S'avanza, se non proprio a fari spenti ma comunque mellifluamente, un referendum abrogativo, il 67° dell'era repubblicana, il primo promosso dalle Regioni. In evidente posizione di ostilità nei confronti del Governo.
Non è che la storia referendaria italiana sia costellata di impulsi virtuosi, indirizzati unicamente, attraverso la chiamata del corpo elettorale, a correggere la legislazione prodotta dagli organi istituzionali allo scopo deputati.
Eh sì, continuiamo a pascerci della vulgata dei referendum del divorzio e dell'aborto; che hanno costituito l'apice di un'epopea mai più eguagliata.
Poi, se si eccettuata quello contro il nucleare, le cui conseguenze il sistema-paese non ha ancora smesso di ammortizzare (detto da uno che ha contribuito all'organizzazione della marcia di Caorso dell'autunno del 1986 e del fronte per il sì), il resto è costellato da referendicchi. Indotti dalla pulsione scatenata nell'animo degli sconfitti dalla normale dialettica parlamentare; esclusivamente interessati a conquistare un avamposto per tenere il punto e scatenare la rivincita.
A stima di chi scrive anche quello indetto per il 17 aprile si incastona in tale cultura “civile”.
Antefatto: la riforma Boschi/Pizzetti, una volta completata la procedura di approvazione, modificherà, tra l'altro, l'attribuzione della competenza in capo a chi deve decidere in materia di energia.
Fin qui era stato: prima, lo Stato; poi insieme Stato e Regioni. Dopo sarà lo Stato. Sulla follia della materie “concorrenti”, in capo alle competenze congiunte dispensate dalla “riforma” del Titolo V, si è già avuto modo di dolersi.
Da oggi sappiamo che dietro il ditino alzato da 9 Regioni a (finta) tutela ambientalistica sta la luna della difesa delle competenze. Che le Regioni, nonostante il buon senso e prove non esattamente performanti, vogliono tenere per sé (per tutto il portato di peso politico, elettorale, potenzialmente da malaffare che è in cima alle loro ansie).
Ma come, le 16 repubblichette si preoccupano, annota Michele Ainis sul Corriere, di improbabili apocalissi da trivellazione a carico dell'ambiente marino, e consentono, però l'allevamento di colibatteri in tutto l'Adriatico e si disinteressano quasi totalmente della depurazione dei corsi interni che vi confluiscono?
Per non dire dei sempre irrisolti problemi della depurazione delle acque, delle discariche abusive, del trattamento dei rifiuti (che in Italia rappresenta una dannazione biblica, mentre in tutto il resto d'Europa un'opportunità produttiva ed occupazionale).
Per non dire, poi, di disattenzioni ancor più vistose in materia di politiche ambientali, notoriamente afferenti alla competenza esclusiva delle Regioni.
Aggiungeremmo anche che, all'orizzonte, non c'è nessuna evidenza di pericoli di catastrofi ambientali e che le conseguenze di un malaugurato successo referendario, radicato esclusivamente nelle ragioni della strumentalizzazione politica, avrebbe non trascurabili incidenze sul Pil, sull'occupazione e, soprattutto, sulla percezione internazionale del sistema-Italia.
I ciò è del tutto evidente l'impulso strumentale che ha indotto le “9 sorelle” a ad impugnare avanti il corpo elettorale la legge ordinaria di estensione della concessione di trivellazione sino all'esaurimento del giacimento. Un vistoso, per quanto mimetizzato da falsi orpelli naturalistici, casus belli, il cui vero perno è costituito dalla volontà di delegittimare della riforma, destinata a rimettere sui binari una Costituzione ammaccata dai tempi, dalla neghittosità a non prendere atto dei cambiamenti, dal pessimo uso, da parte della cattiva politica, delle ampie prerogative democratiche in essa contenute. Ma per il fronte del conservatorismo, evidentemente, la riforma costituzionale rappresenta la battaglia della vita, non già delle prerogative democratiche, bensì della cattiva politica.
Non siamo corifei di Renzi, ma sul punto diciamo a voce alta e spiegata che stiamo, senza se e senza ma (come affermano i campioni del caccadubbismo), con la direzione di marcia della riforma Boschi.
Con la direzione di marcia, perché sui contenuti, come abbiamo più volte sostenuto da queste pagine, avremmo privilegiato percorsi riformatori più netti.
Per uscire dalla metafora, diciamo che, col rifiuto (forse suggerito da cattive letture del non partisan) del monocameralismo secco, e con l'introduzione di un bicameralismo de noantri (un Senato sopravvissuto di nome ma depotenziato legislativamente) rientrerà dalla finestra la pulsione della “concertazione” e del consociativismo, che tanto male ha procurato, a cominciare dal prestigio, alla “Costituzione più bella del mondo”.
Il Senato diventerebbe una stanza di compensazione, di ripescaggio di quelle cattive abitudine che il depotenziamento legislativo avrebbe dovuto recidere.
Cosa ne pensino in materia i Governatori, cui l'Italia deve la caduta di prestigio istituzionale e morale dell'istituto regionale e buona parte dei 2.350 miliardi di debito consolidato dello Stato, lo si deduce facilmente dalla metafora del referendum di maggio. Che, tanto per facilitare le percezioni ed il senso di appartenenza del corpo elettorale, presenta un primo tranello: chi non vuole vota sì e chi vuole vota no. Ma su questa simpatica civetteria, glissiamo e stiamo al sodo
Se passano i Sì, si accumula legna per far passare il No al referendum costituzionale di ottobre.
Se, invece, come assolutamente auspicabile (lo diciamo a titolo personale (sia pure da iscritti alla Lipu, all'Associazione Antivivisezionistica, all'Associazione Animalisti), le urne referendarie sbugiarderanno Regioni e corifei falso-naturalistici, la nefasta lobbying si appresterà alla “difesa della più bella Costituzione” nella ridotta in cui sono confluiti la Lega, 5 Stelle, Forza Italia, sinistra radicale (quella, quando c'è da opporsi a qualcosa- praticamente sempre- non manca mai!) e, dulcis in fundo, parte della minoranza “di sinistra” del PD (che, da un po' di tempo, non si priva di tutte le opportunità per auto-delegittimarsi politicamente).
Solo di passaggio simuliamo i profili da caravanserraglio destinato a diventare quel Senato azzoppato legislativamente, ma ancora capace di fornire carburante a tutti gli oppositori dell'efficienza dello Stato, secondo la logica del cheek and bilance.
Anche per questo invitiamo coloro che la pensano come noi ad una civica consapevolezza attorno alla natura ed alle insidie del referendum di maggio.
Opporvisi, disertando le urne.
PS: Avevamo quasi dimenticato di annotare che anche la gerarchia ecclesiale, con la premessa “la Chiesa non s'impiccia ma non rimane sorda e muta”, manda in campo e dopo aver piazzato, ad alzo zero, gli obici della compagnia di giro pacifista e terzomondista, la mette con “padre” Alex Zanotelli sul terreno “di nuovi stili di vita”.
Oddio, non vorremmo rinunciare a quel rimando, obiettando che noi da quegli stili di vita presumibilmente virtuosi non ce ne siamo mai distaccati. Piuttosto, se vuole trovare modelli/comportamenti da archiviare guardi a campioni come il card. Bertone, ai consulenti finanziari della curia, alla curia nel suo complesso.
Sommessamente, comunque, osserveremmo che, specie in assenza di fattuali controindicazioni e pericoli, non ci paiono le trivelle materia di evangelizzazione. Anche contro questa invadenza di campo, ci schieriamo nel fronte opposto.
Ed invitiamo chi ci condivide ad esprimere la contrarietà con la diserzione delle urne.
E.V.