

È finita, insieme a molto altro, nel cono di luce della conferenza anche la questione sociale, confluita nel vocabolo “disuguaglianze”. Verso, cui ça va sans dire, il protagonista del meeting ha esercitato un benevolo tratto rosso di matita censoria. Non c’era che da aspettarselo, soprattutto, da chi fu partecipe dell’irripetibile ciclo di analisi e di elaborazioni che portarono nel 1982 al Progetto Della Conferenza di Rimini.

In cui era implicita la distinzione della valenza del termine giustizia. Che definisce i diritti civili. Ma che trova appropriata definizione, in materia sociale, nel binomio “bisogno e meriti”. Ripasso! Perché quella distinzione presenta un’attualità disarmante. In un contesto, in cui il condivisibilissimo afflato a ridurre l’intollerabile forbice dei patrimoni e della destinazione delle risorse prodotte, viene fatto ricondurre ad approdi populistici.

Non meno avvincente, per quanto potesse essere largamente scontato, è stato il contributo di Martelli sullo stallo (o forse sul pericolo di regressione) dell’integrazione europea. Dopo averne analizzato le dinamiche, il relatore ha evidenziato, però, una serie di controspinte in grado di far riprendere un virtuoso percorso di armonizzazione ed integrazione. Tali correzioni, ovviamente se corrisposte da congrue visioni della politica e dell’economia, provengono dal disassamento di poteri consolidati di valenza mondiale e dalla ridistribuzione delle carte tra i partners europei. Sulla scena continentale stanno giungendo nuovi approcci e nuovi protagonisti, che potrebbero sciogliere le incrostazioni alla base della criticità dell’unione Europea. L’avvento della presidenza Macron, amico dell’Italia, potrebbe condurre ad un nuovo assetto delle visioni e dei progetti comuni dell’entità europea, che la scomposizione dei vecchi scenari potrebbe favorire.

Last but not least (considerando una platea prevalentemente fatta di sensibilità socialiste) ha preso la scena la questione socialista.

Una questione ben presente nella platea di ciò che resta della testimonianza fatto movimento a Cremona e nel resto del territorio provinciale. È trascorso un quarto di secolo dall’acme dello sforzo sinergico (di poteri politici e finanziari) teso alla ridefinizione dei players ammessi ai nuovi scenari.

L’operazione, a colpi di criminalizzazione e semplicemente di sistematica e collettiva agibilità, ha raggiunto il suo scopo che era il delisting del PSI come soggetto della politica e della vita istituzionale.

Una “transizione”, durata un tempo infinito, non è approdata a nulla che potesse essere, ad esempio, la ridefinizione di una sinistra di ispirazione riformista. Le truppe d’assalto che (prendo a prestito da Armando Diaz) tanto baldanzosamente avevano sceso i monti per impadronirsi dei nuovi assetti di potere risalgono sconfitti nelle ambizioni di fornire risposte coerenti ad un paese piegato sotto molti aspetti. Non ci sarà resilienza, se la sinistra non ricomincerà da sguardi più elevati e da impulsi meno banali.

Il socialismo, ha affermato, non è, in Occidente, uno solo. Molte specificità nazionali hanno mostrato criticità di percezione delle nuove realtà e, soprattutto, di rapporto tra i capisaldi del progetto di equità sociale e di piena cittadinanza civile ed il superamento degli stereotipi tipici della sinistra avulsa da qualsiasi consapevolezza realistica.

La disparità delle condizioni di vita ha raggiunto (e valicato) limiti intollerabili. La risposta, di fronte al fallimento ed all’insostenibilità del welfare senza limiti, non una redistribuzione ancorata al tassa e spendi, bensì da una nuova fase di sviluppo, orientata dalle tecnologie, dalla ricerca, dal lavoro qualificato e coinvolto nelle responsabilità. Che sia capace di produrre risorse più ampie, che consentano una più equa distribuzione, e di generare masse di lavoro, che non presuppongano abnormi e fisiologiche inoccupazioni.

Sono questi i perni di un socialismo liberale, compatibile coi nuovi contesti mondiali.

 

Tra molti volti giovanili, che costituiscono un incoraggiamento alla Comunità Socialista ad insistere per il futuro sul timbro di un’offerta innovativa fuori dagli schemi, nell’affollato e prestigioso salone del Municipio non sono passati inosservati i volti consueti di una militanza. Che è invecchiata solo per il trascorrere del tempo, ma che si sente, evidentemente, ancora in servizio.

L’anello di congiunzione tra di essa ed il nuovo è rappresentato dell’avv. Paolo Carletti, segretario provinciale del PSI che ha assecondato il percorso di armonizzazione tra il Partito e la non trascurabile realtà dei “socialisti senza tessera”.

L’adesione alla lista civica, guidata da Mimma Ajello, finalizzata ad un orizzonte contingente ma non necessariamente limitato, rappresenta un primo snodo per le potenzialità della riacquisizione di un ruolo nella vita politica e nel confronto nella sinistra del territorio. 

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