L'ECOPOLITICA Election day del 4 marzo Chissa chi lo sa?
Dovranno darsi una calmata i cultori dei sondaggi, dei test delle intenzioni di voto e, crescendo, degli exit pol, delle prime proiezioni (nei seggi, fuori dai seggi, in prossimità), dell'incrocio tra gli exit ed i “primi dati”.
Cultori che, a dispetto di una campagna elettorale ad ECG piatto, crescono esponenzialmente, per effetto del battage mediatico, con l'approssimarsi di quella fascia oraria incline a tenere gli spettatori incollati davanti all'elettrodomestico ex-catodico.
Tutti incazzati ab ovo nei confronti dell'universo mondo, sostituito ad hoc dalle urne e da quant'altro rimandi ad un qualsiasi rito delle prerogative democratiche, gli italiani o la gran parte di essi. Che fin qui avevano più o meno fondatamente valutato la vacuità della più sgangherata campagna elettorale che si ricordi a memoria d'uomo (lasciando intendere un distacco suscettibile di imprimere una vistosa accelerazione alla disassuefazione irreversibile nei confronti del “diritto-dovere”). Vedrete si rianimeranno indubitabilmente con l'approssimarsi delle canoniche fasce del palinsesto. Che, come la proverbiale carta moschicida, sa orientare l'audience verso tutto ciò che abbia attinenza con the smell of blood.
E per restare aderenti all'inclinazione anglofila, faremo presente, sotto tale aspetto, che già Churchill aveva colto uno degli emergenti profili antropici degli italiani: vanno al derby con lo stesso spirito con cui normalmente si va in guerra ed in guerra con lo spirito scanzonato del derby.
Ci si scandalizza per la l'irresponsabile pochezza della “casta”, si minaccia di disertare le urne, si scommette su un disastroso livello di partecipazione come sanzione al malcostume politico, ma poi, nel prosieguo delle ore prossime alla chiusura delle operazioni ed all'apertura delle urne in cui sono state deposte le schede, crescerà wagnerianamente l'attesa compulsiva di sapere chi ha vinto e chi ha perso (categoria cui nessuno amerà appartenere).
Alle 18 di domenica 4 marzo (per di più assolutamente impermeabili alla contaminazione di tale pulsioni) ci affidiamo al fatalismo di Febo Conti presentatore ed ideatore insieme a Cino Tortorella della seguitissima trasmissione televisiva chissà chi lo sa?
Ad essere sinceri avremmo potuto risparmiarci questo “corsivo”, se, recandoci al seggio per contrassegnare e depositare nell'urna le tre schede, non avessimo tratto (dalla coda degli astanti elettori in attesa e da una certa animazione del contesto) un'impressione che non ci saremmo assolutamente aspettata.
All'ora in cui scriviamo non si dispone, soprattutto localmente, di una rilevazione dei partecipanti che possa attendibilmente azzardare una tendenza.
Con l'occhiometro, però, ci pare di poter avanzare un'ipotesi significativamente diversa delle nostre infauste previsioni.
Tale è almeno la deduzione che, dall'ingresso (le cui condizioni incompatibili con un minimo di decoro per un edificio pubblico documentiamo con un'immagine fai da te) nel complesso scolastico Bissolati fino al seggio, ci ha indotto a ridimensionare gli azzardi degli aruspici di sventure (che tali sarebbero incontrovertibilmente se anche il 4 marzo posasse un suo mattoncino alla tendenza di vanificazione della democrazia rappresentativa).
Ad essere meno cupi nei presagi hanno contribuito sia la composta partecipazione dei votanti sia l'ambientazione dei corridoi e delle aule (il cui inquietante disdoro è alleggerito dalla vena creativa degli scolari).
Messo alle spalle lo step relativo ad una primaria consapevolezza civile, ci siamo, nel percorso inverso che c'avrebbe condotto a casa (durante il quale abbiamo avuto modo di compiacerci per l'efficienza del servizio neve), addentrati nel circuito, insidioso e non partisan, delle valutazioni sull'incidenza di un più alto livello di partecipazione al voto sui destini elettorali del campo, di cui almeno idealmente ci sentiamo parte.
Si era detto: una bassa affluenza al voto penalizzerà ancor di più Renzi!
Quindi, l'accertata inversione di tendenza, almeno in teoria, dovrebbe segnalare una tendenza inversa.
Lo sapremo domani. Mettendo, al contempo, le mani avanti; nella considerazione dell'abitudine degli italiani di non essere esattamente rigorosi con l'incontrovertibilità dei numeri