Quale contributo ad una auspicabile discussione, mi collego all'interessante l'excursus storico su tale argomento da parte di Antonio Grassi.
Ho apprezzato il preciso resoconto e mi ha colpito in particolare il pensiero a conclusione: Con il covid-19 il mondo è cambiato e anche il capitalismo non sarà più come prima. Si spera, più equo. Anche se è un azzardo pensare ad un capitalismo equo
Non credo affatto che il capitalismo cambierà. Il capitalismo non è per sua natura equo e non lo diventerà mai.
Non nutriamo alcuna utopia, l'essenza base del capitalismo è e rimarrà l'applicazione della regola ferrea “massimizzazione del profitto: sempre e subito” unita a “mors tua vita mea”.
Non sono un anticapitalista, cerco solo di ragionare senza false speranza o utopie irrealizzabili.
Il sistema capitalistico è così, con ciò dobbiamo fare i conti e i nostri ragionamenti.
Certo ci sono capitalisti che fanno beneficienza magari creando fondazioni che aiutano in vari settori e in zone disagiate del pianeta. Si badi bene però, si tratta di magnati, in particolare nel mondo USA, che decidono di donare averi personali a chi ha bisogno e questo è un bene.
Nel contempo però questi magnati continuano nelle loro aziende a “massimizzare il profitto”.
Non voglio certo demonizzare il profitto o il mondo imprenditoriale, desidero solo che ragionando di questi contesti dobbiamo sempre ricordare che l'economia capitalista vive sue queste regole.
Premesso ciò, quali possono essere le considerazioni sul “lavorare meno e lavorare tutti, a parità di salario”?
In principio direi che potrebbe essere percorribile solo se si trattasse di una redistribuzione di incrementi di produttività. Più semplicemente di suddividere gli incrementi di profitto aziendale.
In modo ancora più chiaro: invece di aumenti di salario si diminuiscono le ore di lavoro.
Affascinante come concetto peccato che non goda di molto consenso nei lavoratori e che la normativa vigente non aiuti.
Mi spiego: i lavoratori, soprattutto nelle imprese medie e piccole, da sempre desiderano effettuare lavoro straordinario, non perché manchi a loro senso di solidarietà per i disoccupati, perché i salari non sono adeguati.
Infine, relativamente alla normativa vigente, occorre sapere che per il datore di lavoro è più conveniente far lavorare in straordinario piuttosto che assumere nuovi lavoratori: il lavoro straordinario costa di meno del lavoro ordinario.
Queste due storture dovrebbero essere eliminate prima di ogni altro discorso.
E poi, fuor dai denti, siamo sicuri che lo slogan “lavorare meno lavorare tutti” non sia semplicemente un affascinante specchietto per le allodole?
La “Pensione quota 100” appena vissuta non ci insegna proprio nulla?
Venduta come “un posto di lavoro a un giovane per ogni pensionato” non mi pare abbia avuto successo, usando un eufemismo, in merito all'assunzione dei giovani.
Illusorio pensare che ci siano soluzioni semplici al problema disoccupazione; sono possibili però politiche di piccoli interventi volti a contrastare il fenomeno, interventi che tengano conto che l'impresa vive e ragiona sempre con la logica del “massimizzare il profitto”, interventi quindi che rendano economicamente conveniente assumere.
Chiaro che la condizione base è che ci sia lavoro altrimenti parliamo di...farfalle (altro eufemismo).