L’ECOBALLOTTAGGIO (il 10) si parrà la vostra nobilitate
Siamo, da poche ore, entrati nel cosiddetto “silenzio” propagandistico, imposto dalla regolamentazione sia per evitare eccessi dettati da fanatismo sia per consentire al corpo elettorale una necessaria e speriamo feconda pausa di riflessione sul profluvio di sollecitazioni e offert, che hanno contraddistinto un confronto intenso e protratto per effetto dei tempi supplementari del ballottaggio.
Lungo e serrato nel profilo (parsimonioso nei contenuti), e, se non proprio pacato, certamente corretto.
Fatto questo che costituisce un confortante marcatore del tratto civile della Città e, ad un tempo, una premessa edificante per gli scenari successivi alle urne ed alla proclamazione degli eletti. In cui, appunto, gli eletti dovranno dismettere i panni da gladiatori ed indossare la tunica con il laticlavio ed operare, pur nel mantenimento dei diversi punti di vista sui singoli provvedimenti, nell’interesse generale dell’urbe e dei suoi cittadini da cui hanno ricevuto il mandato di rappresentanza.
D’altro lato, siamo autorizzati a coltivare un’aspettativa feconda, deducendo dai titoli di coda dei due contendenti.
Il messaggio finale del candidato sindaco Galimberti è stato un richiamo a Gianrico Carofiglio “L’azione politica efficace è fatta di approssimazioni successive, non di tutto e subito. È fatta di parole di speranza e non di odio. La parola chiave della nostra azione è stata ed è “servizio”
Contrappuntato da uno non meno edificante del competitor Malvezzi “La nostra ragione non è l’odio per l’avversario ma l’amore per la città”
D’altro lato, i quasi due mesi della tenzone non hanno, palpabilmente, dato luogo a temuti disordini, in previsione dei quali si è inutilmente ed enfaticamente attivato il nuovo Prefetto (che avrà modo, se vorrà continuare a stare sul pezzo sicurezza, di trovare ben altre criticità).
Evidentemente, le mamme degli stupidi devono aver tenuto incollati i pargoli al televisore. Ed anche i potenziali “contestatori” del Capitano devono aver stimato l’inutilità (consigliata anche dalla disparità dei testimoni in campo e dalle conseguenze) di un contrasto più ravvicinato e meno gandhiano.
Quindi, tutto bene quel che finisce bene. Anche, se in proposito, non rinunciamo a ribadire il principio del pieno e libero esercizio delle prerogative democratiche da parte di tutti (con l’ovvia riserva per contenuti e modalità in linea con le disposizioni di legge).
Altrettanto, non rinunciamo ad osservare che, nel vasto campo dialettico descritto, si è svolta una partitella, parallela e di non poco conto, tra cattolici. Categoria alla quale, tecnicamente e non solo, apparterrebbero almeno in teoria entrambi i candidati (sindaco), qualche lista che della testimonianza religiosa ha fatto un brand (di identità, di fissazione delle radici e, soprattutto, for the campaign).. Come si faccia a rivendicare le medesime ascendenze-guida religiose, che in materia di certi principi sensibili e non negoziabili non lasciano margini a molta flessibilità, e poi suonarsele di santa ragione e collocarsi sul terreno pratico in posizione diametralmente opposta, resta sempre un piccolo mistero!
Ma restando aderenti a questa partita nella partita, che avrebbe potuto, nel caso avesse riguardato la contrapposizione tra un candidato laico ed uno cattolico, assumere toni più accesi (resterebbe poi da chiedersi la ragione per la quale il cattolicesimo, visibilmente acciaccato e, se non marginalizzato, palpabilmente ridimensionato, nella spiritualità e nell’azione civile, riesca ancora ad ipnotizzare la politica con due cattolici su due in lizza per la conquista del mandato), non possiamo non segnalare che i due competitors si sono acconciati a griffare il loro profilo con il tratto prevalente (accoglienza e sicurezza, come conseguenza della prima) su cui si è incanalata, sostanzialmente, la non negoziabilità tra i due fronti.
Su questo terreno, i cattolici, se proprio non se le sono suonate di santa ragione, hanno in questi giorni dimostrato di collocarsi ((per intimo convincimento? per procura dei senior partners delle coalizioni) in posizione diametralmente opposta.
D’altro lato, andrebbe anche segnalato che la coalizione del centro-destra, di cui il front-man è un sedicente berlusconiano, in quanto in realtà è l’esponente del residuo formigonismo, mentre la vera forza egemone è la Lega, non ha mai rinunciato (forse consapevole dei limiti di un’offerta che si è limitata quasi esclusivamente a riproporre un’indiscriminata bocciatura della gestione Galimberti) a quella formidabile “gallina dalle uova d’oro”. Rappresentata dalla populistica contestazione ad alzo zero del permissivismo nell’accoglienza dei flussi migratori e dei relativi indotti (l’insicurezza ed il disordine e l’impoverimento dei ceti popolari).
Non ci si sarebbe potuto aspettare nulla o poco di diverso, una volta condivisa almeno in parte l’assertività della penultima edizione del settimanale free Il Piccolo (“Galimberti convince a destra!) della carta della rimonta (impossibile, sperano i pasdaran dell’inner circle galimbertiano), anzi del briscolone (se si pensa all’immutato potere di ipnosi, suscettibile di marginalizzare qualsiasi impulso raziocinante e di rendere il verbo “dei porti chiusi” prioritario a tutto) della venuta a Cremona di Salvini.
Se ne azzarda, in questi giorni, l’inversione, deducendone la sicumera (più simile ad un disperato miracolo) dal trend elettorale dei partiti fratelli del PSE del resto d’Europa. I quali, bisognerebbe precisare (per dovere di completezza d’analisi) hanno da tempo avviato una rimodulazione della loro offerta politica. Alla base, come scrive oggi Paolo Mieli sul Corriere, “della riconquistata competitività elettorale che va individuata nella correlazione tra il rilancio del welfare ed una politica legalitaria. Di sicurezza interna tout court ed, in particolare, nei confronti degli accolti.”
Anni luce separano le testimonianze dei partiti socialisti fratelli del Nord Europa e della sponda mediterranea dal PD e da una sinistra lato sensu che non ha rinunciato, nonostante le evidenze fattuali ed i disastri nei consensi, a definire fascisti e razzisti coloro che non si sono acconciati a fare fideisticamente propri dogmi della cathedra ed i laici (non meno dogmatici) di una sinistra internazionalista e terzomondista.
D’altro lato, lo stesso leader post-renziano perpetua, forse nell’illusione di riannodare le fila con la diaspora scissionista, il sostanziale ostracismo e l’isolamento decretato nei confronti dell’operato del (da loro non rimpianto) Minniti, ispirato dal realismo e da linee operative non meno umanitarie della testimonianza del “dentro tutti” e soprattutto più efficaci delle smargiassate del Capitano.
La sinistra “riformista” dem forse ne è consapevole ma è incapace di recidere gli ormeggi con la zavorra di un aggregato ideologico d’antant e suicida.
Il fatto che in questa campagna elettorale abbia messo la sordina ad una testimonianza che, anche in tempi recenti, aveva costituito la griffe dell’ultima versione dell’incontro tra cattolici e comunisti in salsa cremonese può segnalare una resipiscenza, frutto di realismo ovvero di un resipiscente tatticismo imposto dalla scelta di giocare lo scontro con l’avversario su un tavolo meno insidioso.
Potrebbe anche voler dire che la sala regia del vasto fronte di sostegno per un secondo mandato del Sindaco uscente possa aver stimato conveniente allentare il collateralismo con le sue radici spirituali (esclusivamente personali e soggettive ed, in quanto tali, non possono inficiare una visione laica dell’azione civile). Non casualmente ai lati opposti della medesima Platea Major insistono due edifici simbolo.
La cosa, se non proprio in termini di approdo al centro-destra (col candidato espressione del movimento che continua ad essere identificato nella figura di Formigoni e di Inzoli) poco credibile come alternativa di laicità, potrebbe determinare ripercussioni in termini di disaffezione e di astensionismo.
In controtendenza, per ragioni di verità, con recenti gesti non esattamente scontati e/o prevedibili nel trend assertivo di Galimberti. Che prima non è accodato alla forzatura dell’omologazione della certificazione anagrafica della fattispecie della step adoption child e, successivamente, della campagna di disobbedienza dal basso istituzionale alla normativa del decreto sicurezza (in ciò dimostrando un apprezzabile ancoraggio, al di là del ripudio di certi contenuti, ai doveri istituzionali).
Si tratterà, nelle valutazioni di una conduzione politica, incoerente con il principio di pluralità del campo della sinistra riformista, oltre che disattenta nei confronti di sensibilità considerate minoritarie ed elettoralmente risibili, di pesare in generale le conseguenze di una sine cura nell’economia delle relazioni interne e delle attenzioni verso le sensibilità potenzialmente sinergiche.
Ci piacerebbe poter attingere dal campo di nostro (teorico) riferimento. Ma non ne abbiamo trovato riscontro. Ci adattiamo a traslare qui dal campo opposto che postula “la prassi di una coalizione che si confronta, dibatte e decide la linea politica tra le sue diverse anime e poi ne dà concretezza attraverso I provvedimenti amministrativi”.
Poiché, nel maggioritario contano anche le briciole, sapremo valutare tra 48 ore quale ruolo potrà avere, nell’attrazione delle sensibilità laiche e riformiste, una priorità giocata su altro fronte.
D’altro lato, sarebbe questa materia in capo alla giurisdizione dei partiti e movimenti politici. In primis, il PD che, oltretutto sulla base della centralità dell’apporto elettorale (confermato anche nella recente tornata), deve cominciare a giocare tale centralità sul terreno squisitamente politico. In proprio, per accreditarsi come perno di quell’area potenzialmente destinata a tornare maggioritaria (che, per diventare tale, deve contribuire a determinare nella prassi il principio di pluralità e condivisione). Ed, in secundis, per le culture politiche minori (di consenso, ma non di meno legittimate a sentirsi parte).
Si sarebbe potuto fare; già a partire dalla valutazione (se necessario parzialmente critica) dell’operato del quinquennio.
Ma, vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare, il pur vasto aggregato del centro-sinistra (che, soprattutto con la promozione di apprezzate liste civiche d’appoggio, ha dimostrato lungimiranza e perizia), non ha dimostrato fino in fondo di voler dialogare con tutte le espressioni potenzialmente di riferimento. Il cui contributo avrebbe potuto incidere, magari anche marginalmente, nella messa a punto di un progetto, che, per molti versi, ripropone acriticamente l’interezza delle linee-guida di cinque anni fa. Anche di aspetti verso cui anche un minimo sindacale di valutazione critica ed autocritica incanalerebbe verso qualche rettifica.
Che il “pacchetto” non possa o non debba essere né offerto né accettato a scatola chiusa sarebbe suggerito dall’utilità di leggere, più che il dato globale sicuramente positivo ed incoraggiante, le performances da consenso scorporato.
Vorrà sicuramente dire qualcosa la falcidia dei consensi personali di alcuni assessori di punta della Giunta, di cui, in questi cinque anni, hanno rappresentato il lato front man rispetto a questioni quantomeno controverse.
Per concludere, si sarà facilmente compreso che il minimo comune multiplo delle ragioni per cui voteremo è quasi esclusivamente condensato nell’avversione all’impegno della destra per una rettifica toponomastica della Galleria XXV Aprile (cambiata nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione dall’originaria Galleria XXIII Marzo).
Ovviamente, anche per una valutazione dell’inopportunità di una discontinuità gestionale, che, con le non poche falle, appare maggiormente rispondente alle valutazioni delle sensibilità di cui la nostra testata si fa voce.
Ma su questo non vorremmo essere fraintesi. Quando parliamo di controindicazione di un, tanto per essere chiari, ribaltone, ci riferiamo ai pericoli di un’inversione delle linee ispiratrici e delle metodiche operative in capo ad un’alleanza, che, per dimostrare la discontinuità, la praticherebbe fino in fondo.
Succedette così anche nel 1990 con la “mala giunta DC-PCI”, che, per rendere palpabile la diversità di mano, tra la demonizzata gestione socialista e l’offerta riparatrice della nuova stagione buttò, con grave danno per la città (tra cui il Palazzetto, ritornato in auge!) i proverbiali bambino e l’acqua purificatrice.
Quando, però, postuliamo la continuità gestionale non intendiamo assolutamente riferirci all’inamovibilità della “squadra” uscente.
Al di là della stima personale verso tutti e ciascuno, pensiamo sia possibile (oltre che doveroso) sollevare alcuni problemi di opportunità nella riproposizione sic et simpliciter (di cui a Cremona parlano solo tre categorie: donne, uomini e bambini).
Se, da un lato, condividiamo appieno, la dichiarazione di principio di Maura Ruggeri (“i ruoli nella nuova giunta non si decidono prima come risultato di un accordo di spartizione delle poltrone”), ci lascia molto perplessi il nesso consequenziale (“sono frutto di una libera scelta del sindaco”).
È stato così cinque anni fa. Forse, è ancora così negli intendimenti, inconsiderati rispetto alla percezione di scenari in mutamento, del dominus di questa prerogativa e dei candidati interessati a trarne diretto vantaggio.
Capiamo l’umana inclinazione del leader di avere squadra coesa e di premiare le fedeltà. Ma non a costo di confermare posizioni manifestamente sfiduciate dal corpo elettorale e di tenere in non cale il significato sia di alcuni abbandoni (di consiglieri del PD) sia di nuove testimonianze, suscettibili di arricchire il centro-sinistra e di fornire un apporto di qualificazione e di rinnovamento dell’azione istituzionale. Per di più, non a costo di far percepire agli appartenenti al campo dell’alleanza un ruolo più che di marginalità, di assoluta inesistenza (salvo venir buoni come carne da battaglia).
Ci fermiamo qui, perché non siamo interessati a dire altro, che uscirebbe totalmente dalla nostra giurisdizione di osservatori.
D’altro lato, l’argomento, posto ora, sarebbe tardivo rispetto ad un’analisi sull’inclusività del campo e prematuro perché il futuro è in grembo a Giove.
Dopo il 9 si parrà un’inderogabile esigenza di accertamento di virtute et nobilitate.