Con la ricorrenza del cinquantesimo dello "Statuto dei Lavoratori", abbiamo dato il via all'evergreen "dossier Lavoro". Il quale, quest'anno, potrebbe essere foriero di novità, in conseguenza degli effetti prodotti dalla crisi pandemica, ma soprattutto per i limiti di un modello di sviluppo che ha mostrato tutte le sue contraddizioni su scala planetaria, come mai era successo prima d'ora.
Riceviamo e pubblichiamo il graditissimo contributo di Paolo Soncini, Segretario Generale della Camera Sindacale Territoriale UIL di Cremona-Mantova:
Le conseguenze dell'epidemia del Covid-19 non sono quelle di una guerra, ma contengono molte suggestioni di come si presentano economia, politica e società al termine di un conflitto. Chiariamoci: non ne siamo ancora fuori del tutto e quindi la dimensione dei danni è ancora tutta in divenire.
Già oggi, i mesi di lockdown hanno piegato il sistema Paese in più ambiti e di fronte a noi ci sono la paura di nuovi picchi di contagio e lo spettro di un autunno di recessione.
L'incapacità tutta nostrana di collaborare per il bene comune si vede specialmente in questa fase di crisi: la politica continua una campagna elettorale infinita in cui partiti, Governo e Regioni si scontrano cercando di salvaguardare isole di consenso anziché unire le forze; con questo “si salvi chi può” la società italiana va disgregandosi in rivoli di individualismo e rancore. L'economia, manco a dirlo, non ha una direzione ed è in balìa delle onde della globalizzazione.
Proprio adesso diventa necessario, non solo per forze sociali come i sindacati, ma per tutta la società, le associazioni, i partiti e lo stesso mondo imprenditoriale, ragionare in prospettiva su quanto realizzato fin'ora e con quale slancio guardare al futuro.
Una trentennale egemonia culturale neoliberista ha visto trionfare globalmente ed in ogni campo le proprie idee: “il migliore dei mondi possibili”, il capitalismo reale, si è rivelato vantaggioso per una estrema minoranza di persone e un disastro per milioni di lavoratori e per il pianeta Terra stesso. La voracità di un sistema basato sul profitto non ha ripartito la ricchezza tra tutti ma, anzi, ha contribuito ad aumentare le diseguaglianze.
Il compromesso tra capitale e lavoro che nel dopoguerra aveva permesso un avanzamento in termini di benessere e diritti è stato considerato superato, mettendo da parte le più autentiche istanze del lavoro lasciando un potere pressoché assoluto al capitale e alla tanto decantata “mano invisibile” del mercato.
Nei movimenti sociali si diffonde lo slogan “non torneremo alla normalità, perché quella era il problema” e forse è proprio lì che si dovranno concentrare gli sforzi per conquistare un futuro migliore.
Durante l'epidemia abbiamo visto aumentare a dismisura i profitti di imprese come Amazon e, allo stesso tempo, persone morire senza adeguate cure sanitarie: questa è la rappresentazione estrema di cosa è andato storto e va cambiato.
Le organizzazioni dei lavoratori hanno la possibilità di riprendersi uno spazio che in questi anni è stato lentamente ridimensionato da parte di politica e mondo imprenditoriale, e su questo andare a rivendicare maggiori diritti. Salari e pensioni, diritti e contratti non possono più essere una variabile, ma la condizione su cui stabilire le regole per un futuro di benessere.
Di pari passo serve il risveglio di una politica che smette di credersi “post-ideologica” e che torni a confrontarsi, eventualmente a dividersi, ma sulla base di interessi diversi presenti nella società: ci sono milioni di cittadini e lavoratori le cui istanze sono sempre meno rappresentate. Non si tratta di alzare barricate ma, paradossalmente, alcune proposte di buonsenso oggi suonano rivoluzionarie: riconfigurare una tassazione progressiva come da mandato Costituzionale, mettere al centro il ruolo dello Stato nell'economia perché questa prosperi in armonia con il Paese e non solo “pro domo sua”, e tornando ad occupare la scena con le aziende statali. Il mondo imprenditoriale stesso non può pensare di poter sopravvivere a questa grande onda sedendosi sugli allori nel migliore dei casi o, nel peggiore, aspettando sussidi pubblici per l'economia privata: in questa nuova fase va bandito il motto “privatizzare i profitti, socializzare le perdite”.
Ripensare, Riconfigurare, Re-immaginare un modello di sviluppo che non ha funzionato efficacemente è l'imperativo del presente. Non è il disegno immaginario di qualche pensatore idealista, ma una via percorribile per il futuro.
Paolo Soncini
Segretario Generale CST UIL Cremona-Mantova