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L'EcoRassegna della stampa correlata - "Focus Ucraina"

Di Domenico Cacopardo e Mauro Del Bue

  24/02/2022

Di Redazione

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Questa “lavagna”, che si avvale degli editoriali di Domenico Cacopardo (editorialista della Gazzetta di Parma) e di Mauro Del Bue (direttore editorialista dell'Avantionline), esce come focus tematico dedicata alla crisi Ucraina. I cui sviluppi, resi prevedibili da una studiata strategia, approdano ad uno snodo non imprevedibile. Come titola Cacopardo siamo alla “Guerra”. E non più di annunci, di diplomazia e di nervi. 

Una guerra vera. Con le stesse modalità e dinamiche che contraddistinsero, decenni addietro e pressappoco nel medesimo quadrante geopolitico, le maniere spicce, oggi del satrapo postsovietico, come ieri gli oligarchi del Cremlino bolscevico. 

Mutatis mutandis, non cambia assolutamente l'aggregato di pulsioni e di pretese dei poteri che soffocano al loro interno la democrazia e che sottomettono la libera determinazione di altri paesi. 

Appunto, mutatis mutandis, si va, nei progetti del Cremlino che ha solo mutato inquilino e apparentemente modello istituzionale, l'intelaiatura che, dall'immediato secondo dopoguerra e per mezzo secolo, costituì la divisione nei due blocchi. 

Avremo modo, nei prossimi giorni, di approfondire, molto oltre il profilo specifico indotto dalla guerra militare, una questione che apre riflessioni sulla gestione dello scenario scaturito dalla caduta del Muro. 

I settori progressisti del sistema liberaldemocratico europeo ed Occidentale lessero per mezzo secolo le “rivoluzioni” (l'ottobre ungherese, la primavera praghese, la stagione di Solidarnosc) furono percepite come una ribellione alla Cortina di ferro propedeutica all'instaurazione di sistemi di derivazione occidentale. 

Gli sviluppi avrebbero dimostrato che, dopo i primi vacillamenti del default sovietico, ci sarebbe stata la palingenesi del centro dell'impero che fu zarista prima e sovietico poi. 

Così come la gran parte delle “primavere”, incardinate in chiave filoccidentale (per averne l'appoggio per lo svincolo definitivo dal blocco, per imboccare il dopo caduta del muro sotto l'egida e i vantaggi dell'UE e della Nato) avrebbero segnato, nei rapporti con il mondo liberaldemocratico, un'eterogenesi dei fini. 

Incassati solidarietà, appoggi, omologazioni internazionali, ci sarebbe stato il reflusso sulle posizioni genetiche dei trascorsi del nazionalismo reazionario. Perché, come scrive Polito oggi sul Corriere, “i valori su cui si fonda l'UE sono apertamente contestati dalle entità statuali che si ribellarono alla Cortina di ferro e al giogo sovietico” 

Occorrerà riflettere su tale circostanza. Ma già sin d'ora occorre mobilitarsi, uscire dall'indifferenza e dai calcoli del ci conviene. 

Sotto tale profilo, il popolo democratico e le istituzioni cremonese già lo hanno fatto.

Nel momento in cui postiamo questo articolo, si sta svolgendo in Piazza del Comune, una manifestazione convocata dal Presidente del Consiglio Comunale avv. Paolo Carletti. 

Sabato alle 11,30 nella medesima piazza ci sarà il flash mob della Tavola della Pace (locandina nella gallery - ndr). (e.v.)

Guerra 

di Domenico Cacopardo 

Tutto era stato deciso da tempo. Preparato accuratamente sotto il profilo economico, con la complicazione del mercato energetico, sotto il profilo militare e sotto il profilo comunicazionale (fortunatamente abbastanza contrastato dall'Intellegence Usa). Peraltro, la disinformatia aveva un solo reale destinatario: il popolo russo e assimilati. 

L'invasione è iniziata e Putin ha in mano tutte le opzioni disponibili vista l'enorme disparità delle forze (militari: il che testimonia dell'insussistenza di una minaccia ucraina), compresa la discesa su Kiev. Sarà un'operazione sanguinosa, giacché gli ucraini (tra i quali sono da secoli inserite comunità tedesche, oggi, come sempre, combattive) resisteranno più che in campo aperto in una guerra partigiana che potrà essere sconfitta solo con le stragi. 

Per il mondo occidentale che -e quanto sta accadendo lo dimostra in modo inequivocabile- ha fatto bene ad accettare l'allargamento della Nato richiesto dagli stati che il tallone ferrato della tirannia russa l'hanno conosciuto per secoli si pone una antica domanda, tornata d'attualità: nel 1939 era «Morire per Danzica?», nel 2022 è «Morire per Kiev?» 

È troppo presto per dare una risposta -che non può che essere «Sì» almeno per coloro e per i popoli che ancora hanno un minimo di dignità nazionale e di volontà democratica- giacché molta -non moltissima- acqua deve passare sotto i ponti del Dnper. C'è infatti da vedere se l'establishment russo, nato all'ombra dell'Occidente e sviluppatosi nella corruzione del regime e in una certa libertà d'intrapresa sia disposto o meno a giocarsi tutto in una guerra economico-finanziaria. La manovra azzardata e spregiudicata di Vladimir non è solo una manifestazione di forza, ma è anche una esorcizzazione della debolezza intrinseca al regime, fondato su un consenso superficiale e ricco di riserve (in proposito da rivedere il primo dei discorsi di Putin di lunedì scorso, infarcito di falsità storiche). Riguardo alle falsità, ricordo en passant che l'Ucraina non è entrata nella Nato e che il suo presidente in queste ore ha chiesto -mossa disperata- di entrarvi: il pericolo, quindi, di un'Ucraina nella Nato non era né è attuale e in ogni caso la sua neutralità avrebbe potuto costituire un elemento fondamentale di un negoziato che non è mai iniziato. 

Tutto ciò non toglie che la situazione in atto (e in evolversi) è che una potente armata corazzata russa è entrata nel territorio ucraino e marcia verso Ovest e Sud-Ovest. Si fermerà quando Putin avrà raggiunto i propri obiettivi. 

L'Occidente, gli Usa, il Canada e l'Europa sembrano uniti e solidali e pronti ad adottare misure di embargo epocali, tali cioè da isolare il sistema finanziario russo dal resto del mondo (esclusa la Cina). Misure pesanti che graveranno sul popolo russo e sui popoli occidentali.  

Un sacrificio che riguarderà tutti, anche noi italiani. 

Saremo e siamo tentati di ripetere ancora una volta la manovra di politica estera per cui andiamo famosi nella storia del mondo: finire una guerra dalla parte opposta a quella con cui l'abbiamo iniziata. 

Nella perenne lotta tra guelfi e ghibellini si ritrovano oggi i filo-russi e i filo-occidentali. 

Dobbiamo però riflettere che l'Italia è da decenni solidamente inserita nell'Unione europea con legami stretti e fattivi che hanno contribuito non poco al successo della nostra economia. E siamo parte secondaria ma non ininfluente della Nato che ha fornito anche a noi l'ombrello di sicurezza anche nucleare di cui avevamo e abbiamo bisogno (e l'oggi lo dimostra). E che, quindi, per rispetto alla società come è stata costruita, all'attuale sviluppo, al livello di democrazia raggiunto abbiamo il dovere politico e morale di non rompere la solidarietà occidentale. 

Molti si stanno domandando chi sarà il vincitore della contesa e pensano di trarre vantaggi dallo schierarsi a favore della Russia. Errore grave, perché in ogni caso, quando si arriverà a una soluzione essa sarà una soluzione tra i due campi: in parole povere il traditore sarà sgradito a Dio e a li nimici sui. 

Certo, in questa contingenza il sistema di disinformazione, di cui la Russia è il principale protagonista avrà modo di far danni anche in Italia. Figuratevi che qualcuno ha scritto l'altro ieri che la Polonia è pronta a cambiare campo e a schierarsi con Mosca: una follia che può dire solo chi non sa cosa hanno subito i polacchi dai russi. 

Perciò, piuttosto che una caotica messe di iniziative politiche messe in atto dai nostri nanetti, è meglio, anzi è vitale che il Paese si unisca intorno al governo che è rappresentativo di gran parte (maggioritaria) degli italiani ed è capeggiato da un leader di sicuro affidamento come Mario Draghi. 

Quindi, ancora una volta, ma soprattutto ora: «Keep calm and carry on». Stiamo calmi e andiamo avanti nel possibile, non nell'impossibile. 

www.cacopardo.it 

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Le pretese del nuovo zar 

Mauro Del Bue del 23 Febbraio 2022 L'editoriale 

Sono rimasto sconcertato dal resoconto della dichiarazione di Vladimir Putin, trasmesso in diretta dalla televisiva sulle reti russe. Putin in buona sostanza accusa Lenin di aver superato l'accentrato potere imperiale zarista combinandolo in federazione di stati. E tracciando con approssimazione il territorio e in particolare i confini tra Russia e Ucraina. 

Il tracollo del sistema comunista ha poi fatto il resto e trasformato l'autonomia degli stati in indipendenza. E Putin ha sempre ritenuto questa “la più grande tragedia del XX secolo”. Quel che il presidente russo vuole dimostrare non è solo l'illegittimità dell'Ucraina, rispetto alla quale deve risalire al medioevo, al fatto che i popoli russi e ucraini discendano entrambi dai Russ di Kiev, tribù slave, baltiche e finniche che nel Nono secolo crearono un'entità monarchica che comprendeva parte dell'attuale territorio ucraino, bielorusso e russo, ma la volontà di superare la tragedia della frantumazione dell'Urss. Le due affermazioni messe insieme non lasciano dubbi sulle conseguenze. Se l'Unione è stata la premessa del disfacimento causato dall'indipendenza, bisogna tornare indietro, a prima della rivoluzione del 1917. Cioè a una sorta di stato onni comprensivo che faccia perno su Mosca. E che ribalti l'acquisizione di stati autonomi discesa dalla fine dell'Urss nel 1991. Caso eccezionale quello della Cecenia, attuale repubblica della federazione russa, trascinata in due guerre per l'indipendenza, ricorrendo anche a forme di terrorismo, culminate in una dittatura di un governo filo russo. Anche la Cecenia, come l'Ucraina è contrassegnata, non è un caso, dalla presenza di oleodotti e gasdotti. In Georgia, indipendente dal 1991, ancora fresco è il ricordo della guerra in Ossezia del Sud, i bombardamenti nel porto di Poti, tra esercito georgiano e secessionisti appoggiati dalla Russia, più o meno con il pretesto di tipo ucraino. Tremano poi le tre repubbliche baltiche che hanno storia emblematiche. Cedute all'Urss di Stalin dal patto Ribbentrop Molotov del 1939, furono inglobate nel regime sovietico che represse ogni tentativo indipendentista fino al 1991. E oggi Estonia, Lituania e Lettonia, hanno deciso di aderire alla Nato. Toccarle è come accendere un fuoco devastante. L'orizzonte tracciato da Putin è inquietante perché egli nega identità storica a nazioni indipendenti e basa i motivi del mancato riconoscimento su questioni relative alla razza e alla lingua che sono francamente inaccettabili, perché allora sarebbero parimenti legittime le pretese indipendentiste catalane o basche o quelle degli anni sessanta, poi sepolte anche grazie al denaro, dei sudtirolesi. Qualsiasi tentativo di sconvolgere la geografia degli stati universalmente riconosciuti è un grave attentato all'equilibrio che porta alla stabilità e alla pace. Ancora speriamo che Putin non porti alle estreme conseguenze il suo discorso, perché allora dovremmo pensare ad uno sconvolgimento dell'assetto di una intera area geografica, oggi formata da stati indipendenti e da tensioni anche di natura bellica tali da interessare il mondo intero. Putin forse agita nervosamente i suoi desideri per accontentarsi di meno. Forse si sente forte per l'appoggio, per ora misurato, di Pechino, e perché conosce la relativa dipendenza, energetica ed economica, di mezzo mondo da questi due paesi. Dopo la Crimea, attraverso il riconoscimento delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, vuole impadronirsi dell'intero Donbass. Forse lasciando Kiev al suo destino. Ma Kiev potrà accettare che lo zar di Mosca si prenda fetta dopo fetta parte economicamente e strategicamente essenziale del Paese? E cosa farà la comunità internazionale di fronte a questa guerra che é già iniziata? Si limiterà alle sanzioni e ad inviare armi? È ancora possibile rinviare la parola non alle armi, ce l'hanno già, ma alla diplomazia? È possibile ancora convincere Putin che l'Ucraina, che ha tutto il diritto di scegliere i suoi alleati e la sua collocazione internazionale, non entrerà nella Nato dove la stessa Russia, al tempo di Eltsin aveva, nel 1991, chiesto ufficialmente di far parte con una richiesta formale ufficializzata dal presidente russo a Bruxelles? La Nato, che adesso fa paura, allora era un approdo sicuro. Perché? Qui sta il nocciolo politico del problema. Perché Putin non è Elstin. Quest'ultimo era un democratico che aveva combattuto la dittatura e il potere sovietico nonché il tentativo di golpe militare, quell'altro era invischiato nelle trame del Kgb ed é a capo di un sistema con larghi tratti di illiberalità e sospettato di terribili vicende. L'uno ha dato libertà al suo popolo e agli stati l'altro ha costruito un regime oppressivo e vuole tornare indietro di trent'anni. Il papa quest'oggi, senza far trapelare le responsabilità, ha fatto un accorato appello alla pace, che non possiamo che condividere senza poter ignorare chi sta oltrepassando i confini e portando alla guerra. 

Contro l'aggressione di Putin 

Mauro Del Bue del 24 Febbraio 2022 L'editoriale 

È cominciata la guerra. Una guerra di aggressione di uno stato, la Russia, a un altro stato, l'Ucraina, resasi indipendente con un referendum popolare nel 1991. È una guerra, a quanto pare, all'intero paese aggredito e non circoscritto alla sola area del Donbass. Bombe, missili, colpi di mortaio si odono ovunque. Aveva ragione Biden. Tutto era stato pianificato da tempo. Il dovere dei democratici di tutto il mondo è di stare dalla parte degli aggrediti e contro l'aggressore. Putin ha preso in giro il mondo intero sapendo che il dado era tratto da tempo. Il pretesto studiato, le repubbliche del Don bass che chiedono indipendenza e aiuto e il conseguente loro riconoscimento, faceva parte del piano. Il nuovo zar oggi non minaccia solo le ex repubbliche sovietiche che si sono rese indipendenti dall'Urss nel 1991 e la cosa viene giudicata da Putin “la più grande tragedia del XX secolo”. Putin sta diventando un pericolo per il mondo intero. Le sue allucinanti dichiarazioni, quelle di lunedì sul disconoscimento all'identità statuale dell'Ucraina e dello jus sanguinis dei russi e la sua critica a Lenin per avere creato una federazione di stati, ci rimandano alla sua visione imperiale di stampo zarista pre diciassette e a uno sconvolgimento auspicato negli assetti di una vasta area del mondo. Adesso il nuovo zar minaccia addirittura, non solo le ex repubbliche sovietiche, ma l'occidente intero. Quest'oggi infatti afferma: “Chiunque provi a interferire o a minacciarci, deve sapere che la risposta della Russia sarà immediata e porterà a conseguenze mai sperimentate nella storia”. Conseguenze mai sperimentate nella storia? A cosa allude? Alla follia dell'uso di armi nucleari? È chiaro che le sanzioni oggi lasciano il tempo che trovano. Se c'è un'aggressione bisogna reagire. Come, deve valutarlo subito la comunità internazionale che ha a cuore la democrazia e la pace e il rispetto tra i popoli. Quella che se ne frega di tutto questo, penso alla destra statunitense e a settori della destra italiana, si rende complice di un gesto imperialistico che avrà delle serie conseguenze nella vita dell'intera umanità.

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