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Commiati e ricordi: Francesco Rossi e Franco Gerevini

Compulsando le ingiallite e fragili pagine di quel che resta della versione cartacea della nostra storica testata ed ancor più riandando a memoria al format del ciclo aureo della direzione zanoniana, ci siamo fatto consapevoli di quanta importanza avesse nella comunicazione alla militanza socialista la preservazione e la trasmissione del ricordo degli scomparsi

  15/10/2016

A cura della Redazione

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Certi come siamo restati che la rivisitazione della testimonianza degli scomparsi costituisca ancora opportunità di indicazione di modelli virtuosi di civismo.

Come sarà agevole constatare, abbiamo scelto, pur nella consapevolezza delle difformità imposta dalla versione telematica e dalla rarefazione del bacino di riferimento, di mantenerci fedeli alla tradizione.

Delineiamo qui il profilo di due socialisti recentemente scomparsi.

FRANESCO ROSSI

Esordisce, come segnala la rubrica “vita sindacale” dell'edizione de L'Eco del Popolo 5/1964, nella struttura operativa del Sindacato all'inizio degli anni Sessanta. Nella vita politica e sociale era entrato da tempo nella sua Soncino, da cui proveniva. Nel 1964, periodo di snodo di tante scelte di vita occasionate, per i socialisti, dall'esigenza di mantenere le posizioni sguarnite dall'ennesima sciagurata scissione del gennaio, l'organo direttivo della Camera Territoriale del Lavoro lo chiama a far parte della Segreteria della Camera del Lavoro di Crema. Una sede importante, se si pensa allo spessore del bacino industriale, diretta per molti anni da Francesco Taverna con la collaborazione di giovani dirigenti socialisti, tra cui, pochi anni prima, Giacomo Carnesella.

Rossi, allora ventisettenne, aveva interrotto gli studi ed affrontato il lavoro a Milano. In breve tempo si fece coinvolgere nell'impegno sindacale fino ad essere eletto nella Commissione Interna dell'importante fabbrica chimica.

Quel battesimo di fuoco sarebbe stata la premessa per il passaggio all'impegno sindacale esclusivo a tempo pieno.

Come fosse una sorta di dichiarazione d'intenti il neo-dirigente sindacale coglie, qualche giorno dopo l'approdo all'intensa attività che lo attendeva, l'occasione della vigilia della festa del lavoro, cui la testata socialista dedica grande rilievo pubblicando la testimonianza di quasi tutti gli attivisti socialisti impegnati nelle fabbriche e nel Sindacato.

Rossi inquadra così la celebrazione del lavoro: “nella ricorrenza dell'annuale festa del lavoro, mi si permetta un'analisi (per quanto è nelle mie possibilità) della situazione in campo sindacale soprattutto nel settore di mia competenza, l'edilizia. L'estate del 1963 è stata per i lavoratori la stagione di decisive battaglie contrattuali, battaglie conclusesi vittoriosamente con la conquista di contratti più confacenti alle giuste esigenze dei lavoratori in una società che si voglia chiamare civile”

Alla fine degli anni sessanta, la corrente socialista lo chiama a sostituire Piero Cabrini alla vicesegretaria della Camera del Lavoro di Cremona.

Per ricordo personale di chi scrive, l'appena nominato numero due della Segreteria Camerale, allora retta da Renzo Antoniazzi, si imbatte, come coordinatore del sindacato dei Lavoratori Chimici, nella vertenza della Pirelli di Pizzighettone.

Il suo percorso nella struttura sindacale non sarà mai monotono. Praticamente non si tirerà mai indietro ad una sorta di eclettismo categoriale, che lo porterà a dirigere numerose ed importanti categorie.

Parallelamente non verrà mai meno l'impegno nella militanza socialista.

Avrebbe condotto fino alla quiescenza una dedizione capace di assorbire quasi un'intera esistenza.

Rossi, tuttavia, coltivò profondi interessi culturali, tra cui la lettura e l'amore per i libri. Non era difficile incontrarlo nelle librerie, in particolare al Tarlo di cui fu per molto tempo sostenitore, alle conferenze, ai mercatini che costituivano occasione per incrementare la sua personale biblioteca. Tale interesse contribuì ad affinare un profilo di sottile ironia, che lo elevava dalla zavorra della routine quotidiana e del vicolo cieco delle contrapposizioni.

Per anni, nonostante fosse pensionato, si recò quasi quotidianamente alla Camera del Lavoro, dove incontrava i vecchi compagni e si aggiornava sugli sviluppi della vita sindacale.

FRANCO GEREVINI

Meno di un mese fa ci ha lasciato, come se, con l'abituale discrezione, si sia lasciato scivolare via dal suo mondo rappresentato da un'intensa attività professionale e dalle profonde relazioni intessute nella comunità piadenese di cui ha fatto parte fin dalla nascita. Una grave malattia, affrontata con coraggiosa consapevolezza e con determinazione, non gli ha dato scampo e lo ha definitivamente sottratto alla moglie Gabriella, ai figli Roberto ed Elena ed ai collaboratori della sua apprezzata azienda tipografica.

Un'azienda famigliare giunta alla terza generazione, che grazie alla capacità di innovarsi e di fronteggiare una clientela qualificata e ben più estesa territorialmente della zona in cui operava, ha raggiunto mete elevate.

Per oltre vent'anni, dopo aver raccolto il testimone dalla precedente storica Nuova Bodoniana, la “Tipolitografia Gerevini di Piadena”  sarebbe stata, fino all'esaurimento del ciclo esistenziale del P.S.I., la bocca di fuoco, efficiente, puntuale, tecnicamente avanzata, della comunicazione cartacea della Federazione Socialista.

Scrivere di quella filiera ci fa arrischiare, considerando come è cambiato il mondo della comunicazione e della stampa, un riscontro di incredulità.

Gli articoli venivano perlopiù consegnati scritti a mano alla Federazione, dove venivano dattiloscritti.

Da lì (o dal compositore Orchidea di Piazza Castello) venivano prelevati nel tardo pomeriggio da Franco; con cui si discuteva l'impaginazione e, qualche giorno dopo, si visionava il menabò.

Da lui venivano sempre, a noi giovani già esperti ma anche un po' ardimentosi, indicazioni tecniche ineccepibili e buoni consigli. Perché, occorre precisarlo, Franco era, oltre che un compagno equilibrato, anche una persona colta ed informata.

Ci convinceva sempre. Tranne in una circostanza, in cui il combinato tra fretta ed ardimento arrischiò di farci fare una “pestata”. Alla quale ponemmo rimedio mandando al macero quarantamila copie già stampate di un'edizione elettorale; prontamente ristampata e diffusa.

Tutte le committenze erano, in un'epoca di grande fervore politico ed organizzativo coincisa con la rappresentanza parlamentare di Martelli, “urgenti!”.

Franco raccoglieva articoli ed impaginazione sommaria e, ironizzando, chiedeva “ti va bene per domani mattina?”.

Potevi sempre scommettere sulla qualità e sulla puntualità del lavoro, in cui non era estranea una certa componente di camaraderie, e su una certa benevolenza nell'accettazione dei tempi di pagamento.

Rievocavamo, nelle rare occasioni di incontro che il ciclo successivo ci avrebbe concesso, quella stagione di intenso impegno e di comune condivisione ideale.

Ci siamo affidati alla sua arte grafica poco più di un anno fa; quando avvertimmo l'impulso a raccogliere in un tomo tutte le edizioni de L'Eco del Popolo uscite sotto la direzione di chi scrive.

L'intento era di non disperdere una testimonianza e di renderla consultabile.

In circostanze ordinarie si sarebbe trattato di un normale lavoro di legatoria. Ma, per le premesse qui illustrate, Franco Gerevini ne fece occasione di lavoro accurato quasi si trattasse di una sorta di testamento ideale e professionale.

Lo salutiamo, anche a nome dei socialisti cremonesi che lo hanno stimato ed apprezzato, e siamo vicini alla sua famiglia ed ai suoi collaboratori.

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