Memoria…ogni giorno, avevamo scritto nell'incipit di presentazione del pannel di celebrazione del 78° anniversario della Liberazione. Che quest'anno, per la prima volta, è caduto, con l'avvento di un governo non espressione dell'arco costituzionale, in un contesto fortemente discontinuo rispetto ai precedenti quasi ottant'anni.
Non solo, infatti, il governo in carica è di destra, caratteristica questa presente negli equilibri della Seconda Repubblica, ma, al di là delle sofisticherie semantiche, lo è in forza di un “cruscotto” che segnala non solo la completata asfaltatura del segmento che autorizzava il trattino “centro”, ma soprattutto il ruolo egemone di un monumento politico manifestamente in debito di “reticenze” rispetto agli standards di accreditamento come partner in piena regola.
La fluttuazione dei renitenti, diciamo così, a riconoscersi pienamente nella linea guida della Repubblica nata dalla Liberazione e dalla Resistenza è compresa tra un interessato antifascismo-scettico (a minimo sindacale, necessario per non farsi definire nostalgico) e una tignosa prosopopea che deriva dal motto rifondativo “non abiurare non restaurare” e da scombiccherati impulsi di riscrittura della storia.
Sul punto, pur restando fedeli al nostro pieno, immutabile convincimento a testimoniare un antifascismo scevro da collateralismi strumentali ad altri scopi, continueremo una testimonianza da schiena dritta.
Come facciamo praticamente da sempre ed in particolare da quando è avvenuto il fatto nuovo del ruolo di governo di un movimento dalle credenziali incongrue, in materia di appartenenza ai fondamentali della Repubblica. Non cesseremo di farlo nel proseguo. Ne sono testimonianza la continuità e l'intensità con cui abbiamo preannunciato l'anniversario della maggior festa della Repubblica e con cui facciamo cronaca del suo svolgimento.
Sul punto principale vorremmo sillabare bene, rifacendoci, ad una recente dichiarazione di uno dei massimi esponenti del socialismo italiano, Rino Formica (96 anni compiuti il primo marzo).
"La pacificazione con i fascisti è avvenuta con l'amnistia di Togliatti. La pacificazione con il fascismo, invece, non c'è stata e non ci potrà essere mai". Non c'è "la pacificazione con dottrine che uccidono e distruggono la democrazia".
"La Costituzione è il frutto del 25 Aprile"
Discorso del Presidente Mattarella alla manifestazione di Cuneo
Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti, a Milano, nel 1955. Ed è qui allora, a Cuneo, nella terra delle 34 Medaglie d'oro al Valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d'argento, delle 228 Medaglie di bronzo per la Resistenza. La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste. È qui che la Repubblica oggi celebra le sue radici, celebra la Festa della Liberazione. Su queste montagne, in queste valli, ricche di virtù di patriottismo sin dal Risorgimento. In questa terra che espresse, con Luigi Einaudi, il primo Presidente dell'Italia rinnovata nella Repubblica. Rivolgo un saluto a tutti i presenti, ai Vice presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri della Difesa, del Turismo e degli Affari regionali. Al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ai parlamentari presenti.
Saluto, e ringrazio per i loro interventi, il Presidente della Regione, la Sindaca di Cuneo, il Presidente della Provincia. Un saluto ai Sindaci presenti, pregandoli di trasmetterlo a tutti i loro concittadini. Un saluto e un ringraziamento al Presidente dell'Istituto Storico della Resistenza.
Stamane, con le altre autorità costituzionali, ho deposto all'Altare della Patria una corona in memoria di quanti hanno perso la vita per ridare indipendenza, unità nazionale, libertà, dignità, a un Paese dilaniato dalle guerre del fascismo, diviso e occupato dal regime sanguinario del nazismo, per ricostruire sulle macerie materiali e morali della dittatura una nuova comunità.
“La guerra continua” affermò, nella piazza di Cuneo che oggi reca il suo nome, Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943. Una dichiarazione di senso ben diverso da quella del governo Badoglio.
Continua – proseguiva Galimberti – “fino alla cacciata dell'ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”.
Un giudizio netto e rigoroso. Uno discorso straordinario per lucidità e visione del momento. Che fa comprendere appieno valore e significato della Resistenza. E fu coerente, salendo in montagna.
Assassinato l'anno seguente dai fascisti, è una delle prime Medaglie d'oro della nuova Italia; una medaglia assegnata alla memoria.
Il “motu proprio” del decreto luogotenenziale recita: “Arrestato, fieramente riaffermava la sua fede nella vittoria del popolo italiano contro la nefanda oppressione tedesca e fascista”; ed è datato, con grande significato, “Italia occupata, 2 dicembre 1944”.
Dopo l'8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d'ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell'800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell'Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d'Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri. La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale. Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti.
Convocò i soldati mandati a combattere al fronte e che rifiutarono di porsi sotto il comando della potenza occupante tedesca, pagando questa scelta a caro prezzo, con l'internamento in Germania e oltre 50.000 morti nei lager. Chiamò a raccolta i giovani della generazione del viaggio attraverso il fascismo, che ne scoprivano la natura e maturavano la scelta di opporvisi. La generazione, “sbagliata” perché tradita. Giovani ai quali Concetto Marchesi, rettore dell'Ateneo di Padova si rivolse per esortarli, dopo essere stati appunto “traditi”, a “rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo italiano”. Fu un moto che mobilitò gli operai delle fabbriche. Coinvolse i contadini e i montanari che, per la loro solidarietà con i partigiani combattenti, subirono le più dure rappresaglie (nel Cuneese quasi 5.000 i patrioti e oltre 4.000 i benemeriti della Resistenza riconosciuti).
Quali colpe potevano avere le popolazioni civili? Di voler difendere le proprie vite, i propri beni? Di essere solidali con i perseguitati? Quali quelle dei soldati? Rifiutarsi di aggiungersi ai soldati nazisti per fare violenza alla propria gente? L'elenco delle località colpite nel Cuneese compone una dolorosa litania e suona come preghiera. Voglio ricordarle. Furono decorate con Medaglie d'oro, d'argento o di bronzo, o con Croci di guerra: Cuneo, l'intera Provincia, Alba, Boves, Borgo San Dalmazzo, Dronero; Clavesana, Peveragno, Cherasco, Busca, Costigliole Saluzzo, Genòla, Trinità, Venasca, Ceva, Pamparato; Mondovì, Priola, Castellino Tanaro, Garessio, Roburent, Paesana, Narzòle, Rossana, Savigliano; Barge, San Damiano Macra, Villanova Mondovì.
Alla memoria delle vittime e alle sofferenze degli abitanti la Repubblica oggi si inchina.
Questo pomeriggio mi recherò a Boves, prima città martire della Resistenza, Medaglia d'oro al Valor militare e Medaglia d'oro al Valor Civile. Lì si scatenò quella che fu la prima strage operata dai nazisti in Italia. Una strage che colpì la popolazione inerme e coloro che avevano tentato di evitarla: Antonio Vassallo, don Giuseppe Bernardi, ai quali è stata tributata dalla Repubblica la Medaglia d'oro al Valor civile; don Mario Ghibaudo. I due sacerdoti, recentemente proclamati beati dalla Chiesa cattolica, testimoni di fede che non vollero abbandonare il popolo loro affidato, restarono accanto alla loro gente in pericolo.
E da Boves vengono segni di un futuro ricco di speranza: la Scuola di pace fortissimamente voluta dall'Amministrazione comunale quasi quarant'anni or sono e il gemellaggio con la cittadina bavarese di Schondorf am Ammersee, luogo dove giacciono i resti del comandante del battaglione SS responsabile della feroce strage del 19 settembre 1943.
A Borgo San Dalmazzo visiterò il Memoriale della Deportazione. Borgo San Dalmazzo, dove il binario alla stazione ferroviaria è richiamo quotidiano alla tragedia della Shoah. Cuneo, dopo Roma e Trieste, è la terza provincia italiana per numero di deportati nei campi di sterminio in ragione dell'origine ebraica. Accanto agli ebrei cuneesi che non riuscirono a sfuggire alla cattura, la più parte di loro era di nazionalità polacca, francese, ungherese e tedesca. Si trattava di ebrei che, dopo l'8 settembre, avevano cercato rifugio dalla Francia in Italia ma dovettero fare i conti con la Repubblica di Salò. Profughi alla ricerca di salvezza, della vita per sé e le proprie famiglie, in fuga dalla persecuzione, dalla guerra, consegnati alla morte per il servilismo della collaborazione assicurata ai nazisti. Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell'Italia nella catastrofe cui l'aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia. A questa lotta si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente. Si trattava di trasfondere nello Stato l'anima autentica della Nazione. Di dare vita a una nuova Italia. Impegno e promessa realizzate in questi 75 anni di Costituzione repubblicana. Una Repubblica ondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista.
Le Costituzioni nascono in momenti straordinari della vita di una comunità, sulla base dei valori che questi momenti esprimono e che ne ispirano i principi. Le “Repubbliche” partigiane, le zone libere, nelle loro determinazioni e nel loro operare furono anticipatrici della nostra Costituzione.
È dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano consentito lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo. Se il decreto luogotenenziale del 2 agosto 1943 – poco dopo la svolta del 25 luglio – prevedeva, non appena ve ne fossero le condizioni, l'elezione di una nuova Camera dei Deputati, per un ripristino delle istituzioni e della legalità statutaria, fu il decreto del 25 giugno 1944 – pochi giorni dopo la costituzione del primo Governo del CLN – a indicare che dopo la liberazione del territorio nazionale sarebbe stata eletta dal popolo, a suffragio universale, un'Assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova Costituzione. Per questo quel decreto viene definito la prima “Costituzione provvisoria”.
Seguirà poi il referendum, il 2 giugno 1946, con la Costituente e la scelta per la Repubblica.
La rottura del patto tra Nazione e monarchia, corresponsabile, quest'ultima, di avere consegnato l'Italia al fascismo, sottolineava l'approdo a un ordinamento nuovo. La Costituzione sarebbe stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, stabilendo il principio della prevalenza sullo Stato della persona e delle comunità, guardando alle autonomie locali e sociali dell'Italia come a un patrimonio prezioso da preservare e sviluppare.
Una risposta fondata sulla sconfitta dei totalitarismi europei di impronta fascista e nazista per riaffermare il principio della sovranità e della dignità di ogni essere umano, sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata al servizio di uno Stato in cui l'uomo appare soltanto un ingranaggio. Il frutto del 25 aprile è 25 aprile è >la Festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo. È nata così una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso agli italiani di raggiungere risultati prima inimmaginabili.
E qui a Cuneo, mentre la guerra infuriava, veniva sviluppata un'idea di Costituzione che guardava avanti. Pionieri Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci.
Guardava a come scongiurare per il futuro i conflitti che hanno opposto gli Stati europei gli uni agli altri, per dar vita, insieme, a una Costituzione per l'Europa e a una per l'Italia. Dall'ossessione del nemico alla ricerca dell'amico, della cooperazione. La Costituzione confederale europea si accompagnava alla proposta di una “Costituzione interna”. Obiettivo: “liberare l'Europa dall'incubo della guerra”. Sentiamo riecheggiare in quello che appariva allora un sogno, il testo del preambolo del Trattato sull'Unione Europea: “promuovere pace, sicurezza, progresso in Europa e nel mondo”. Un sogno che ha saputo realizzarsi per molti aspetti in questi settant'anni. Anche se ancora manca quello di una “Costituzione per l'Europa”, nonostante i tentativi lodevoli di conseguirla.
Chiediamoci dove e come saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora!
Nel lavoro di Galimberti e Rèpaci troviamo temi, affermazioni, che sono oggi realtà della Carta costituzionale italiana, come all'art. 46: “le differenze di razza, di nazionalità e di religione non sono di ostacolo al godimento dei diritti pubblici e privati”.
Possiamo quindi dire, a buon titolo: Cuneo, città della Costituzione! Galimberti era stato a Torino allievo di Francesco Ruffini, uno dei docenti universitari che, rifiutando il giuramento di fedeltà al fascismo, fu costretto ad abbandonare l'insegnamento. Accanto a Galimberti e Rèpaci, altri si misurarono con la sfida di progettare il futuro. Silvio Trentin, in esilio dal 1926, nel suo “Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell'Italia”, dettato al figlio Bruno nel 1944, era sostenitore, anch'egli, dell'anteriorità dei diritti della persona rispetto allo Stato.
E Mario Alberto Rollier, con il suo “Schema di costituzione dell'unione federale europea”. Testi, entrambi, di forte ispirazione federalista. Si tratta, nei tre casi, di esponenti di quel Partito d'Azione di cui incisiva sarà l'influenza nel corso della Resistenza e dell'avvio della vita della Repubblica.
La crisi della monarchia e quella del fascismo apparivano ormai irreversibili, tanto da indurre un gruppo di intellettuali cattolici a riunirsi a Camaldoli, a pochi giorni dal 25 luglio 1943, con 'intento di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come “Codice di Camaldoli”, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l'uguaglianza fra i cittadini. Per tornare alla “Costituzione di Duccio”, apparivano allora utopie alcune sue previsioni come quella di una “unica moneta europea”. Oggi realtà. O quella di “un unico esercito confederale”. E il tema della difesa comune è, oggi, al centro delle preoccupazioni dell'Unione Europea, in un continente ferito dall'aggressione della Federazione Russa all'Ucraina. Sulla scia di quei “visionari” che, nel pieno della tragedia della guerra e tra le macerie, disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà, desidero sottolineare che onorano la Resistenza, e l'Italia che da essa è nata, quanti compiono il loro dovere favorendo la coesione sociale su cui si regge la nostra comunità nazionale.
Rendono onore alla Resistenza i medici e gli operatori sanitari che ogni giorno non si risparmiano per difendere la salute di tutti. Le rendono onore le donne e gli uomini che con il loro lavoro e il loro spirito di iniziativa rendono competitiva e solida l'economia italiana. Le rendono onore quanti non si sottraggono a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.
Il popolo del volontariato che spende parte del proprio tempo per aiutare chi ne ha bisogno.
I giovani che, nel rispetto degli altri, si impegnano per la difesa dell'ambiente.
Tutti coloro che adempiono, con coscienza, al proprio dovere pensando al futuro delle nuove generazioni rendono onore alla liberazione della Resistenza. Signor Presidente della Regione, lei ha definito queste colline, queste montagne “geneticamente antifasciste”.
Sappiamo quanto dobbiamo al Piemonte, Regione decorata, a sua volta, con la Medaglia d'oro al merito civile Ed è alle donne e agli uomini che hanno animato qui la battaglia per la conquista della libertà della Patria che rivolgo il mio pensiero rispettoso. Nuto Revelli ha parlato della sua esperienza di comandante partigiano e della lotta svolta in montagna come di un vissuto di libertà: di un luogo dove era possibile assaporare il gusto della libertà prima che venisse restituita a tutto il popolo italiano. Una terra allora non prospera, tanto da ispirargli i racconti del “mondo dei vinti”.
Una terra ricca però di valori morali. Non c'è una famiglia che non abbia memoria di un bisnonno, di un nonno, di un congiunto, di un alpino caduto in Russia, nella sciagurata avventura voluta dal fascismo. Non c'è famiglia che non ricordi il sacrificio della Divisione alpina “Cuneense” nella drammatica ritirata, con >la Julia. Un altro esempio. Un altro monito alla dissennatezza della guerra.
Rendiamo onore alla memoria di quei caduti. Grazie da tutta la Repubblica a Cuneo e al Cuneese, con le sue Medaglie al valore! Come recita la lapide apposta al Municipio di questa città, nell'ottavo anniversario dell'uccisione di Galimberti, se mai avversari della libertà dovessero riaffacciarsi su queste strade troverebbero patrioti. Come vi è scritto: “morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”.
Viva la Festa della Liberazione! Viva l'Italia
Intervento, Cremona, 25 aprile 2023
Gian Carlo Corada, Presidente provinciale ANPI
Cittadine e cittadini, Autorità, rappresentanti di Associazioni, Sindacati e Partiti,
grazie per essere qui, ancora una volta, per festeggiare la Liberazione del nostro Paese dall'occupazione straniera e dalla Dittatura fascista. Liberazione, che ci ha dato la libertà e la pur zoppicante democrazia di cui godiamo. Il 25 aprile è quindi, sì, anche “Festa della libertà”, ma perché qualcuno ce l'aveva tolta, la libertà, e qualcun altro ce l'ha ridata.
È davvero inaccettabile che, a tanti anni di distanza e con tanti studi a disposizione, si assista, come è avvenuto nelle scorse settimane a tentativi di falsificazione della storia o, nel migliore dei casi, di rimozione del nostro passato. Per di più, da parte di persone con rilevanti incarichi pubblici.
Ed allora diciamole noi, nelle tante piazze d'Italia, alcune semplici verità accertate dalla storia, che dovrebbero essere scolpite nelle menti e nei cuori di tutti gli Italiani.
- La Liberazione non è stata solo Liberazione dai tedeschi ma dalla Dittatura fascista e dall'ideologia nazifascista.
- >La Dittatura fascista è stata un “male assoluto” non solo per le Leggi Razziali. È stata razzista e guerrafondaia fin dall'inizio. Ha negato fin dall'inizio libertà e diritti. Ha fin dall'inizio picchiato, imprigionato, torturato, ucciso gli oppositori ed i “diversi”. Ha portato l'Italia in una guerra folle, causando distruzioni, dolori e mezzo milione di morti.
- La Costituzione è nata dalla Resistenza a tanti obbrobri. E' nata in montagna, in pianura, nei luoghi di lavoro e di studio, nelle case di quei patrioti (donne soprattutto) che aiutavano ebrei, ex-prigionieri, renitenti alla leva, oppositori, mentre altri italiani accompagnavano sui treni blindati ai campi di sterminio quegli innocenti, colpevoli solo di esistere o di volere un mondo migliore. E' nata, la Costituzione, dalle sofferenze e dal coraggio di donne ed uomini che hanno combattuto e sono morti per le nostre libertà.
- Nella Costituzione non c'è la parola Antifascismo perché tutta la Costituzione è antifascista! Lo è quando vieta esplicitamente la ricostituzione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista. Ma lo è anche dove tratta argomenti apparentemente lontani dalla politica. Lo è, ad esempio, dove parla della segretezza della corrispondenza, perché il fascismo la violava; o dove parla dell'autonomia degli Enti Locali, perché il fascismo la vietava; o dove sancisce la libertà di movimento, perché il fascismo la proibiva. E così via. L'identità fascista, lo dice lo Statuto del PNF, si riassume nel motto “credere, obbedire, combattere”. La Costituzione è l'esatto contrario: esalta il pluralismo delle idee ed il confronto, il ragionare con la propria testa, l'obbedire alle Leggi e non ad un Capo, il rifiuto della guerra come modo per risolvere i contenziosi fra gli Stati. La Costituzione è tutta antifascista!
- Non tutti gli italiani sono stati e sono “brava gente”. Come bene dice il Presidente Mattarella, parlando anche dei fascisti di altre nazioni: “I fascismi sono stati complici degli orrori nazisti, perché consegnarono i propri concittadini ai carnefici”. I gravissimi crimini di guerra commessi dai fascisti non sono stati puniti. Un elenco di almeno mille criminali di guerra italiani (in Grecia, nella ex-Iugoslavia, in Africa) è rimasto per decenni a giacere, a far polvere, nei cassetti delle scrivanie di chi avrebbe dovuto far giustizia.
- Già il fascismo manipolava la storia. Faceva, ad esempio, degli eroi del Risorgimento i propri anticipatori, in nome dell'amor di patria. Ed intanto, il fascismo, infeudava l'Italia alla Germania, cedeva vasti territori del nostro Paese al Reich, accettava persino che i tedeschi negassero la qualifica di prigionieri di guerra agli eroici soldati italiani che avevano rifiutato in massa di combattere per la Repubblica di Salò. Quale amor di Patria! Solo retorica! Liberiamo certe parole. Togliamo la patina nera da termini come patria, coraggio, dignità, onore. È stata la Resistenza a restituire dignità ed onore all' Italia, paese sconfitto e colpevole di brutalità.
- Per queste ragioni (e tante altre che tralascio) non si può essere neutrali, non si può dichiararsi “afascisti”. L'indifferenza, il dire che avevano ragione un po' gli uni ed un po' gli altri, è impossibile ed ingiusta, anche se diffusa. Alcuni faticano persino a pronunciare certe parole: antifascismo, partigiani… Gli ignavi, secondo Dante, neppure sono degni di stare all'Inferno.
Ecco: ho indicato alcune ragioni che dovrebbero fare dell'Antifascismo una scelta quasi prepolitica! Ma, dicono molti: “Tutto ciò è passato. Guardiamo al domani”. Certo! Il nostro impegno non può essere solo quello di fare memoria, anche se, diceva Primo Levi, “conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono essere nuovamente sedotte ed oscurate”. Comunque è giusto non guardare solo al passato. Nel nostro caso, però, sono proprio la Resistenza e la Carta Costituzionale che ci indicano il futuro. Diceva Piero Calamandrei che la Costituzione è polemica contro il passato fascista, ma è polemica anche contro il presente (se no, non direbbe che vi sono ostacoli d'ordine economico e sociale da rimuovere per permettere il pieno sviluppo della persona umana, come recita l'art. 3). La Costituzione, dunque, ci indica anche la direzione verso cui andare. Certo non nei particolari, perché molte cose sono cambiate. Ma la direzione è chiara. Attuare la Costituzione è anche il miglior antidoto al fascismo. Una Costituzione che imporrebbe una maggiore giustizia sociale, un lavoro stabile, serio e ben remunerato, una lotta vera all'evasione fiscale; la sanità, la scuola, la casa come diritti; l'ambiente pulito, la sicurezza, l'accoglienza; la vita, per tutti, dignitosa e libera nelle scelte.
La Resistenza voleva tutto ciò; magari non con la chiarezza che oggi desidereremmo, ma lo voleva. La Resistenza era plurale: vi erano comunisti, azionisti, socialisti, cattolici, liberali, anche gruppi monarchici. Con programmi diversi per il futuro, ma in tutti c'era oltre all'ansia di libertà e democrazia anche il desiderio di rinnovamento sociale e di maggior giustizia per i meno abbienti.
L'essere oggi in una situazione economica e sociale, oltre che politica, così difficile, soprattutto per i più deboli, è fonte di delusione ed amarezza per chi crede nei Valori della Liberazione. Proprio perché quelle indicazioni non sono state attuate. Come è fonte di amarezza il persistere nel mondo di tante guerre, a partire da quella nel cuore dell'Europa, in Ucraina, dove sarebbe urgente, come ha detto Papa Francesco, un immediato “cessate il fuoco” ed una azione diplomatica per una pace giusta. Tuttavia, fra le Idee dei Partigiani c'era anche la convinzione che la Società non fosse immodificabile, che il mondo potesse migliorare, che le ingiustizie non fossero “date” per natura. Seguiamo quelle Idee. Viviamo la Resistenza come impegno quotidiano. Usiamo la Costituzione contro ingiustizie, soprusi e privilegi.
Non vogliamo che torni il passato. Vogliamo che il miglior passato viva nel nostro futuro.
Buon 25 aprile!
Società Filodrammatica Cremonese
Carissime/i, il nostro sodalizio ha revocato la festa del 25 aprile con un insolito e particolare evento artistico che contemplava la rievocazione del 78° anniversario della Liberazione italiana; l'attenzione alla guerra in Ucraina con l'auspicio che arrivi presto anche per il popolo ucraino la Liberazione, il ricordo del socio prof Mario Coppetti a 5 anni dalla sua scomparsa.
Si ringraziano tutti i partecipanti: la Ma Nadiya Petrenko e i suoi allievi per il bellissimo concerto lirico; la socia dottoressa Silvia Coppetti a testimonianza del papà Mario.
Un particolare ringraziamento al professor Giancarlo Corada accolto con un caloroso e reverenziale saluto nella sua carica istituzionale di presidente Anpi il quale ha ribadito. in sintesi. il suo coinvolgente ed aperto a tutti gli italiani intervento in mattinata in piazza Duomo. Ha poi ricordato con emozione il professor Mario Copetti e i suoi valori civili ed umani. La SFC lo ringrazia con amichevole affetto di essere un amico del filo “militante”.
La pedalata della memoria lungo il percorso delle pietre
Nonostante l'inclemenza del tempo, ha avuto luogo “la pedalata della memoria”. Data la locomozione, prescelta per rendere temporalmente compatibile la rivisitazione completa del tracciato delle 19 Pietre, installate nella Giornata della Memoria per ricordare i concittadini vittime dei campi di sterminio, sarebbe stato difficile inciampare. Ma i partecipanti hanno sicuramente voluto sottolineare con la loro testimonianza una volontà di esortazione espressa nel corso della celebrazione della festa della Liberazione.
Si ricorda che l'encomiabile iniziativa, patrocinata dal Comune di Cremona e coordinata dalla impegnativa ricerca di Giuseppe Azzoni, Vittorio Mascarini, Gianpiero Carotti.
La biciclettata può rappresentare un fecondo evento promoter, ai fini dell'estensione dell'iniziativa alle realtà territoriali caratterizzate da analogie storiche con quella vicenda. E' noto che la nostra testata ha appoggiato l'adozione del progetto a Pizzighettone, dove la minoranza consigliare ha avanzato formale proposta, in considerazione del fatto che dal carcere partirono per l'internamento non meno di 500 reclusi. Il borgo dell'Adda, si ricorda, fu per un periodo anche sede di un Ghetto ebraico (in Corso Vittorio Emanuele).
Località che rientrano nella medesima fattispecie di presenza israelitica sono Soncino, Vescovato, Ostiano.
Si faccia in modo che l'anno in corso venga proficuamente speso in questa direzione.
…ancora in materia di celebrazioni del 78° della Liberazione…
Last but not least
Sicuramente ci si imputerà un anglicismo compulsivo…con questo titolo. In realtà anche con questo quasi trascurabile particolare vogliamo rimarcare la nostra particolare gratitudine all'autore del video. Che rappresenta, per l'abituale guideline editoriale delle testate politicamente impegnate, una discontinuità, di stile e di messaggio.
L'autore è Luigi Cazzaniga, importante fotografo, pittore, filmmaker, cronista, scrittore, con natali nel bellissimo Borgo di Soncino, una vita globetrotter dedicata agli interessi artistici e culturali, location stabile a New York, ma con radici rafforzate da un amore inestirpabile e inattenuabile verso Sunsì.
Ravvivate, non solo nei frequenti rientri, ma anche con l'amore con cui dispensa in una realtà particolarmente ricettiva per le buone cause della diffusione dell'arte, del bel e del sapere, segmenti aggiornati del suo talento.
È, ad esempio, in corso presso la Filanda, una rassegna intitolata “Economia domestica”.
Di sé, con l'aplomb che contraddistingue i signori, dice, in realtà rinviando la locuzione a Moretti, “vedo cose, scatto e racconto”. Spunti derivanti dalla moda, dai paesaggi, dalla natura. Sempre senza limiti nelle opzioni. Temendo di doversi girare i pollici negli “ozii” soncinesi il maestro non ha girato lo sguardo dall'altra parte e ha voluto cogliere un'opportunità per vede le cose che ruotavano attorno al 78° anniversario della Liberazione. Un evento ben lontano dal pieno di identità e di inclusione che dovrebbe avere.
A Soncino come in molti centri della provincia era stata programmata una festa, diciamo, poliedrica. Con un eminente profilo trainante di spessore storico celebrativo. Ma anche tanti eventi di completamento, ispirati in senso ludico, di svago, di festosità (come dovrebbero essere tutte le celebrazioni cardine del Paese). Il lavoro del fotoreporter di classe non ha perso un particolare e a reso, della festa meno non partisan, un quadro di insieme. In cui dovrebbe far ragionare anche lo speech degli intervistati, diciamo,” non impegnati”.
Proposta di lavoro
Murale sindaci "ribelli" a Milano
Antonio Greppi (1945-1951), Virgilio Ferrari (1951-1961), Gino Cassinis (1961-1964), Pietro Bucalossi (1964-1967) e Aldo Aniasi (1967-1976) il partigiano Iso: Cinque sindaci, protagonisti della storia di Milano, che hanno esercitato in tempi diversi il ruolo di primo cittadino all'indomani della Liberazione dell'Italia e che sono stati fieri oppositori al nazifascismo durante la Resistenza. Cinque storie politiche diverse, ma con un forte impegno in comune: l'affermazione dei valori democratici e della libertà.
I loro volti sono effigiati nel murale dedicato "ai sindaci ribelli", in via Lupetta 8 e realizzato dal collettivo artistico Orticanoodles e dall'associazione OrMe - Ortica Memoria di Milano, in collaborazione con Fiap e Fondazione Aniasi, con il patrocinio e con la collaborazione dell'ufficio Arte negli spazi pubblici del Comune di Milano.
L'epigrafe non potrebbe essere più azzeccata: “La coscienza ribelle di ognuno di loro ha saputo dire di non alla brutalità, agli orrori della guerra con tutte le sue conseguenze tragiche, nefaste”
Perché non anche a Cremona?