All'insegna del motto (riveduto e corretto) marciare separati (talvolta! Perché, di tanto in tanto, si sono presentati nella stessa piazza Casa Pound e l'ANPI) ma colpire uniti.
Non sappiamo stimare quanto fieno porterà in cascina un'agenda di manifestazioni mirabolanti per intensità e ripetitività (per quanto partecipate da sparute testimonianze dell'esile associazionismo politico).
Ciò che doveva essere un civile ed edificante confronto su un passaggio importante ma (per come è stato fatto scivolare sul terreno delle catastrofi imminenti e del ritorno agli anni bui) non esattamente straordinario, è, a ritmi forzati, approdato ad una sorta di cupio dissolvi. Brandito dalla solita e composita compagnia di giro dei contrarians come un randello ammonitore sull'effetto domino di una riforma. La cui effettiva ed apprezzabile portata è rappresentata prevalentemente (almeno per chi scrive, va sans dire) dalla manifestazione della consapevolezza di invertire il senso della paralisi che da troppo tempo blocca il sistema-paese.
Un forte senso di inutilità (quando non di controproducenza) e di impotenza ad influire sul confronto ha pervaso (e non da adesso) l'impulso ad essere parte edificante del confronto. Che, dopo un semestre sembra aver stancato molti se non quasi tutti (ovviamente ad eccezione di coloro che, “tenendo famiglia” od essendo parte più o meno influente di “ditte”, si applicano pervicacemente ad una testimonianza dagli sbocchi non fecondi)
Apparteniamo al bacino di milioni di senza tetto politico (anche se ovviamente non ci distacchiamo di un millimetro dalle nostre linee-guida ideali).
Dopo una lunga ed impegnativa appartenenza alla politica non ci siamo fatti irreggimentare; ma neanche fatti lusingare da prospettive ludiche (che pure l'età anagrafica suggerirebbe).
Riteniamo gli scenari attuali una cosa maledettamente seria. Come maledettamente seria consideriamo l'inadeguatezza della politica ad affrontare adeguatamente le conseguenze degli avvenuti cambiamenti, consolidati da tempo e/o in corso.
Tale inadeguatezza è conseguenza prevalente di uno degli effetti collaterali del crollo le ideologie. Con loro sono sparite anche le idee. E con esse, tramite un pensiero sempre più liquido ed un associazionismo sempre più leggero, si è rarefatta l'intelaiatura su cui ha retto per un secolo (con ovvie alterne vicende) l'ingresso delle masse nel sistema liberal-democratico
Siamo senza classe dirigente, perché la politica non è più in grado di produrre personalità dotate di capacità adeguata oppure si limita a proporre figure di rapporto diretto con la realtà.
Siamo senza politica, perché siamo ormai senza partiti, intesi come istanza di espressioni ideali e rappresentanza del sentire popolare.
Tutto ciò in un contesto caratterizzato da un perverso combinato di populismo e nazionalismo; che arrischia seriamente di mandare in frantumi l'architrave su cui si è fin qui retto l'equilibrio, ispirato da tolleranza e da senso di condivisione, e che indirizza quanto resta dell'esercizio del primo dei diritti civili (il voto) non nel senso di a favore o contro una proposta, un progetto, una scelta di cittadini officiati (con l'elezione) a pubblici uffici. Bensì contro tutto ciò che si identifica con i gesti dei casseurs.
Fino a poco fa, almeno, pur essendo sottinteso, era implicito oggi è manifestamente proclamato: in culo all'establishment! Ritenuto (per alcuni versi, non completamente a torto) responsabile di tutti i guai planetari.
La crisi della democrazia rappresentativa e l'ecclissi sociale spingono la percezione dei più a conferire alle leggi un effetto superiore alle proprie possibilità.
La maggioranza degli elettori, ormai planetariamente, chiede soprattutto il cambiamento ed è stanca della rissosità e dell'inconcludenza di una politica rivelatasi incapace di fronteggiare la domanda di sicurezza e gli effetti di un'arrestabile disoccupazione e depauperamento.
Come anticipato siamo di fronte ad una cospicua assenza di progettualità politica. È la politica che dà stabilità al sistema. Bisogna riformare la democrazia. Intervenendo sui meccanismi dell'associazionismo e della testimonianza popolare e su quelli che costituiscono l'intelaiatura del funzionamento della vita pubblica.
La Legge Renzi-Boschi rappresenta tutt'altro che un testo sacro, privo di mende. Ma pone le persone di buon senso, orientate in senso riformista, di fronte ad un'opzione difficilmente aggirabile. Che è quella dettata dalla constatazione che da oltre trent'anni la politica armeggia inutilmente attorno alla riforma costituzionale senza venirne a capo; se non, come nel caso della riforma del Titolo V, addirittura peggiorando la preesistenza.
Tale è stato (ed è) l'incipit delle riflessioni con cui abbiamo accompagnato l'analisi della scaturigine e degli sviluppi legislativi del progetto che, secondo chi scrive, si fa prevalentemente carico di ovviare ai grossi guai ed all'impasse del sistema politico-istituzionale.
Ruzzola sempre più frequentemente nel, si fa per dire, “confronto” l'accusa, lanciata dalla “sinistra del PD” e rivolta alla maggioranza, di rinnegare. Rinnegare cosa? Come se le precedenti gestioni avessero consegnato all'attuale un patrimonio di progetti riformatori! Mentre è all'evidenza anche dei sassi che “la Quercia”, “L'ulivo”, “la Margherita” e quant'altri immaginifici sigle e simboli della “transizione” non solo non hanno lasciato tracce concrete degli ambiziosi programmi di trasformazione, ma, addirittura, hanno fortemente peggiorato le preesistenze.
Il collante del Fronte del quanto meno composito del NO, è rappresentato dalla condivisione delle pulsioni conservatrici. Che albergano in tutti i segmenti politici del variegato panorama e che rappresentano l'imperativo a difendere lo status quo di chi è contrario ad ogni cambiamento.
Non è nostro intendimento orientare questa testimonianza oltre quanto essa effettivamente vuole essere: una riflessione ed una registrazione degli sviluppi della campagna referendaria.
Tra questi sviluppi cominciamo col dare conto della manifestazione dei sostenitori del SI, che, in uno scenario manifestamente affollato di partecipanti, hanno compostamente avanzato le loro ragioni. Per il SI, che chiedono il 4 dicembre, e non contro qualcuno.
Ne è stato prova tangibile il contributo fuori programma del professor Mario Coppetti, che riportiamo, data la brevità, per esteso.
“Signora Ministro, autorità, cittadini, mi voglia scusare, ma non è per mancanza di rispetto se ho chiesto di poter brevemente parlare e poi assentarmi. Ma ai 103 anni compiuti ieri si sono aggiunti altri problemi. Premesso che non sono mai stato iscritto al Suo Partito, che ho spesso avversato come presidente onorario dell'ANPI, di cui sono stato per vent'anni Vice-presidente e Presidente, affermo che mi preoccupa molto questo clima di confronto esasperato, perché le accuse che si scambiano i due fronti arrischiano di rovinare a fondo il nostro collante democratico. Come dimostrano le esasperate manifestazioni contro il capo del Governo che hanno visto schierati nella stessa piazza antagonista Casa Pound e l'ANPI.
Con sincerità Le dico che vari punti della vostra riforma non mi soddisfano. Ma oggi non si tratta di discutere dei particolari. Si tratta di scegliere se vogliamo cambiare ovvero se non vogliamo cambiare nulla. Per essere breve dirò che condivido la posizione del professor Cacciari, già Sindaco di Venezia. Il quale ha affermato: “Voterò SI per spirito di solidarietà verso il sistema liberaldemocratico in quanto si può essere critici e ad un tempo sentire la coscienza repubblicana”.
Io voterò SI perché questa riforma propone per vie traverse alcuni cambiamenti che da quarant'anni noi volevamo.
Noi non siamo riusciti a concludere nulla dal punto di vista della modernizzazione del sistema; mentre chi ha concorso a questo fallimento in questo lungo lasso di tempo ha ancora il coraggio di attaccarci.
È del tutto evidente che i sostenitori del NO sono mossi dal solo obiettivo di far cadere il governo Renzi; dimostrando, in un contesto internazionale così pieno di criticità, totale irresponsabilità civile. Questo è, infatti, un momento in cui, più di altri, dovremmo sentirci tutti cittadini dello stesso Paese.
Ai pochi Partigiani viventi non mi sento, pur dichiarandomi a favore del SI, di dare nessun consiglio. Ma agli iscritti all'ANPI dico una cosa sola: non sarò mai insieme alla Meloni a fascisti di Casa Pound.
Ai giovani dico: non abbiate paura del cambiamento e votate SI.”
La ministra Boschi ha osservato all'inizio dell'apprezzato contributo: “Dopo l'intervento di Mario Coppetti, non ci sarebbe molto altro da dire”.
In una persona così attempata, ma così lucida ed autorevole, non possono far difetto né la saggezza né il disinteresse per eventuali “ritorni”.
Ma tant'è. Difficile cucire addosso ad una personalità così coerente l'applicazione del guilty pleasure.
Neanche possono funzionare su Coppetti la denigrazione sistematica e la delegittimazione. Ed allora prima e dopo l'intervento in Sala Borsa, in presenza della ministra Boschi, il coro dei delegittimatori ha provato, con più o meno attendibili sofismi, ad insinuare l'idea del rinnegamento, da parte del partigiano matteottino e socialista, delle origini.
Non ce ne sarebbe motivo, data la manifesta inattendibilità, ma proviamo qui, con molta pacatezza a considerare alcuni aspetti.
L'affermazione di Coppetti circa la sopravvivenza di soli tre partigiani, aventi titolo a così qualificarsi, è stata definita azzardata (anche se con toni educati, data l'autorevolezza del personaggio) dal solito coro conservatore. Coppetti è sicuramente un antifascista e partigiano senza macchia, come dimostra la sua testimonianza. Non confronti della quale, differentemente da altri percorsi contrassegnati da stati di necessità (dovevano vivere e lavorare e tenevano famiglia), giustificati dalla successiva benevolenza dei vincitori al cui campo erano approdati, non è rilevabile la minima menda o discontinuità di coerenza.
Il “maestro” ha voluto, pacatamente ma risolutamente, avvertire che, per quanto meritevoli di riconoscimento del valore ideale e morale della loro scelta, i purtroppo pochi partigiani sopravvissuti hanno un dovere di testimonianza e di memoria. Ma non hanno alcun titolo per dispensare ammonimenti e per impartire ineludibili prescrizioni al corpo elettorale. Su tale terreno ancor minori prerogative sono in capo ai pur apprezzabili dirigenti ed iscritti alle Associazioni Partigiane. Che, investiti per libera ed apprezzabile scelta associativa impegnata nella divulgazione storica e nella testimonianza civile degli ideali antifascisti, non sono, per ragioni di anagrafe e di effettiva partecipazione alla Resistenza ed alla Liberazione, depositari né del titolo di rappresentanza né dell'autorità per stabilire da che parte deve stare l'antifascismo rispetto ad una sia pur importante modifica della Costituzione.
Coppetti l'aveva detto e ribadito più volte, a partire dall'inizio delle polemiche sfociate un anno fa in occasione della scelta di campo operata dalla Presidenza nazionale. ancora in costanza del percorso legislativo della riforma e dell'ultimo Congresso che, impegnando l'A.N.P.I alla testa del Comitato Nazionale per il NO e pur consentendo in deroga agli iscritti di comportarsi liberamente nell'urna, poneva come condizione per la permanenza nell'Associazione l'adesione all'opposta testimonianza a favore del SI.
La stessa A.N.P.I, che, a livello nazionale e locale aveva fatto a sportellate, per rivendicare ed ottenere un paritario diritto di tribuna nelle feste dell'Unità e nella campagna referendaria del PD, è recentemente arrivata a comminare l'espulsione addirittura di una senatrice rea di aver partecipato alla campagna referendaria, in difformità del deliberato congressuale. Assunto sì a larga maggioranza (sia pure rispetto ad una materia molto laterale rispetto ai compiti di istituto), ma da un assetto associativo, manifestamente connotato dalla conclusione di una campagna tesa al controllo, per evidenti finalità strumentali, da parte dei settori radicali della sinistra.
Tutto ciò non può non evocare una sinergia da tempi della vecchia cinghia di trasmissione. Quando, c'era bisogno, l'ANPI, come tutti gli altri “organismi di massa”collaterali, doveva essere pronta a scendere in campo per amplificare “le campagne” (del partito egemone delal sinistra). Se necessario, alzando i toni. Allo scopo di delegittimare gli avversari o i titubanti, c'era sempre pronto il ricorso all'interdetto dal campo antifascista. Votare SÌ alla riforma della Costituzione, su cui pende l'accusa di una manomissione in senso antidemocratico, collocherebbe automaticamente gli antifascisti nella parte della lavagna, su cui sono iscritti i nemici della democrazia e della Resistenza.
Si sa che ciò non è assolutamente vero. Come si sa perfettamente che l'ANPI, per quanto in passato associazione costituita da resistenti e partigiani che avevano effettivamente testimoniato l'antifascismo e partecipato alla Liberazione, non aveva neanche allora titolo per sindacare ed omologare o meno il senso delle scelte politico-parlamentari (per quanto il parere degli eredi effettivi della Resistenza fosse autorevole).
Nei tempi attuali, l'ANPI non è, se non per poche decine di casi effettivi, l'Associazione dei Partigiani. Essendo diventata da qualche anno un sia pur rispettabile e prestigioso sodalizio di testimonianza e di divulgazione della storia dell'antifascismo e della resistenza.
Da anni il PCI non esiste più ed il PD e le altre forze minoritarie della sinistra riformista hanno reciso quel patologico rapporto simbiotico.
Il posto del PCI è stato preso dalla sinistra radicale.
Legittimata a fare le sue belle battaglie politiche; ma non in posizione di depositario della punzonatura del titolo di rappresentanza della coerenza partigiana ed antifascista.
Con ciò riteniamo di aver contribuito a sgomberare la campagna da un equivoco dalle finalità decisamente tossiche.
Concludiamo con un'annotazione. La manifestazione del SI ha avuto, tra l'altro, la legittimazione di una partecipazione molto vasta. Tra cui, da vecchi osservatori, evidenziamo una presenza significativa di militanti e dirigenti dell'area cristiana, socialista e laica. È un segno?