Momento propizio per una nuova offerta politica
Libri, diffuse commemorazioni e articoli sui giornali, hanno debitamente ricordato il centenario dell'assassinio di Giacomo Matteotti, la cui dirittura politica bisognerebbe sforzarsi di emulare anziché solamente onorare. Una attenzione imprevista si sta preannunciando anche per il 25° anno dalla morte di Bettino Craxi, del quale pressoché oscurate risultano le azioni di governo che diedero autorevolezza all' Italia, contrariamente al suo atteggiamento nelle controverse vicende giudiziarie sui finanziamenti illegali ai Partiti. In entrambi le ricorrenze, gli eredi del socialismo italiano non hanno finora brillato, a differenza di numerosi scrittori ed opinionisti politici, notoriamente critici su diversi fatti e protagonisti caratterizzanti la tradizione socialista.
A trent'anni anni dalla formale dissoluzione organizzativa del Partito socialista Italiano, decisa nel novembre del 1994, ancora una volta, le frazioni della diaspora socialista, mancano occasioni propizie per la promozione di iniziative comuni, assorbenti le rispettive autoreferenzialità. Nessuna organizzazione, associazione, fondazione o circolo ha valorizzato le rivalutazioni postume nei confronti dei socialisti, dichiarando la propria determinata disponibilità a superare la frammentazione ancora esistente, penalizzante il rilancio della cultura socialista nel nostro Paese, nonché le possibilità di ritornare ad essere incidenti nel Paese come nelle realtà locali.
Oggi, più di ieri, nell'area socialista in senso lato, è tempo di elaborare un progetto politico moderno che preceda la costruzione di un soggetto/partito di ispirazione liberal-socialista, autonomo e distinto nello schieramento del centro sinistra, naturalmente alternativo alle forze di destra.
Un processo avente come obiettivo la formazione di una forza ispirata dai grandi ideali della libertà, giustizia e solidarietà, espressione del riformismo programmatico antitetico alle concezioni populiste e demagogiche, nonché credibilmente e sufficientemente rappresentativo per essere legittimato a concorrere per la leadership dello schieramento progressista. Il nostro Paese ha bisogno di interventi strategici e non di provvedimenti stagionali. Per le elaborazioni fondamentali, ci sono dati ampiamente sufficienti su cui riflettere, in più ambiti: da quello sociale e sanitario, a quello del mondo del lavoro, da quello scolastico, a quello economico, ambientale ed istituzionale. Come analizzarli e tradurli in proposte, i socialisti possono vantare l'esempio di quanto pienamente riuscito nella conferenza programmatica tenutasi a Rimini nel 1982, aperta al contributo di personalità culturali, politiche, sindacali, economisti, costituzionalisti, più volte richiamata in questi anni per l'innovativa proposta della alleanza tra il merito ed il bisogno.
Claudio Martelli, tra i protagonisti dell'evento citato, raffrontando nel suo ultimo libro, i variegati contesti degli anni '80 anni, con quelli di oggi, sollecita le forze riformiste a mobilitarsi per provare seriamente ad invertire la china dei governi avvicendatisi negli ultimi decenni, senza alcuna tensione ideale. Per gli esponenti del liberalismo sociale, del socialismo democratico e liberale, delle culture laiche, già coalizzatesi strumentalmente alle recenti elezioni europee, è giunto il momento di vincere ogni residua resistenza verso la formalizzazione di una nuova unitaria offerta politica, agli elettori.
Di decidere insomma, più espressamente, se continuare a curare il proprio cespuglietto oppure, con altri, far crescere una pianta.
Rassegna della stampa correlata:
editoriali di Maurizio Del Bue
Lo scalpo di Craxi
Giusto sostenere, come ha scritto su Il Foglio, il figlio Bobo, che la sinistra debba fare i conti con Craxi. Pretenderlo venticinque anni dopo è un po' come ammettere un lungo e colpevole ritardo. Ma la sinistra, e in particolare il Pd, non può fare i conti con Craxi, né sul piano politico, perché dovrebbe ammettere l'errore di Berlinguer, che invece continua ad esaltare (quello di pensare a una terza via tra comunismo e socialdemocrazia anziché avviarsi verso la formazione di un partito socialdemocratico), né sul piano giudiziario (perché dovrebbe capovolgere il giudizio sull'azione di Mani pulite, grazie al quale i post comunisti hanno trovato aperta la porta per il loro rilancio che pareva impossibile a seguito dell'89). Dunque non deve stupire che quasi solo a destra, con l'eccezione di Matteo Renzi e di Giorgio Gori, i conti con Craxi siano stati fatti. Ignazio La Russa ha definito Craxi “il primo sovranista”, a proposito di Sigonella (ma il Msi allora lo attaccò prendendo le distanze), mentre Salvini annuncia una visita ufficiale ad Hammamet. A loro, Forza Italia é sempre stato un partito di simpatie craxiane, non costa nulla. Si può concedere l'onore delle armi al nemico o anche strizzare l'occhio a un morto e concepirlo come alleato. Anche se Craxi alleato con la destra non é stato mai, anche se Craxi è stato vice presidente dell'Internazionale socialista, anche se Craxi era amico di Arafat e sostenitore di uno stato palestinese. Rivedere Craxi da parte del Pd significa rivedere sé stesso, ammettere che era giusta la sua proposta dell'unità socialista dopo la fine del Pci, e che lo scavallamento dell'eclissi del comunismo in Italia é stata favorita da una sorta di colpo di stato, quello giudiziario del 1992-94, il biennio a dittatura togata, che colpì con una “durezza senza uguali” (uso la frase dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del decennale della morte di Craxi) l'allora leader socialista, lasciando in pace, secondo la testimonianza del sen. ex comunista Giovanni Pellegrino (“Violante assicurò D'Alema che i magistrati avrebbero risparmiato il Pds”) il partito che proveniva dal Pci. Lo scalpo di Craxi è necessario. Come il nuovo delitto per Lady Macbeth. Il cadavere politico di Craxi, che pure ha commesso una serie di errori, primo fra tutti quello di non accorgersi del tumulto italiano dopo l'89 che avrebbe portato alla fine del vecchio sistema politico, è il regalo della magistratura al nuovo partito che non poteva più definirsi comunista e non voleva definirsi socialista. Non a caso ancor oggi larga parte del Pd sposa tutte le posizioni della magistratura più politicizzata, contrasta la separazione delle carriere dei magistrati, la riforma del Csm e del carcere preventivo. E si configura come l'unica sinistra europea a non essere protagonista di una battaglia di libertà e di civiltà giuridica. Sono trent'anni e più che é così. Il Pci, Pds, Ds, Pd, come amano definirlo coloro che questa trafila di partiti hanno vissuto con convinta continuità, ha sempre sposato le tesi dell'Anm e dei partiti dei giudici. Rivedere il giudizio su Craxi anche dal punto di vista giudiziario significa sconfessare sé stesso. Impossibile, dunque. Possono al più, il primo di tutti fu D'Alema e seguì Violante, riconoscere al Craxi politico alcune buone intuizioni. E lì fermarsi. Perché approfondire troppo le ragioni della sua fine significherebbe scavarsi la fossa. E non lo si può pretendere.
Il silenzio della Schlein
Tanti hanno parlato di Craxi e del Psi in questa ricorrenza. È trascorso un quarto di secolo e desta uno stupefacente piacere la revisione a 180 gradi di Ignazio Larussa che ritiene Craxi una vittima in esilio. Si sa che il suo partito, tranne qualche autorevole eccezione, sostenne la stagione di Mani pulite e cavalcò il dipietrismo imperante che permise all'Msi, pervaso dell'intelligenza revisionista di Fini, di entrare a pieno titolo nel nuovo sistema politico divenendo anche una forza di governo. Non dimentico la manifestazione dei giovani missini che circondarono via del Corso e le minacce al povero Ugo Intini. Come non posso dimenticare l'orribile scena delle monetine al Raphael messa in atto dalla folla inferocita reduce dal comizio di Occhetto in piazza Navona, col povero Craxi che dovette ripararsi in auto per correre a una trasmissione di Giuliano Ferrara. Destra e sinistra unite nell'anti craxismo, allora? Per la verità anche Berlusconi ci mise del suo. Come testimonia anche una lettera di Craxi al suo amico cavaliere le sue televisioni si schierarono subito dalla parte del Pool Mani pulite senza esitazioni. D'altronde chi approfittò delle indagini che diedero il colpo di grazia alla cosiddetta Prima Repubblica? La destra, che entrò per la prima volta nell'arco costituzionale, la sinistra ex comunista che vinse inaspettatamente il match coi socialisti, con le ragioni della storia in loro favore, e Berlusconi che ereditò larga parte dell'elettorato del pentapartito vincendo tre elezioni su quattro. Ma quel che emerge oggi dalla rivalutazione ormai quasi generale di Craxi (da destra al centro a settori minori della stessa sinistra, vedasi Fassino e Bettini) è il silenzio del Pd e della sua segretaria Schlein. Non credo si tratti di disattenzione. Il Pd nacque da un percorso che aveva neutralizzato l'unità socialista, l'unico approdo storicamente e politicamente logico per gli ex comunisti. Il Pd nasceva con identità confusa, prima fuori e poi dentro il partito socialista europeo, con un vago sapore veltronian-americano, che coinvolgeva i cattolici e gli ex democristiani di sinistra. Nacque sulle macerie del Psi, da quel mix di omicidio e di suicidio che lo caratterizzò. Dunque riabilitare Craxi e prendere le distanze dal Pool Mani pulite significava in fondo prendere le distanze da quel percorso. Non lo potevano fare. Non potevano sconfessare loro stessi e men che meno quella magistratura che gli permise, come scrive lucidamente Massimo D'Alema, di varcare la gola in cui li attendeva Craxi. Per questo prendono ordini ancora dall'Anm e si oppongono tenacemente alla separazione delle carriere dei magistrati e al doppio Csm, un progetto di riforma socialista e radicale che porta il nome del compianto Enrico Buemi. E parlano, con la voce del partito dei magistrati, di una presunta violazione del principio di indipendenza di una norma che è presente in tutti i paesi europei. Se dovessimo rintracciare una legge che preveda la confusione tra giudici e pm dovremmo risalire fino al Portogallo di Salazar. Non certo un modello di democrazia. Eppure, per parafrasare all'incontrario il titolo del primo Avanti del 1896, “di qui non si passa”. Possono cambiare idea su tutto. Possono farlo sul taglio ai parlamentari, sul reddito di cittadinanza, sulla politica estera, dall'Ucraina a Israele, e dividersi anche. Ma su questa materia no. Lo vieta la legittimità della loro storia dal 1989 ad oggi. Per questo il silenzio della Schlein parla. E pronuncia parole molto chiare per le nostre orecchie.
Craxi 25 anni dopo
Di Roberto Biscardini
Mai come in questo 25esimo anniversario abbiamo visto tanto interesse per Bettino Craxi, per la sua vita e la sua storia politica. Per ciò che ha rappresentato nella politica italiana e internazionale e per il ruolo che ha avuto come uomo politico e di governo. Tanti libri, tanti commenti sulla grande stampa, tante interviste Tv. Chi per portarlo in palmo di mano a destra, chi giustamente per riaffermare a pieno titolo il suo ruolo nella sinistra italiana e mondiale. Comunque, a venticinque anni dalla sua morte ad Hammamet e a più di trent'anni dalla sua drammatica uscita di scena, riemergono inaspettatamente il valore delle sue azioni, la sua grande capacità d'innovazione, ma soprattutto l'importanza e la chiarezza che Craxi riuscì a dare alla politica del socialismo italiano ed europeo. Idee e visioni chiare: chiarissime anche per l'oggi. Idee e visioni tanto chiare da diventare la vera causa di chi lo volle politicamente morto. La nuova destra, cavalcando e strumentalizzando in modo particolarmente violento le vicende giudiziarie, schierandosi con il plotone di esecuzione delle tante reti televisive e della grande stampa. E la sinistra “comunista e post comunista” che si trovò su un piatto d'argento l'opportunità di cancellare dalla politica Italiana l'antagonista Craxi e tutti i socialisti insieme, dopo tanti tentativi non riusciti dal Midas in poi. Queste celebrazioni ci dicono due cose importanti. Craxi appare ancora oggi agli occhi dell'opinione pubblica come l'unico uomo politico ancora vivo. Più vivo dei vivi. Un uomo di cui ci si ricorda ancora la sua esistenza e la sua storia. Un personaggio che merita non solo di essere ricordato, ma anche studiato. E di lui è chiara l'immagine del grande statista socialista, un grande leader della sinistra italiana ed europea. Un leader del socialismo di sinistra. Un leader politico di cui sentiamo la sua assenza e la sua attualità. Non è un caso che senza Craxi e senza il socialismo organizzato, la sinistra ha perso in questi ultimi decenni ogni capacità di reazione e ogni riferimento reale con la parte più debole del paese. Senza di lui, senza la sua grande capacità critica, la sinistra sopravvissuta al 1992 si è impoverita al punto da tradire i propri valori, lasciando mano libera alla cultura della guerra, alla violenza del capitalismo, al degrado democratico e istituzionale, all'ingiustizia sociale. E troppo sostenere questa tesi? No. Domandiamoci cosa avrebbe fatto Craxi e il suo PSI per contrastare l'attuale decadenza delle nostre istituzioni, che poi è l'inizio della decadenza dello Stato democratico. Craxi avrebbe reagito con ogni mezzo alla avanzata di una destra come questa. Non sarebbe fuggito dalle proprie responsabilità. Avrebbe fatto sentire, anche a livello internazionale, tutto il peso della sua grande tradizione socialista. Avrebbe fatto opposizione vera, avrebbe contestato, non avrebbe consentito che si arrivasse a questo punto. Avrebbe reagito contro l'impoverimento e l'imbarbarimento della politica attuale, così come ha tentato di fare fino all'ultimo. Ecco perché tocca a noi reagire oggi. E ricostruire dal basso una nuova Casa socialista, grande, larga ed aperta. Perché senza una grande forza socialista la sinistra è debole, e la sua debolezza favorisce il radicamento della destra. Perché senza una forza socialista larga, il socialismo, che rimane per molti di noi l'orizzonte ideale della nostra vita, scompare dalla scena politica italiana e internazionale, così come è scomparso senza che nessuno se ne sia accorto, e senza che la cosiddetta sinistra sia stata in grado o abbia voluto fermare questa deriva. Ecco perché dobbiamo reagire oggi. perché siamo preoccupati delle difficoltà del presente e ancora di più per le incertezze del futuro. E dobbiamo farlo, adoperandoci per ridare al nostro Paese un nuovo movimento socialista, un nuovo soggetto nel quale possano riconoscersi tutti coloro che sentono il bisogno di un cambiamento radicale. Sentono il bisogno di cambiare rotta, sentono il bisogno del Socialismo come necessità reale. Non possiamo aspettare che le condizioni esterne cambino le cose a nostro favore, perché non succederà. Possiamo farlo, insieme a tanti altri, perché abbiamo tutti gli attrezzi politici necessari per poter raggiungere l'obiettivo. A partire dai messaggi che anche Craxi non dimenticò mai di ricordare: la critica del capitalismo è il fondamento dell'esistenza del socialismo; l'emancipazione del lavoro è il nostro obiettivo; la difesa della pace è per noi l'unica alternativa alla barbarie. Spetta a noi, con una nuova iniziativa politica ricostruire una prospettiva socialista per coprire il vuoto dell'attuale sinistra. Per colmare la grande distanza tra la politica e la realtà, per costruire un'alternativa credibile alla destra, coscienti che solo il socialismo può rappresentare una speranza per le giovani generazioni.
Que reste-t'il?
….neanche a dirlo…ma immaginarlo avremmo potuto ed in qualche modo paventarlo…il fuori strada di una rubrica (strutturata e continuativa), che almeno nelle intenzioni della testata non intende farsi fuorviare dall'aderenza alla linea-guida ben incardinata nella mission di analisi ed approfondimenti avulsi da qualsiasi “ricaduta” nei nostalgismi perinde ac cadaver. Ovviamente chi la pensa diversamente (da questa intelaiatura) è liberissimo (oltre che ben accolto nel perimetro di questo forum). Si sarà capito facilmente che la premessa va a parare all'inevitabile incrocio con una “ricorrenza”. E, siccome la riteniamo suscettibile di appartenenza all'ordine degli approfondimenti e dei confronti della rubrica, non è uscita, al di là dei soggettivi convincimenti di chi scrive qui (che potrebbero essere catalogati nella fattispecie dell'astratto cinismo), l'abbiamo adeguatamente metabolizzata nell'economia di questa edizione. Senza, ovviamente, ed in forza delle premesse rivendicate, farci deragliare dall'usum delphini con cui, in questi giorni, la ricorrenza viene delibata. Noi (come testimonia anche un nostro commento in calce ad un apprezzabile contributo) ce ne stiamo fuori da trent'anni. Ok passerà l'anniversario (come avviene in ogni decade di ricorrenza) … Importante sarebbe che qualcosa utile a togliere, magari anche solo con la necessaria gradualità, dalle secche un conglomerato dialettico che lascia al palo qualsiasi tentativo (ammesso che ce ne sia di ispirato da un senso edificante) di invertire (come avviene nelle dinamiche borsistiche) il picco di caduta e di far rimbalzare. Impresa tutt'altro che semplice, considerati gli accumuli controtendenziali e, soprattutto, gli indotti (proiettati universalmente su tutto lo spettro della politica e, in particolare, sui segmenti tradizionalmente correlati ai versanti della sinistra, lato sensu. L'autore dell'entrée evidentemente con quel suo evocare il “Momento propizio per una nuova offerta politica” esterna un afflato che è negli auspici dei portatori delle coerenze idealistiche e progettuali (circa la sussistenza delle condizioni per rifunzionalizzare a pieno titolo le prerogative di cittadinanza negli attuali contesti di una proposta ispirata dai valori di una sinistra riformista, lib lab. Ma il “convento” (intendendosi il perimetro dialettico) di riferimento, già abbondantemente fuori corso da trent'anni dedicati ossessivamente alle ragioni di governance, priva assolutamente di qualsiasi minimale rimando di tipo “progettuale” e, soprattutto, marginalizzato dall'assenza di qualcosa da dire (che non fosse, morettianamente, di sinistra, ma che fosse minimalmente sensato) passa il tormento sul modo di disinnescare “il campo largo” e, in alternativa, rifocalizzare nell'asset un segmento di testimonianza di riformismo cattolico-moderato o crearne (per incrementare l'appealing soprattutto elettorale) uno extra-moenia ma fidelizzato. Le “risorse” di cui si vagheggia vengono attenti dalla riserva dei veterans (mai andati totalmente in quiescenza) pronti a rimettersi in servizio. Di questo occorre essere consapevoli quando ci si appresta a ricercare cittadinanza e ruoli in un contesto che si definisce in movimento, ma che a noi sembra da elettro-encefalo piatto. La sinistra, come dice Galli della Loggia, combatte esclusivamente guerre culturali, in aderenza ai dogmi politici e sociologici. E nei contesti generali non ha minime chances di resilienza. L'evocazione (con evidenti aspettative taumaturgiche) delle impronte lasciate da innegabilmente virtuosi contributi (di leadership e di innovazione progettuale) non è premessa per un “rimbalzo” (come avviene appunto per le dinamiche finanziarie quando viene toccato il fondo). Prima ce se ne rende conto…e prima si possono definire premesse utili. Traiamo ispirazione per la chiusa di questo commento inaspettatamente (per le premesse) e lateralmente alla propensione di stare defilati dalla ricorrenza, dall'intervista di oggi di Giulio Napolitano (appunto figlio di…): mio padre guardava con attenzione e rispetto all'opera di Craxi come leader del Psi e presidente del Consiglio, ne apprezzava la linea di politica estera ed europea, sperava che anche da lì potesse passare un rafforzamento di tutta la sinistra e del riformismo, mentre nel PCI, anche dopo la morte di Berlinguer, prevalsero l'ostilità e la critica pregiudiziale".