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Questione socialista in Italia: riguarda tutta la sinistra

L’incipit della presente riflessione, che inquadra l’annuncio delle iniziative finalizzate al reimpianto di qualcosa che assomigli ad un movimento socialista in Italia, non può non prendere le mosse dalla consapevolezza degli scenari di partenza. Rispetto ai quali qualsiasi analisi, che non sia guidata dalla severità fino alla spietatezza, rinnoverà all’infinito i testa-coda

  13/06/2019 22:01:00

A cura della Redazione

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L’ECOPOLITICA Questione socialista in Italia: riguarda tutta la sinistra

L’incipit della presente riflessione, che inquadra l’annuncio delle iniziative finalizzate al reimpianto di qualcosa che assomigli ad un movimento socialista in Italia, non può non prendere le mosse dalla consapevolezza degli scenari di partenza. Rispetto ai quali qualsiasi analisi, che non sia guidata dalla severità fino alla spietatezza, rinnoverà all’infinito i testa-coda

Come si diceva un tempo, il medico pietoso fa la piaga purulenta.

E che di siffatti cerusici, animati solo da narrazioni inveritiere ad usum delphini, nella sinistra intesa in senso lato ce ne siano talmente tanti non è neanche il caso di insistere.

Nel PD, poi, da lungo tempo convivono prevalenti impulsi indirizzati tanto a fornire letture deformate dello stato dell’arte della marginalizzazione quanto a raccogliere adesioni a tesi manifestamente auto-assolutorie e compiacenti. Tipo quella più recente raccolta, per ragioni congressuali e di sostegno di un aggregato manifestamente privo di substrati teorici e di reali volontà convergenti, attorno alla sostenibilità della leadership Zingaretti, il nuovo leader dem che avrebbe dovuto dettare il percorso della resilienza.

D’altro lato, come girare la testa dall’altra parte ed abbozzare quando si legge l’endorsement a suo favore (“È un Filippo Turati de Roma. Un riformista. Concreto, dialogante prudente, in certi momenti anche troppo”) dello scissionista Bersani (il cui dichiarato mito, tanto per rendere meglio credibile, resta Enrico Berlinguer)?

Ma quando uno come il Governatore laziale (che arrischia di diventare il Romolo Augustolo del PD) arriva ad affermare “In questo voto ci sono ferite sulle quali occorrerà riflettere. Prima non toccavamo palla, ora c’è un nuovo bipolarismo”, allora diventano manifeste sia l’assenza di credibili basi di consapevolezza della natura e dello stadio di sofferenza di un ciclo (durato un quarto di secolo) sia la minimale lucidità di lettura della perdita della dimensione storica dei cambiamenti in atto. Perché per essere franchi (si ripete fino alla brutalità) e per restare aderenti alla metafora ludico/agonistica, non è che, avendo giocato gli ultimi anni in serie A con lo spauracchio della retrocessione, quando la retrocessione è avvenuta puoi mentire sulla palla che tocchi (come raccatta-palle).

Si è arzigogolato, rispetto all’analisi delle recenti tornate elettorali, con stime auto assolutorie e controfattuali.

Massì, di election day in election day l’aggregato politico ed elettorale non ha proprio continuato un trend a precipizio. Ma dire che si sta recuperando, significa mentire ed irresponsabilmente sottrarsi all’imperativo ineludibile (pena la caduta senza appello) di ancorare la ripartenza ad uno sforzo di analisi senza del quale, soprattutto con la ricerca di capri espiatori e di diversivi, si resterà immersi nella palude. Finché, come è avvenuto, in certe realtà occidentali, l’irrilevanza non raggiungerà la certificazione della scomparsa.

Appare abbastanza ovvio (e se non lo fosse lo sottolineeremmo) che il soggetto portatore di questa parabola è la sinistra nel suo complesso (con maggiori o minori responsabilità). La cui gradazione è manifesta nell’estrapolazione che facciamo di una recente intervista rilasciata da una superstite, Rossana Rossanda, del massimalismo che caratterizzò (monopolizzò) la sinistra italiana per lungo tempo. “La fine di un sogno strutturato in ideologia ha causato disagio, delusione e dolore nella militanza comunista. Nella sinistra ci fu chi, diversamente dai massimalisti del faremo come la Russia, non investì tutto nel sovversivismo e nell’utopia astratta dalla realtà ed ebbe la lucidità di leggere e comprendere la realtà.”

Ecco, nella mappa della vestale del radicalismo marxiano (di cui è manifesto il rimpianto), noi siamo i secondi. Che, nonostante la lucidità di leggere e di comprendere, abbiamo perso la patria politica e fin’anco il diritto di tribuna.

Cionondimeno, riteniamo che la testimonianza socialista non possa prescindere dall’allargamento della visuale a tutto il campo degli scenari indotti dai profondi cambiamenti.

Sparite le grandi fabbriche e le grandi organizzazioni sindacali, dobbiamo convivere con disuguaglianze crescenti e lavori incerti impalpabili. Ora sta al potere politico e alle aziende decidere se continuare con un capitalismo selvaggio alimentato dalla rivoluzione tecnologica, che se non governata può spingere verso relazioni sociali estreme o cercare nuovi equilibri.

Questo, per sommi capi, è il campo delle consapevolezze che devono guidare la ricerca di un nuovo progetto di trasformazione della società di ispirazione liberale, laburista e riformista.

Immaginare definiti aggregati teorici e, soprattutto, modelli associativi ed organizzativi sembra oltre che prematuro anche molto difficile.

Di sicuro costituisce risposta sterile e deviante l’azzardo di un ritorno all’ulivismo (come traspare abbastanza chiaramente dal vaticinio del candidato naturale Calenda “Occorre creare una grande forza liberale e popolare e un programma capace di saldarla al PD”)..

Che costituirebbe il classico gesto di riporre nell’astuccio il dentifricio eccedente.

Il PD, nato ircocervo per fusione a freddo del post comunismo e del cattolicesimo nelle ultime stagioni è diventato un ectoplasma.

Il perimetro, tracciato al Lingotto, del sedime teorico e del campo sociale di riferimento del movimento maggioritario concepito da Veltroni ad immagine e somiglianza del modello clintoniano allora in voga, appare manifestamente obsoleto. Nei contesti in cui venne concepito ed operò e nel nostro, in cui venne acriticamente traslato. A supporto della rivisitazione del fascino del modello pluralista del centro-sinistra, si mette in campo ardimentosamente e con evidente richiamo all’opportunismo elettorale l’assunto: “Se la sinistra non può elettoralmente vincere senza le classi popolari, senza il voto moderato non ha mai vinto”.

Mentre, in realtà, lo spettro della ricerca dei segmenti sociali e culturali reclutabili in un pannel di nuovo riformismo/laburismo deve spaziare in una declaratoria più vasta. Elenchi abbozzati forse frettolosamente (ceti deboli, giovani, periferie, piccoli centri) vanno ampliati quanti-qualitativamente ai ceti produttivi, vessati dalle tasse e soprattutto dall’assenza di certezze, ai ceti professionali, alla vecchia middle class indirizzata alla consunzione, ai pensionati emarginati dal contesto socio-economico da inasprimenti fiscali e dalla svalutazione delle pensioni. Afferma il Sindaco di Milano Sala: “il PD da solo non basta”.

Questo uovo di Colombo avrebbe dovuto essere implicito negli sviluppi (o nelle ambizioni) di un Partito Democratico di ispirazione maggioritaria. Che, invece, da Lingotto in poi, anziché applicarsi alla elaborazione di un progetto alternativo di società, permeato dall’influenza della cultura liberalsocialista, non si sarebbe mai discostato, per limiti di analisi, per impulso a massimizzare rendite di posizione derivanti da equilibri ritenuti immutabili, per pigrizia a mettere in discussione le proprie tare, dal baricentro costituito dal raggiungimento del sogno del compromesso storico.

Non esistono più culture politiche, idee politiche, programmi. L’Italia da anni ha bisogno di una scossa, di una svolta netta. Basata su leadership distinguibili per progetto e dotate di facoltà d’azione non condizionata dalla protrazione di schemi suicidi.

L’impresa riguarda, ovviamente, dimensioni diversificate, anche o soprattutto i socialisti.

Se fosse possibile, avendo riguardo ai cicli sostanzialmente satellitari di Boselli/Villetti (il cui profilo, in qualche misura riabiliterebbe l’onore del Partito Contadino Polacco ausiliario del POUP), si potrebbe dichiarare non ulteriormente estensibile l’impulso suicidarlo e semplicemente rinunciatario dei socialisti italiani ad esercitare, pur in posizioni improbe, la propria testimonianza ideale e politica.

Con l’ultimo Congresso Nazionale e, soprattutto, con la scelta inconsiderata di collocare quel che resta del PSI in un’alleanza alternativa, se non addirittura antagonistica, al naturale riferimento sovrannazionale, che è il PSE (di cui, tra l’altro, è partner fondatore), si può azzardare che siamo in presenza del classico arresto cardiaco.

La prospettiva di invertire una tendenza, che porta inevitabilmente alla totale sparizione, in aggiunta alla attuale manifesta irrilevanza, non può che partire dalle iniziative autogestite dell’ancora significativa presenza dell’associazionismo storico e politico culturale presente sul territorio nazionale.

Questa (per alcuni versi incoraggiante) constatazione, indica che il passo successivo non può non essere quello della messa in rete di queste feconde realtà, attraverso un percorso di armonizzazione e convergenza.

Che si sostanzi di uno sforzo di rivisitazione ed attualizzazione di quel formidabile progetto “Governare il cambiamento” del ciclo riformista, rimasto stanzialmente disatteso dalle progressioni traumatiche degli anni 90 dello scorso secolo, benché ampiamente proponibile nei contesti correnti.

Che, soprattutto, pur nella consapevolezza della propria specificità di progetto e di movimento autonomo, sappia trovare le modalità e le opportunità di raccordo con tutta la sinistra riformista.

Perché, ove non lo si fosse capito, la collocazione dei socialisti, nel campo plurale dell’area del centro-sinistra, non può non essere quello che definisce i propri perni nella cultura del liberalsocialismo e del laburismo.

Rinserrare i ranghi delle testimonianze individuali ed associative attorno a questo progetto, che richiede un forte tasso di omogeneità del nucleo iniziale, è la condizione propedeutica di un progetto politico suscettibile di stabilire continuativi rapporti di consultazione e di convergenza.

Con la costituzione della Comunità Socialista della città e del territorio si stanno creando le basi della ripartenza. Nei prossimi giorni è prevista l’assemblea degli aderenti, impegnata a stabilire le tappe del prosieguo del reinsediamento organizzativo e del consolidamento della strategia relazionale.

Riportiamo appresso la relazione introduttiva, nonché l’intervento di Valdo Spini pronunciato alla recente convention dell’Associazione Socialismo XXI.

Ed annunciamo che sull’argomento “Fondazione Circolo Rosselli”organizza per Mercoledì 12 giugno alle ore 17.00 allo Spazio Rosselli, via Alfani 101 Rosso, Firenze Tavola rotonda sul tema:

Risultati elettorali e prospettive politiche. Con gli interventi di:

Sergio Rizzo, Vicedirettore di “Repubblica”

Paolo Ceccarelli, del “Corriere Fiorentino”

Francesco Ghidetti, del “Quotidiano Nazionale”

Modera:

Leila El Houssi, Docente universitaria

Presiede:

Valdo Spini, Presidente della “Fondazione Circolo Rosselli”

COSTITUENTE - “RETE DELLE COMUNITÁ SOCIALISTE CREMONESI”

Relazione di Tommaso Anastasio, Coordinatore Territoriale, 16/06/2019

Amiche e Amici, Compagne e Compagni,

PERCHÈ SIAMO QUI

Permettetemi di iniziare questo mio intervento con una domanda: perché siamo qui, oggi?...Perchè siamo Socialisti! Senza ulteriori aggettivi; abbiamo le idee chiare su chi siamo e da dove veniamo, anche se una seria riflessione su cosa vogliamo non ci farebbe male...

Il mondo non è migliore ad oltre vent’anni dalla diaspora e dall’affermazione dei nuovi movimenti e partiti politici formatisi e affermatisi durante il “principio della fine”, gli anni ‘90. La storia, non solo si è fermata, ma sembra pure essere tornata sui suoi passi. Da allora, quel che rimaneva del PSI si è via via impoverito di donne e di uomini, di linfa vitale e preziosi ricordi, fino (al canto del cigno) ai giorni nostri.

È emblematico come nel tempo i Compagni che per mille ragioni diverse si sono trasferiti armi e bagagli in altri partiti, di destra e di sinistra, simboleggiano la nostra forza e contestualmente la nostra debolezza: a tutti facciamo comodo ma non riusciamo ad esserlo per noi stessi, come se ci stesse più a cuore la purezza delle nostre idee, piuttosto che i compagni di viaggio nella consapevolezza che il mondo sarà pure trasformabile, ma di certo non può essere perfetto!

E siamo qui, dopo che anche l’ultimo Segretario del PSI di Cremona è passato al PD. No, di certo non lo biasimo, ma possiamo dirci che è il prodotto di quel paradosso appena citato?

Quelle volte che siamo stati d’accordo (o quasi) ci siamo arroccati, ripiegati su noi stessi, a volte ci siamo accodati a partiti “affini” e altre volte ci siamo affidati al salvatore di turno; abbiamo scimmiottato le battaglie sui diritti civili dei Radicali.

Badate, battaglie giuste e condivisibili, ma non determinanti e men che meno incisive nel quadro generale del paese. Abbiamo così perso la trebisonda, dimenticandoci dei lavoratori, dei più deboli, dei pensionati e, in senso più ampio, di tutti i diritti sociali!

Le nostre battaglie.

Essere Socialisti, oltre tutte le possibili declinazioni del Socialismo, significa discutere interpretando i nostri ideali, criticare ma sempre nella dialettica, infine, fare sintesi e viaggiare uniti. Dei massimalisti ad oltranza, dei “socialisti di destra” (un ossimoro) e di chi è perennemente in disaccordo sulla linea tracciata, mirando a dividere, piuttosto che ad unire, possiamo farne a meno. Serenamente. La pluralità di idee va considerata una risorsa perché arricchisce i dibattiti, ma se viene utilizzata, pretestuosamente, per dividere o abbandonare i compagni al loro destino, allora qualcuno ha sbagliato sport e gli consiglio di darsi all’ippica!

Le derive populiste (Lega) e sovraniste (Fratelli d’Italia) il ricorso a nuove forme di democrazia interna di dubbia efficienza/efficacia/trasparenza (M5S) vanno considerate come conseguenza di uno smarrimento trasversale a tutti gli schieramenti politici, da destra a sinistra, i quali non sono più in grado di esprimere delle caratteristiche proprie, distintive, come in passato. Questi partiti, sembrano svolgere il compitino, senza una visione o una prospettiva di ampio respiro, al pari di una lista civica. Anche quei soggetti politici che si dichiarano “antisistema” nella pratica sono omologati al pensiero unico dominante, secondo i desiderata dei nuovi padroni, gli oligarchi della finanza globalista, l’accettazione del mondo così com’è e il fare politica secondo le regole del nemico, ignari, sconfortati o rassegnati all’idea che il mondo non sia più trasformabile, senza più riuscire a pensare altrimenti. Ecco, come secondo questa logica, ad esempio, una battaglia per l’affermazione di alcuni diritti civili senza un retro-pensiero critico, ideologico, e magari Socialista, può portare ad

affermare gli obiettivi del “nemico” anziché gli onesti principi.

Aneliamo una società più giusta, più equa e più libera. La nostra progressiva assenza, dagli anni ‘90 in poi, ha contribuito all’arretramento sulle conquiste sociali; allo smarrimento del significato del “fare politica” ed al suo imbarbarimento. Viviamo nell’epoca dello sbandamento perfino da parte del CSM il quale porterà inevitabilmente ulteriore insicurezza e mal di pancia fra i cittadini. Il nostro è il paese dove l’evasione fiscale non ha eguali fra quelli più avanzati, così come la pressione

fiscale, iniqua ed ingiusta, sia nei confronti dei cittadini che delle imprese.

Altro paradosso: allo stato si chiede di lasciar fare (secondo il laissez-faire del liberismo economico) poi però si chiede allo stato di farsi carico dei dipendenti in Cassa Integrazione (a fronte di piani di ristrutturazione inconsistenti o pretestuosi) fino alla peggiore delle ipotesi, nella gestione degli esuberi e il sostegno alle loro famiglie per cessata attività, secondo il detto, ormai popolare, “privatizzare gli utili socializzare le perdite”.

Questione immigrazione: il buonismo acritico delle sinistre è collimato col volere dei

potentati, col duplice effetto di importare mano d’opera a basso costo (i nuovi

schiavi) e di comprimere i diritti duramente conquistati a caro prezzo e col sangue dai lavoratori autoctoni.

Il popolo africano, in particolare, è oggi ancora più sfruttato dalle tante multinazionali grazie anche alla complicità di alcuni politici corrotti (se non nella indifferenza più totale della politica). Un vero Socialista lotterebbe per loro emancipazione e non per favorirne la fuga dalle proprie terre.

Per tutto ciò, non possiamo fare un’analisi onesta della situazione sociale, politica ed economica odierna, senza uno spirito critico alla modernità, all’ideologia unica, imperante e più pervasiva della storia.

Siamo già oltre quel “vecchio capitalismo” come lo conoscevamo e che tentavamo di governare o, nella migliore delle ipotesi, di correggere.

Il centro-sinistra odierno, annichilito e prono ai desiderata dei gruppi di potere, non è più in grado di elaborare programmi di governo che non siano stilati su mere basi tecniche, secondo la logica dei freddi numeri (i famosi saldi invariati) o in base all’utilitarismo di parte, quella opposta a lavoratori e pensionati...

Equilibrio fra meriti e bisogni, la tutela dei più deboli, delle minoranze, delle diversità e delle libertà, il sostegno alle famiglie, sempre più svilite, cellule fondanti di una comunità degna di questo nome, la logica dell’interesse comune, il contrasto alla disgregazione degli stati sovrani in favore della globalizzazione. Rispetto a quest’ultimo punto è sicuramente compiuta la libera circolazione delle merci, piuttosto che delle persone.

Il mainstream dell’informazione, la neolingua con i suoi anglicismi (secondo le predizioni di Orwell) contribuiscono alla confusione nell’opinione pubblica e alla distorsione a senso unico della realtà.

L’Europa esiste solo come BCE e moneta sovranazionale che basa il suo sistema sul debito (con tutte le sue contraddizioni) il consumismo e il concetto di illimitatezza.

Non siamo per la decrescita felice, ma nemmeno per la crescita come parametro di riferimento per la qualità della vita, o precondizione per il sostentamento delle classi più deboli. La redistribuzione di una consistente parte della ricchezza è imprescindibile: c’è chi ha troppo e chi a troppo poco. E qui i meriti non c’entrano nulla, semmai c’entrano i favori, in primis, di natura fiscale e altro ai soliti noti.

Nonostante l’esistenza di un parlamento europeo i cittadini non percepiscono, di fatto, alcuna unione politica che se mai avverrà, sarà certamente a caro prezzo per le classi lavoratrici (sul fac simile della riunificazione della Germania).

QUALE ORGANIZZAZIONEL’inesorabile declino di Forza Italia, direttamente proporzionale a quello del suo leader e fondatore, molto probabilmente porterà ad un rimescolamento e riequilibrio delle forze di centro-destra con in primis i “partiti-personali” di Lega-Salvini e Fratelli d’Italia-Meloni oltre a ciò che rimarrà del partito fondato da Berlusconi. Nel centro-sinistra rimane il PD con ancora tutte le sue contraddizioni e un ondivago M5S privo di anima, portatore, con la lega, di molti delusi e appartenenti ai ceti più sofferenti.

Ma non siamo qui per ridere delle disgrazie altrui, né fare analisi sugli altri senza che ce ne sia un’utilità concreta per noi e per chi tentiamo di rappresentare.

Possiamo però affermare di avere un vantaggio rispetto a quasi tutti gli altri soggetti politici, ovvero, abbiamo un idea, o se preferite, un’ideologia che ci guida e ci anima.

Non un capo, non un contratto di governo, ma bensì qualcosa di più grande e più nobile, basato sulla progettualità incardinata sui nostri ideali e in coerenza col quadro generale della nostra visione della società.

Non può esserci alcuna rinascita prescindendo dai valori fondanti del Socialismo.

Dobbiamo riaffermare la nostra cultura, prima ancora della nostra storia, perché dobbiamo convincerci che non torneremo quelli di un tempo: cambiamo noi stessi ed il nostro modo di fare per affermare le stesse, valide, ragioni del passato. Dobbiamo riavvicinarci ai giovani e non il contrario. Essi sono i più colpiti da questa crisi di valori, soffrono del più alto tasso di disoccupazione di tutti i tempi, smarriti, senza ideali nè obiettivi. I più non conoscono nemmeno il sindacato.

Formiamo nuovi quadri, nuovi rappresentanti politici degni di questo nome, facendogli fare esperienza, fin dalle liste civiche, comune per comune, e così a salire, con pazienza e soprattutto con coerenza che vuol dire anche mantenendo aperto il (Bozza non corretta) pag.3 di 4

dialogo con tutte le forze di sinistra, evitando un inutile e controproducente isolazionismo. L’autonomia è ben altra cosa. Mantenere un canale permanente di dialogo col PD di Cremona, non lederà la nostra autonomia di pensiero, di critica onesta e coerente con la nostra visione del mondo.

QUALE AZIONE

Politicamente, sul territorio, costituiremo una Rete di Comunità Socialiste che dibatta sulle varie tematiche e si esprima pubblicamente in piena autonomia.

Il nostro riferimento europeo, la nostra casa, è certamente il PSE, pur ribadendo la nostra autonomia d’azione sul territorio.

Saremo snelli, ma non a discapito della trasparenza interna.

Saremo agili, ma sempre coerenti con le linee decise dai vari gruppi di lavoro.

Per fare ciò è necessario che i singoli attivisti condividano col proprio gruppo territoriale (cremasco, cremonese o casalasco che sia) ogni tipo di informazione o comunicazione da e verso l’esterno, muovendosi all’unisono.

Poichè oggi, per quanto precedentemente affermato, il centro-destra e il centrosinistra, nella prassi, sono quasi intercambiabili, noi ci proponiamo di pensare e fare cose Socialiste, ovvero, secondo la chiave di lettura odierna, né di destra né di sinistra, ma bensì, noi intendiamo tornare per essere La Sinistra!

Valdo Spini

Le elezioni europee hanno dimostrato che, pur in difficoltà, Il Partito del Socialismo Europeo è tutta l’altro che morto. In particolare, Pedro Sanchez col suo Psoe è destinato ad avere un ruolo anche nella definizione degli organigrammi istituzionali. Questo è molto importante anche per un’identità socialista italiana. Una delle scelte possibili e di fatto da vari compagni praticate alle ultime elezioni europee è stata di votare per lo spietzenkandidaten socialista, Frans Timmermanns attraverso il voto al Pd, ma finalizzato chiaramente a questo obiettivo.

Quanto alle liste per le europee messe in campo dal Pd,nel loro complesso erano chiaramente articolate in una parte di simpatie” macroniste”, in una parte che non aveva indirizzi precisi, e in una parte più sensibile all’appartenenza al socialismo europeo.

Tutto questo può fare spazio ad una presenza incisiva della tradizione socialista italiana nel dibattito politico programmatico che inevitabilmente si aprirà.

La proposta di “Socialismo XXI” di una assemblea costituente (una “nuova Epinay”) da realizzare nel 2020 è una proposta che ha dimostrato nella recente conferenza di Rimini di avere coagulato un’importante assemblea di compagni. Essa si deve proporre l’intento di riunire formazioni, politiche, gruppi, associazioni, mettendo fine ad una diaspora che indebolisce tutti attraverso un appello veramente unitario e aperto, che sappia parlare a tutte le militanti e i militanti pur nelle varie esperienze di questi anni ed in particolare alle giovani e ai giovani che vogliono avvicinarsi a noi.

Infine, l’obiettivo 2020 è realistico, ma dobbiamo guardare attentamente alla situazione politica che può costringerci anche a studiare iniziative immediate.

Firenze 1° giugno 2019

 

 

 

 

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