L’Eco del Popolo fornisce qui una breve cronaca, corredata da alcune riflessioni di ordine generale sul senso e sul valore di una ricorrenza, di una giornata che, se si considerano gli attuali contesti gravidi di stordimenti e di incognite, dire festosa sarebbe forse eccessivo. Ma che, tutto sommato, si è contraddistinta, almeno qui nel nostro territorio, per un profilo di compostezza, serenità e, se si fa eccezione delle ormai fisiologiche slabbrature delle venature radicali, di condivisione.
Non così sono restati pienamente i 364 giorni che ci dividono dal 25 aprile del 71° e che, per quanto si riferisce espressamente alla testimonianza (permanente e non semel in anno per la ricorrenza) dei valori tramandati dalla Resistenza e dalla Liberazione, hanno fornito più di un elemento critico.
Anche se sarebbe preferibile limitarsi a commentare la celebrazione all’insegna di una coesa e vasta partecipazione di popolo. Che ha avuto come griffe l’intramontabile patrocinio, silenzioso ma palpabile, di un quasi centoquatrenne, eccezionale partigiano, il prof. Mario Coppetti, che il giorno prima aveva reso una lucida e significativa intervista al giornalista Simone Bacchetta di Cremona 1. E che si è armoniosamente snodata, sotto la regia del responsabile del cerimoniale di palazzo comunale Manfredini, lungo la lettura, da parte dell’attore Jim Maglia, delle parole e degli scritti di Sandro Pertini e di Emilio Zanoni, del contributo dei due studenti cremonesi in rappresentanza delle centinaia dei partecipanti dei due viaggi-pellegrinaggio ad Auschwitz e a Muathausen, degli interventi rimarchevoli del Presidente della Provincia Davide Viola, del Presidente dell’Associazione dei Partigiani Cristiani sen. Angelo Rescaglio e del Sindaco di Cremona Gianluca Galimberti. Ma, verremmo meno ad un dovere di testimonianza obiettiva e completa se non ci facessimo carico di affrontare anche qualche criticità.
La vigilia della Festa della Liberazione, che, secondo la vulgata, “dovrebbe unire tutti gli italiani”, in realtà, anche in questo 72° anniversario, certifica residue esclusività nelle sue valenze. Bisognerebbe aggiungere e precisare, auto esclusività derivanti da una significativa aliquota di opinioni, consolidata in forma associata o rappresentata nella forma individualizzata, che non si ritrovano nell’identificazione del significato e del valore del 25 aprile come scaturigine degli scenari successivi, produttori di pace, di democrazia, di progresso e di benessere diffusi.
È difficile, quando non impossibile influire sulla forma mentis delle categorie tanto ben definite dall’aforisma di James Russell Lowell e refrattarie alla presa d’atto delle evidenze ed al conseguente cambiamento di opinione.
Ma, indubbiamente, quel che vieppiù intollerabile è una refrattarietà che si esprime con modalità violatrici della legge.
Ci riferiamo, si sarà capito, alla contro-celebrazione della Liberazione che ogni anno si svolge al civico cimitero e che è tutto tranne che una testimonianza di pietà.
Ci sono ancora campioni della maschia gioventù littoria che esprimono fedeltà ai fasti ed alle opere, si fa ovviamente per dire, di uno dei cicli più drammatici della Patria?
Pazienza, si accomodino! Quel che non si può (non si sarebbe potuto!) consentire è che ciò avvenga in violazione del (non ancora revocato) divieto di apologia.
Con un colpo al cerchio ed uno alla botte (divieti preventivi simili alle gride manzoniane seguiti da inerzie sanzionatorie) forse ci si mette a posto la coscienza.
Ma allora converrebbe per decenza lasciar fare. L’Italia è diventata ormai un Paese ingestibile dal punto di vista dall’efficacia del perseguimento delle violazioni; da quelle bagatellari (la legge Scelba non lo è certamente, anche se certi comportamenti omissivi lo lascerebbero intendere) a quelle più gravi e lesive delle basi fondanti dell’ordinamento. O converrebbe, nel momento in cui si postula un comportamento di fermezza dai tutori dell’ordine pubblico, garantire, come è stato fatto ieri al campo X del cimitero milanese del Musocco, un contrasto non violento della pretesa di violare la legge, in un luogo ed in circostanze significativi.
Registriamo, senza nessuna sicumera, che le celebrazioni del 2017 si presentino, dal lamentato profilo, sotto premesse diverse.
Sembra, infatti, correggersi qual sostanziale laissez faire, appena mitigato da facce feroci di circostanza e di convenienza, che ha permesso per decenni ai “nostalgici” di dilagare nel civico cimitero. Con un accompagnamento spirituale più simile ad una complicità, che forniva alibi alla rivendicazione del ricordo pietoso. Pare che, da tale punto di vista, il turn over nel vertice vescovile abbia prodotto la chiusura di imbarazzanti rubinetti di compiaciuti alibi. E che gli organi di polizia non siano più disposti a chiudere un occhio.
Vedremo tra qualche giorno.
Ma c’è un altro motivo di angustia che amareggia e preoccupa. E che riguarda della testimonianza antifascista al suo interno.
Diciamolo pure: la politica italiana ha attraversato momenti di profonda tensione e contrapposizione; che si sono riflessi anche nella coesione dell’associazionismo partigiano. E che proiettano ancora la loro ombra anche su questa celebrazione del 72° della Liberazione; soprattutto, se resta in campo la tendenza a porre sotto l’ombrello della ricorrenza (finendo per caricarla di significati e gravami impropri dalle conseguenze divisive) istanze, legittime ma non coerenti stricto sensu. D’altro lato, questo impulso “ad allargarsi” non è nuovo nella cultura e nelle dinamiche celebrative. Lo si faceva col Vietnam, contro tutti i presidenti americani, l’imperialismo (sottintendendo, ovviamente, l’apprezzamento apologetico dell’opposto campo comunista), i governi di centro-sinistra, i “padroni” e quant’altro fosse finalizzabile ad un indotto propagandistico del contrasto politico, legittimo ma, si ripete, inappropriato per la circostanza.
Nei contesti attuali, questa verve si è rimaterializzata contro Renzi, la sua riforma istituzionale, i “muri” eretti contro l’integrazione dei flussi migratori, la ristrutturazione della compagnia di bandiera (in cui un’aristocrazia di dipendenti pretende di porre a carico degli italiani stipendi privilegiati da 300.000 euro).
Saranno pure istanze più o meno giustificate o condivise. Ma abbiamo il dovere di avvertire che attaccarle al conto del 25 aprile produce come minimo disaffezione popolare nei confronti di una festa che produce disintegrazioni speculari alle contrapposizioni politiche dilaganti.
Si comprende facilmente: ci riferiamo all’inconsiderata e divisiva determinazione dell’ANPI romana di escludere, con l’immotivato invito alla delegazione palestinese, la rappresentanza della Brigata partigiana ebraica.
Che non ha altre spiegazioni se non quella palese di strumentalizzare la testimonianza antifascista a beceri fini di parte.
L’ANPI milanese si è collocata in una posizione contrapposta. La Brigata ebraica è stata invitata e protetta.
Ci sia consentita una chiosa preoccupata sulle conseguenze del processo che sta alterando, sia pure a macchia di leopardo, la fisonomia e l’autorevolezza dell’associazionismo partigiano. Facciamo nostre le riflessioni di Aldo Cazzullo sul Corriere di oggi: “Non è vero che l’ANPI sia inutile. Anzi, può e deve custodire la memoria della Resistenza e trasmetterla alle nuove generazioni. Ma non può e non deve mettere quella memoria a servizio di cause anche legittime, magari anche giuste, che con la Resistenza non c’entrano nulla, e dividere anziché unire.”
E ci sia consentita una chiusa ispirata dalla consapevolezza del nostro operare e dall’ottimismo di una volontà feconda.
Nelle prossime settimane si incamminerà concretamente l’iniziativa editoriale relativa alla stampa ed alla divulgazione de IL MOVIMENTO CREMONESE DI LIBERAZIONE NEL SECONDO RISORGIMENTO - SAGGIO STORICO - DAL PRIMO AL SECONDO RISORGIMENTO NAZIONALE. Che Emilio Zanoni presentò al Concorso indetto dalla Provincia in occasione del 10° della Liberazione.
Abbiamo trovato uno sponsor ed il patrocinio del Comune di Cremona. Altresì, abbiamo acquisito la consulenza storica del Prof. Angelo Rescaglio, del Prof. Giancarlo Corada, del Prof. Mario Coppetti e di Giuseppe Azzoni. Riteniamo sia questo, per quanto impegnativo, un modo per contribuire alla divulgazione della storia. Soprattutto, tra le nuove generazioni e nell’ambiente formativo.