Com'è noto a tutti gli studiosi o semplici appassionati di storia del '900, la cosiddetta “soluzione finale”, agì scientificamente, colpendo ogni strato delle comunità israelitiche. Ad essa non sfuggi la dimensione sportiva, che rimane però ancora oggi una dimensione poco indagata, alla quale ha dato un grande contributo, la ricerca dello storico dello sport, Sergio Giuntini, raccolta in un volume dal titolo: “Sport e Shoah”. Da questo lavoro interessantissimo, abbiamo appreso che fra i sei milioni di vittime dell'olocausto, in un vergognoso silenzio, si consumò un ulteriore genocidio: quello dello Sport e degli Sportivi. La popolarità e le forme di divismo di cui erano già allora oggetto i campioni degli stadi, non costituirono alcuna forma di vantaggio, una sorta di salvacondotto pubblico, per sottrarsi all'inesorabile implacabilità della Shoah. Si calcolato in maniera approssimata ma vicino alla realtà, che almeno 60.000 atleti di cui 220 ad alto e altissimo livello, furono deportati nei campi di concentramento, disseminati in varie parti d'Europa, dove la maggior parte vi trovò la morte. Qui, per ovvie ragioni di spazio, ci limiteremo a qualche “ricordo”, utile per la sua drammaticità, a testimoniare la portata di questa che possiamo ben definire, “la tragedia nella tragedia”.
Nel 1928 ai Giochi Olimpici di Amsterdam, l'Italia conquistò la prima medaglia Olimpica femminile: un bellissimo argento dietro alla Nazionale Olandese, della quale facevano parte diverse atlete ebree. Ebbene quella formidabile squadra fu letteralmente decimata dopo l'emanazione delle Leggi razziali. Così come lo è stata la Nazionale Cecoslovacca di Ginnastica, con ben 21 atlete mandate a morire nell'inferno di Mauthausen, nel 1943.
Emblematica è la vicenda legata ad Arpad Weisz, ebreo-ungherese, calciatore prima e poi grande allenatore. Noto in Italia per aver vinto due scudetti prima con l'Inter e poi con il Bologna, Weisz nel 1938 fu costretto ad abbandonare il nostro paese ed invano cercò di sfuggire alle persecuzioni in atto: un vero e proprio accanimento contro di lui, per la sua notorietà e la sua fama, meritatamente acquisita negli stadi italiani. Finì i suoi giorni ad Auschwitz con la moglie Elena e i due figli Roberto e Clara. La figura di Arpad Weisz ha avuto un riscontro straordinario negli ultimi anni, perché oggetto di un bel programma televisivo su SKY, scritto e condotto da Federico Buffa, tratto dal libro di Matteo Marani, dal titolo: “Dallo scudetto ad Auschwitz”.
Ma non solo gli ebrei finirono nel mirino della barbarie nazista; altre “diversità” furono perseguitate con ferocia: Rom, Sinti, Omosessuali, Disabili.
Storia particolarmente toccante è quella di un grande talento del pugilato tedesco: Johann Trollmann. Dotato di una fisicità armoniosa Johann, mostra fin da adolescente la passione per la boxe e percorrendo le varie tappe obbligate, arriva a diventare campione nazionale dei pesi medi. Ma c'è un problema: è un Sinti, cioè uno “zingaro” e per questo viene emarginato, non permettendogli di combattere e per poi escluderlo dalle Olimpiadi del 1928, subendo negli anni successivi, ritorsioni e persecuzioni, fino ad essere internato nel campo di Neungamme, dove muore, massacrato di botte (trattamento solitamente riservato ai pugili ed ai lottatori) il 9 Febbraio 1943. Alla sua vicenda di è fortemente interessato il Premio Nobel della Letteratura, Dario Fo, che ha raccontato la vita di Trollmann in uno dei suoi ultimi lavori, un bel libro dal titolo: “Razza di zingaro”.
A questo punto ci sembra opportuno ricordare alcune figure che riguardano da vicino Cremona ed il suo territorio. Una è quella di Vittorio Staccione , che giocò con la maglia della Cremonese nell'anno 1925/26 proveniente dal Torino, mandato nella nostra città per “farsi le ossa” e completare il servizio militare presso la Caserma Paolini, struttura compresa fra Viale Trento e Trieste e via Palestro, dove attualmente sorge il Polo Scolastico. Staccione è bravo e viene subito notato, tant'è che dopo un fugace ritorno al Torino lo vuole l'ambiziosa Fiorentina. E Firenze sarà l'apice di una carriera non priva di problemi. Come calciatore le ultime tappe sono Cosenza e Torre Annunziata e nel 1936 lascia il calcio per tornare a fare l'operaio alla FIAT. E qui intensifica la sua attività di sindacalista e di militante antifascista. Per questo è sorvegliato dall'OVRA, la polizia politica di allora. Per questa sua posizione Staccione, viene arrestato il 13 marzo 1944 e dopo una breve sosta a Verona, viene deportato a Gusen, sottocampo di Mauthausen, con il N. di Matricola 59160. Ed è in questa località che a causa di una cancrena per le percosse subite dalle SS, che si spegne il 16 Marzo 1945. A Vittorio Staccione, su iniziativa del Panathlon di Cremona, è stata posta una targa in marmo presso lo stadio G.Zini, identificandolo come “Simbolo dello sport, che sacrificò la vita per la pace e la fratellanza fra i popoli”. La targa porta una scultura in bronzo opera di Mario Coppetti. Da segnalare inoltre l'uscita nel 2019 del bel libro di Francesco Veltri, dedicato appunto alla vicenda di Vittorio Staccione dal titolo quanto mai emblematico “Il mediano di Mauthausen”, dove attraverso la vicenda del calciatore, si ripercorrono alcune fra le tappe più significative della storia d'Italia.
Uno che invece, pur subendo umiliazioni e persecuzioni è sopravvissuto alla barbarie è Egidio Armelloni, grande ginnasta nato a Soresina nel 1909 e dove proprio a Soresina iniziò la sua brillante carriera. Dopo una breve emigrazione a Biella trovò lavoro a Milano e qui venne tesserato dalla Società Pro Patria e allenato da Mario Corrias, responsabile tecnico della nazionale italiana. Armelloni fu uno dei maggiori ginnasti italiani degli anni '30, famosa ed inimitabile la sua uscita dalle parallele. La sua carriera è stata pesantemente condizionata dall'impegno politico di antifascista e nonostante numerosi arresti, per varie ragioni a volte molto fortunose, è sempre riuscito a sfuggire a lunghi arresti o alla deportazione. Come atleta ha partecipato ai mondiali di Budapest nel 1934 e alla Olimpiadi di Berlino nel 1936 (dove si ricorda una simulazione di infortunio alla spalla che gli impediva di allungare il braccio per il saluto fascista!). Dopo una pausa nei Partigiani del SAP, ormai trentanovenne, fece a tempo a partecipare alla prima edizione delle Olimpiadi del dopoguerra, quella di Londra 1948, classificandosi al 5° posto nella gara a squadre. Quella di Egidio Armelloni è ancora, alla pari di tante altre, una figura poco indagata da storici e sportivi; la città di Soresina potrebbe ricordare questo concittadino, proponendo alle giovani generazioni una figura molto positiva per lealtà, coraggio e coerenza.
Per ultimo vogliamo riservare una citazione per due figure, cremonesi di adozione, il cui ricordo è ancora vivo nella nostra città. Parliamo dei fratelli Claudio e Ottorino Paulinich, entrambi nati a Fiume, il primo nel 1920, il secondo nel 1922. Cresciuti in una famiglia di calciatori di alto livello: il padre Arpad e gli zii Zeffirino, Ladislao e Stefano, sono stati ottimi calciatori ed era quindi naturale che anche loro prendessero quella strada; prima nella squadra della loro città, la Fiumana, che milita in serie C e poi in giro per l'Italia. Il 15 Novembre 1944 Claudio e Ottorino vengono fermati da una pattuglia di nazifascisti e arrestati. I motivi dell'arresto non sono chiari, si parla di un atto di sabotaggio verificatosi nel corso dei lavori della Todt a Sussak , oppure molto più semplicemente, per le loro simpatie per i partigiani. Entrambi vengono portati prima a Trieste e poi trasferiti nel lager di Dachau e sottoposti ad un duro regime per oltre sei mesi. Il campo viene liberato dagli americani il 29 Aprile 1945. Tornati a casa, fortunatamente sopravvissuti alle barbarie di uno dei campi più temuti, riprendono anche con il calcio che permetterà loro di superare i momenti terribili a cui sono stato costretti. La decisione nel 1946 di stabilirsi a Cremona, dove Ottorino firma un contratto con la Cremonese e gioca con la maglia grigio-rossa per le successive quattro stagioni, prima di finire la carriera prima a Udine e poi a Treviso allora allenato dal mitico Nereo Rocco. Cremona è ormai la loro casa e finiranno i loro giorni nella nostra città, dove peraltro vivono ancora i figli e i nipoti.
A conclusione di questo contributo in occasione della Giornata della Memoria 2021, citiamo con piacere Primo Levi, l'uomo, l'intellettuale, lo storico sopravvissuto ai lager nazisti, che dalle pagine de “La tregua”, ci parla di sport e di calcio in particolare. In queste pagine Levi rievoca una partita disputata nel Maggio 1945, quando sulla via del lungo e difficile ritorno, un gruppo di polacchi e uno di italiani si incontrano casualmente in uscita dal campo di Bogucice. E cosa fanno? In pochi minuti organizzano una partita su un campo improvvisato: la pace e la fine delle atrocità dei campi di sterminio, festeggiate con un gesto di sport! Levi registra anche l'esito di quella partita, vinta dai polacchi, facendoci respirare l'essenza più autentica del valore primario dello sport. Il senso pieno del ritorno alla vita e alla libertà, dopo gli stenti e le sofferenze, comunicato con immediatezza per mezzo del linguaggio universale dello sport.