Il prossimo 19 gennaio 2021, ricorrerà il centenario della scissione di Livorno, tra i socialisti, contrari a seguire gli indirizzi della rivoluzione russa, ed i comunisti, viceversa favorevoli, tra i riformisti a sostegno della prima opzione ed i massimalisti, schierati per la seconda.
Per l'occasione già si annunciano nuovi libri e rievocazioni di vario genere che rinverdiranno sicuramente l'evento, le ragioni storiche degli uni e gli errori degli altri, dei fondatori del PCI, come a posteriori, esponenti autorevoli dello stesso, hanno riconosciuto.
A cento anni dall'evento ed a più di 30 dalla caduta del muro di Berlino, più che di altre ricostruzioni del passato, sarebbe molto più importante riflettere sulla ormai lunga e anomala situazione politica italiana, mancante della presenza di un partito socialista, degno di questo nome, dall'indomani della dissoluzione del PSI, formalmente avvenuta 1994.
Le cause del quadro attuale, sono disseminate lungo tutto il secolo e non c'è nessun soggetto politico di ispirazione socialista o socialdemocratica, che possa ritenersi esente dalle proprie responsabilità.
A mantenere profondo il solco della divisione originale, da un lato ha certamente concorso l'indisponente arroganza di chi storicamente ha avuto ragione, dall'altro il controverso percorso degli eredi dei scissionisti, diventati in sequenza PDS, poi DS, fino all'ibrido - politicamente si intende - attuale PD, in polemica ininterrotta con i socialisti.
Gli ex PCI, non hanno mai assecondato il riformismo socialista al governo, anzi, dissidi e rancori si sono accentuati fino alle vicende di tangentopoli, che hanno criminalizzato l'intera storia del PSI a vantaggio della strategia del compromesso tra i post comunisti e democristiani, via via sempre più misero di idealità culturali, sacrificate alla mera gestione del potere.
Quanto riassunto esigerebbe una onesta e generale autocritica dei comportamenti assunti in passato, ma soprattutto un inderogabile confronto sugli interventi necessari a risollevare la situazione economica e sociale in cui versa il nostro Paese, ulteriormente aggravatasi dai dolorosi effetti del Covid 19.
Senza altri tatticismi, i socialisti italiani, vecchi e nuovi, ovunque collocati, devono interrogarsi sulla adeguatezza delle forze politiche esistenti, sui risultati della coalizione di governo, nonché sulla strategia futura da adottare per far fronte alle diversificate attese.
Al termine della obbligata e sostanzialmente facile gestione della fase dei “ristori” a pioggia, i limiti delle alleanze contratte senza un preventivo ricorso alle urne, si registrano quotidianamente.
Al rafforzamento del centro sinistra, contro la demagogia ed il falso rinnovamento dei populisti, manca oggettivamente una forte e distintiva formazione socialista, al pari di quelle presenti in tutte le nazioni europee.
È tempo di lanciare un "Manifesto del XXI secolo del socialismo italiano", che richiami all'impegno politico, alla condivisione di obiettivi di largo respiro, che risponda al crescente interesse delle nuove generazioni, attorno alla difesa della dignità dell'uomo e dei diritti dei lavoratori, al perseguimento di una maggiore giustizia sociale, alla estensione dei diritti umani e civili, alla salvaguardia ambientale.
Per la propria natura costitutiva, difficile pensare che nell'ottica delineata, possa essere PD il soggetto trainante il processo.
Più realisticamente a farsi carico di avviare l'impresa dovrebbero essere le tantissime organizzazioni, associazioni, circoli, fondazioni, siti on-line e pubblicazioni cartacee varie, dichiaratamente di area socialista.
La Comunità socialista cremasca, coerentemente con la propria attività locale, è pronta a contribuire alla convocazione di una iniziativa unitaria di livello nazionale ove, senza nostalgiche recriminazioni, si formalizzi e si promuova un progetto esplicitamente alternativo alle concezioni liberiste, oggi imperanti.