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17 aprile: referendum trivelle. Anche se il presidente Grosso lo nega, l’astensione è una modalità di voto

Fiorino Bellisario Il mio voto: fino all’ultimo momento non vado a votare. Ma, se sembra imminente il raggiungimento del quorum, correrò a votare no

  13/04/2016

A cura della Redazione

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Non la vediamo molto bene, se l'arbitro non si limita ad arbitrare. Ci riferiamo all'endorsement di Paolo Grosso, presidente della Corte Costituzionale, a favore della partecipazione al voto in occasione del referendum del 17 aprile, attivato dall'iniziativa di 9 Regioni che chiedono l'abrogazione della parte della Legge di Stabilità afferente alla proroga delle concessioni di estrazione fino ad esaurimento dei giacimenti marini di gas e petrolio.

Che tale iniziativa referendaria fosse quanto meno ingannevole lo si è potuto ripetutamente accertare nel corso del confronto. La materia del contendere è manifestamente surrettizia. L'entrata in campo di quasi metà delle venti Regioni è palesemente strumentale a ben altri scopi di contrasto, in primis, agli sviluppi del profilo riformatore del Governo in carica.

Indubbiamente la direzione della riforma istituzionale Boschi punta verso una concentrazione/unificazione del potere istituzionali in capo al legislativo ed all'esecutivo. Non più il bicameralismo come fonte legislativa; un governo più stabile e più forte; ridimensionamento dei poteri regionali; semplificazione della struttura dell'amministrazione periferica.

Il referendum del 17 aprile, come osservano i commentatori svincolati da logiche conformistiche, costituisce l'anteprima dello scontro che un vasto schieramento conservatore ha fissato per il referendum costituzionale di ottobre.

Chi scrive, anche se non ne condivide completamente i contenuti, sta dalla parte dello sforzo di modernizzare il Paese, a cominciare dai poteri istituzionali, che, fin qui, ne hanno rallentato la capacità di adeguare la risposta italiana ai profondi mutamenti intervenuti a livello mondiale.

Per coerenza e per lucidità di confronto dei potenziali modelli, avremmo preferito il semi-presidenzialismo francese. Come abbiamo già detto e ripetiamo, la Legge Boschi ce la facciamo andar bene; perché in oltre trent'anni di palude costituisce il primo apprezzabile sforzo innovativo giunto all'avamposto procedurale mai raggiunto.

La narrazione ingannevole del fronte del SI, per il referendum sulle trivelle, fa fatica a nascondere il sottostante rapporto sinergico con il referendum più importante di ottobre.

Il bacino di motivazioni per l'abrogazione della Legge di Stabilità è comune a quello del NO alla Legge Boschi: stesse resistenze a poteri pubblici efficienti; stessa irriducibile opposizione alla prospettiva di consolidamento di una democrazia veramente riformista; stesi impulsi di tutela dei privilegi che annidano nella conservazione.

Che si sia alzato il livello di guardia dell'attacco dei poteri e degli ambienti antiriformatori è reso evidente dal ritorno agli scenari oscuri e tossici di un quarto di secolo fa.

A cominciare dalla riemersione di pagine non esattamente virtuose nell'esercizio della funzione giurisdizionale; che dovrebbe essere la prima ad essere sottoposta ad un progetto di innovazione e di efficientamento.

Ovviamente se si volesse lasciare alle spalle l'handicap più vistoso attribuito in sede mondiale al modello Italia.

Solo un Parlamento più efficiente potrebbe affrontare questo nodo.

Per questo motivo, ribadiamo, in materia, la nostra piena condivisione del pensiero del premier: “La posizione dell'astensione è sacrosanta e legittima”.

e.v.

Continua la tribuna elettorale de L'Eco del Popolo in vista del referendum del 17 aprile.

Qui pubblichiamo un contributo del Dott. Fiorino Bellisario

La posizione assunta da una parte del mondo politico ed associativo e gli interventi di Gian Carlo Storti e Giuseppe Azzoni alla Tribuna relativa alla partecipazione al voto del prossimo 17 Aprile mi induce a manifestare la mia scelta in questa occasione referendaria.

Sono stato sostenitore dello strumento referendario ed in passato ho assunto anche il ruolo attivo in confronti che hanno visto ampia partecipazione popolare con esiti che hanno cambiato la società italiana: si deve essere sostenitori del confronto referendario quale strumento utile per il rapporto fra politica e partecipazione popolare ma il quesito deve da solo portare alla crescita di un nuovo modello di comportamento e non essere mortificato da strumentalismi estranei al quesito.

La redazione dell'Eco del Popolo ha già individuato un comportamento elettorale fondato sull'effetto giuridico del referendum: la vittoria del si comporterebbe la cessazione definitiva delle estrazioni alla scadenza delle concessioni già in corso e ciò anche in giacimenti ancora ricchi di petrolio e gas.

Ma questo aspetto essenziale dell'esito del referendum non è l'oggetto su cui si fondano le varie sollecitazioni al voto o il voto per il si o per il no.

Allo stato attuale il confronto sulla cessazione delle estrazioni nei giacimenti ancora ricchi di petrolio e di gas alla scadenza delle concessioni dovrebbe essere condotto sugli effetti che tale risultato del referendum andrebbe a produrre:

Chiudere i giacimenti ancora ricchi di prodotti petroliferi porta un vantaggio all'ambiente? Quale?

Riduce in modo automatico il consumo nazionale di prodotti petroliferi?

O produce in modo automatico l'importazione di prodotti petroliferi dall'estero che pur causano problemi ambientali, oltre a quelli economici?

Porta in modo automatico all'incremento degli investimenti per lo sviluppo delle fonti energetiche alternative pulite ed agli investimenti per il risparmio energetico?

Quale differenza sul piano ambientale esiste tra la continuazione delle estrazioni dai giacimenti in mare rispetto alla continuazione delle estrazioni nel restante territorio nazionale? E sul piano economico?

Oppure, è meglio cessare coerentemente con l'esito del referendum ogni estrazione petrolifera in Italia e continuare le strazioni all'estero importando ptrolio e gas?

Ma la vittoria del no quale significato assumerebbe? Anche su tale effetto sorgono molti quesiti che varrebbe la pena enumerare.

Il mondo politico che sostiene il voto ed il voto per il si è affascinato dagli effetti che desiderano produrre sulla instabilità politica ma offrono un dibattito a slogan privo di un contenuto programmatico alternativo utile per il paese.

La verità è che la richiesta del referendum da parte delle Regioni è nata quando volevano ostacolare il rilascio di nuove concessioni nelle acque territoriali.

Cessata tale eventualità per il provvedimento legislativo intervenuto, la Regione Abruzzo ha revocato la sua adesione al Referendum considerandolo inutile.

Il mio giudizio è più netto: questo referendum non è solo inutile ma anche dannoso sia perché banalizza uno strumento di democrazia che ha avuto una grande funzione per la crescita del paese e ne può ancora avere sia perché qualsiasi risultato non serve a risolvere ma a ritardare l'avanzamento verso le energie alternative che ha bisogno di investimenti.

Il mio voto: fino all'ultimo momento non vado a votare. Ma, se sembra imminente il raggiungimento del quorum, correrò a votare no. 

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