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L'EcoRassegna della stampa correlata - Non è il destino cinico e baro 

Di Domenico Cacopardo

  25/06/2022

Di Redazione

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L'Italia boccheggia, il Po diventa un rigagnolo, la siccità sta per concretizzare una biblica tragedia nazionale. Non ci sono misure immediate disponibili per ovviare alla mancanza d'acqua né per l'agricoltura, né per gli impianti industriali, né per gli usi civici. 

-Certo- dirà qualcuno -era impossibile prevedere un'evoluzione così drammatica, una così lunga mancanza di precipitazioni atmosferiche che dura dall'inverno scorso-. 

Ma occorre dire, per la verità, che la cicala italiana, quella politica ha le sue imperdonabili colpe. 

In principio fu il 1951 con la grande alluvione. C'era stata una guerra ed era terminata da 6 anni soltanto, ma era del tutto mancata una visione complessiva della gestione del fiume Po, a causa della parcellizzazione delle funzioni: tanti provveditorati alle opere pubbliche, tanti uffici del Genio civile, ma non una visione unitaria. Ci vollero alcuni anni di dibattiti, di commissioni parlamentari per arrivare alla costituzione del Magistrato per il Po con competenze idrauliche -e i connessi poteri amministrativi-. Perché «Magistrato»? 

Perché rispetto alle acque ci sono migliaia di interessi contrastanti ed era quindi necessaria la costituzione di un'autorità regolatoria nella quale concentrare la pianificazione e la realizzazione di tutte le opere idrauliche riguardanti l'asta del fiume Po e dei principali affluenti, nonché l'attuazione coordinate delle opere idraulico-forestali che interessano le parti collinari e montane dei bacini imbriferi. E nella quale porre il potere dei poteri, il potere da Armageddon quello che era stato consegnato nelle mani del presidente di questo Magistrato: il potere-dovere di disporre il taglio degli argini. La scelta cioè delle zone allagabili, in caso di piena, nelle quali l'acqua avrebbe prodotto meno danni di quanti ne avrebbe potuti arrecare inondando altre zone, altre golene, altri campi. 

Sono stato, dal 25 ottobre 1971 al 5 aprile del 1973, vicepresidente del Magistrato per il Po e per un paio di mesi, in sede vacante, ho svolto le funzioni di presidente. Ho collaborato, per qualche settimana, con il prof. Rossetti, un'autorità internazionale in materia di idraulica fluviale. In gioventù era stato ingaggiato dalle autorità coloniali francesi per studiare e progettare lavori di regimazione al fiume Mekong (Indocina) e, successivamente, lo stato francese l'aveva inserito nel team di progettazione dei lavori di messa in sicurezza e di navigabilità del fiume Rodano, anello di congiunzione continentale tra il mare Mediterraneo e il mare del Nord. 

Il lavoro di Rossetti s'era concentrato quindi sulle esigenze del fiume Po, realizzando un ipotesi-piano di cosiddetta bacinizzazione: un sistema di interventi che, mediante la realizzazione di pennelli, avrebbe reso il corso del fiume particolarmente sinuoso, così sinuoso da rallentare lo scorrimento delle acque e da garantire una diversa portata, tale da renderlo navigabile per un numero di giorni/anni in modo da far diventare conveniente il traffico commerciale fluviale. 

Una ipotesi progettuale, quella di Rossetti, esaminata e approvata, dopo adeguati approfondimenti, cui aveva partecipato la facoltà di ingegneria, istituto di idraulica dell'Università di Bologna, diretta dal prof. Supino (altra autorità internazionale), dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, a quei tempi massimo organo tecnico ingegneristico dello Stato italiano, in stretta cooperazione con le università del Paese. 

Nel 1971 il bilancio del Magistrato per il Po si aggirava sui 3 miliardi di lire l'anno (1 milione e mezzo di euro), cifra del tutto insufficiente per attuare lotti significativi del piano.  

Il modello che il progetto presupponeva era quello della Tennessee Valley Authority, l'organo dello stato federale americano, costituito dopo una devastante alluvione, che sommava in sé tutti i poteri di gestione territoriale necessari per prevenire le piene e per rilanciare le attività economiche della zona: fu ed è un grande successo. 

Il Magistrato per il Po non piaceva alla politica politicante nazionale. Le spinte dei singoli parlamentari volte a ottenere interventi piccoli e insignificanti (in senso tecnico) ma molto significanti in termini politico-elettorali, venivano posposte a quelle che i tecnici consideravano le imprescindibili esigenze del grande fiume. 

Lo smantellamento iniziò nel 1970 con la costituzione delle regioni e la spinta a regionalizzare la gestione di parti del fiume. 

Il passo successivo avvenne con la costituzione di un'Autorità di bacino sovraordinata al Magistrato per il Po: in concreto un soggetto, coamministrato dagli assessori delle regioni padane che avrebbe dovuto definire i piani che il Magistrato avrebbe dovuto eseguire. Ed è facile immaginare quali interessi e spinte prevalessero: di certo non quelle tecniche. 

Del resto, nel frattempo, il piano di bacinizzazione era stato abbandonato e, con esso, ogni ipotesi di navigabilità economicamente funzionale. 

L'apoteosi è arrivata con l0 scioglimento-abolizione del Magistrato e la costituzione di una agenzia interregionale priva dei poteri e della missione originaria dell'organo sorto dopo il 1951. 

Quanto accade in queste settimane e in questi giorni sarebbe stato in gran parte evitato o attutito dalla realizzazione di quel piano, che anno dopo anno sarebbe stato ampiamente completato. 

Niente da dire su coloro che si occupano del problema (Aipo, Azienda interregionale fiume Po) che hanno trovato un pacchetto mal confezionato dalla politica nazionale e regionale, per incuria e interessi particolari. 

Domenico Cacopardo
Domenico Cacopardo

Quanti sacrifici siamo disposti a fare per salvare il Po?  

(domanda, quasi retorica, di Gian Antonio Stella) 

Che sull'attenzionamento della questione delibata con competenza e con estrema chiarezza da Domenico Cacopardo sia giustificato dal fachtcheeck di queste ultime due settimane trascorse sia ampiamente giustificato non ci dovrebbe essere partita. Al netto ovviamente del solito modo, in gran parte avulso dalla conoscenza dei fatti medesimi e di quelli pregressi (da cui non bisognerebbe mai prescindere). 

Si postula (vien d'istinto, in un contesto nazionale portato più che alla coesione comunitaria dei doveri alla rivendicazione dei “ristori”) uno spianamento ad alzo zero di interventi ordinatori e, soprattutto, in solido e, come se dichiarazioni emergenziali con conseguenze non raramente incompatibili tra di loro assicurassero risultati taumaturgici. 

Ma si sa, ci si prova. E quando scendono in campo, da quando due millenni fa ci si appellava alla benevolenza di Giove Pluvio (non a caso nell'apparato iconografico postiamo un particolare della colonna di Marco Aurelio) ai giorni nostri, in cui riprendono ruolo i “pastori”, vuol dire che la situazione è seria e complessa. Tanto da fornire materiale più alla credulità e alle giaculatorie che alla razionalità delle percezioni e delle consapevolezze. 

Al momento, in senso generale, ci si affida alle intercessioni, di cui diremo lestamente (non a caso nell'apparato iconografico postiamo il Giove Pluvio della colonna di Marco Aurelio), e alle perentorie richieste di provvidenze. Allora, se proprio si fosse voluto giocare sul terreno delle benevole provvidenze, si sarebbe dovuto ricorrere sapientemente alle “rogazioni”, un gesto propiziatorio preventivo, per i buoni raccolti e, c'è da presumere, per la buona filiera che li anticipa. 

Adesso, mi sa, arriviamo tardi. Con la fondata aspettativa derivante dalle credenze, ma anche, temiamo, considerata la disparità tra la consistenza della criticità e la pratica possibilità di fronteggiarla a colpi di tutto e subito. 

Noi preferiamo esercitare la preghiera laica, maggiormente congrua a mobilitare le consapevolezze e le coscienze civili, in direzione di una corretta lettura dei contesti, delle responsabilità, della correzione dei gesti collettivi ed individuali, della ridefinizione delle strategie. 

Da tale punto di vista, l'analisi/riflessione/denuncia di Domenico Cacopardo è, come si suol dire, una mano santa per chi, partendo dalla conoscenza di un passato (che, a forza di neghittosità, sta diventando irreversibilmente remoto), voglia capire e, nel caso dell'establishment, distaccarsi dalla solita lectio facilior, affrontare la situazione per quello che è. 

Calma e gesso; mentre imperversa un generalizzato impulso a pretendere irrazionalmente la bacchetta magica o il miracolo. D'altro lato, si sa che la constituency è questa che mira a sé e a dio per tutti. 

Ma, stavolta mi sa che col combinato disposto delle conseguenze sempre più evidenti dell'avanzato processo di tropicalizzazione climatica (anche nel settentrione, un tempo, come la Mesopotamia, baciato dalla ricchezza idrica) e delle inconsiderate politiche del territorio (basate sull'aspettativa del tutto scontato, funzionale al compiacimento delle politiche di scambio tra governance, aggregati sociali e politici (e relativi corpi intermedi sociali) sarà difficile, fare, come dice il Capitano, “la quadra”. 

Anche, perché la complessità della questione rivela lati di insostenibilità di una risposta che possa salvare tutto d'un colpo e a beneficio dei bisogni di tutti la classica comitiva di lupi, capre, cavoli, difficilmente assoggettabili al boat sharing. 

Una parabola, questa, dal forte potere evocativo sul ventaglio delle possibilità concrete, che si scontrano manifestamente con le dimensioni della coperta. Se trattieni a monte, precauzionalmente perché le riserve non sono infinite e prima o poi si esauriranno, non affronti l'immane tragedia della pianura. Se apri sistematicamente i “rubinetti” a tutte le istanze, si sappia che le riserve a monte non sono infinite e che il loro reintegro, con la de-glaciazione ormai irreversibile e con standards di piovosità assolutamente incongrui, sarà affidato a tempi incompatibili con un riequilibrio conforme al ventaglio di tutte le esigenze. 

Ok, razionamento utenze civili individuali e collettive e contenimento degli usi irrigui e industriali. Non proprio escamotages (per quanto inaggirabili), ma, se la tendenza non fosse sollecitamente reversibile, sarebbero misure tampone (come la dichiarazione formale di emergenza e calamità). Per il momento, nonostante che le evidenze indirizzino in senso diverso consapevolezze strutturate e progetti strategici, i “poteri” istituzionali di ogni livello dimostrano di non schiodarsi dall'arroccamento su interventi strutturali non risolutivi (la corrente libera del maggior fiume) e su offe dal forte potere attrattivo (Vento, navigabilità di diporto), per i palati per i quali la preservazione dell'avi fauna conta più di tutto. 

Siccome abbiamo fortemente sanzionato le pulsioni del tutto e subito, ci guarderemo bene dal postulare progetti strutturati, a loro volta suscettibili di incorporare formule miracolistiche. 

Cacopardo ricorda il precedente del colossale progetto della TVA, capace di coniugare le consapevolezze accumulate nel corso del default di Wallstreet e un deciso interventismo pubblico come traino nelle politiche infrastrutturali e ambientali. 

Siamo cosa diversa dal grande continente americano. Ma la ricetta sarebbe stata utile, anche in contesti climaticamente meno sfavorevoli degli attuali. 

Si era giunti ad un buon punto di accumulazione di premesse e di delineazione di programmi di vasto respiro. Nell'ordinamento statale operavano, come si è avuto modo di percepire dallo scritto di Cacopardo, importanti presidî, come il Magistrato per il Po e il Magistrato delle Acque; in grado di assicurare, come nel caso degli scenari post-esondazione di inizio anni 50, le giuste visuali e tempestività di interventi correnti (anche grazie il supporto del Genio Civile). 

L'istituzione delle Regioni avrebbe dovuto implementare questo potenziale, per effetto dell'estensione delle competenze programmatorie riconosciute alla rete territoriale. 

Ma, come abbiamo avuto motivo di dolerci un po' su tutto il fronte della deriva dell'istituto regionale, soprattutto su questo versante si è manifestata una colossale eterogenesi dei fini. 

Il Magistrato del Po fu archiviato ed in sua sostituzione presero le mosse le incongrue Autorità di Bacino. Che, in men che non si dica, riavvolsero la pellicola dei più accreditati approdi delineati dal Magistrato oltre mezzo secolo fa. 

A cominciare dalla “bacinizzazione”, frutto dell'intensa testimonianza progettuale del Presidente prof. Rossetti che aveva lavorato sul Rodano e da giovanissimo sul Mekong. 

Tale lavoro aveva costituito le basi dell'elaborazione della navigazione interna, capitolo del Piano Nazionale dei trasporti licenziato dal Parlamento alla fine degli anni 80. 

Se non ricordiamo male, la messa a regime della bacinizzazione del Po avrebbe comportato un investimento di 1000 miliardi di lire (equivalenti a 500 mln di euro di oggi). 

Avremmo avuto una riserva costante di disponibilità idrica (per ogni uso) e una modalità trasportistica alternativa, meno impattante dal punto di vista della preservazione ambientale. 

Sicuramente le “bizze” del Grande Fiume, imputate ad ogni eccesso di piovosità e di siccità, non ci sarebbe più state.

Invece, come nel gioco dell'oca, ci troviamo al punto di partenza.  

Nel momento in cui abbozziamo questa presentazione del bellissimo elaborato dell'editorialista Domenico Cacopardo, ci imbattiamo in un altrettanto bel lavoro giornalistico; che è l'intervista del giornalista (cantore della padanità, nonostante le radici calabresi) a Italo Soldi, imprenditore agricolo e con autorevoli esperienze nel settore della gestione irrigua: 

La bacinizzazione è una risposta che prevede la regolamentazione del Po, in modo da mantenere sempre un livello accettabile per tutto l'ecosistema. Gli obiettivi del progetto: il riequilibrio idraulico/morfologico del fiume; il miglioramento delle condizioni di navigabilità commerciale, la produzione di energia da fonte rinnovabile, miglioramento delle possibilità di irrigazione, innalzamento e stabilizzazione delle falde, maggiore disponibilità di risorsa idrica nei periodi di siccità, riqualificazione paesaggistica e ambientale. 

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