Sarebbe stata destinata alla trascuratezza la ricorrenza del trentesimo della scomparsa di Giusto Corbani, se nel cerchio magico dei sopravvissuti estimatori, impegnati ogni qualvolta se ne presenti l'occasione in conversari frequentemente abitati dai ricordi, non fosse stata debitamente appuntata.
Ma, come ben si sa, non basta in sé il proposito di ricordare e di rievocare, se non si da seguito ad una minimale ricerca documentale e ad una rivisitazione mnemonica e sistematica; che abbia come accettabile approdo un profilo meritevole di essere iscritto nella scansione storica di qualsivoglia ciclo o tema.
Per rendere decentemente attendibile un tale impegno, è, nonostante sia trascorso uno scorcio limitato, assolutamente necessaria una precondizione: la collazione di riferimenti documentali coerenti e, soprattutto, fattuali.
E' stata questa la stella polare che ci ha guidato nell'approccio e nel prosieguo dei preliminari.
Come si avrà modo di constatare il profilo tracciato dell'eminente pizzighettonese, pur integrando qualche inaggirabile spunto di umanità, sarà prevalentemente dedicato ad enucleare gli aspetti salienti della sua lunga e significativa testimonianza civile.
Una seconda riflessione preliminare, utile ad orientare il lavoro, ha inquadrato il ciclo politico-amministrativo di Corbani come uno dei più lunghi ed omogenei della vita pubblica locale. Come tale, avendo avuto premesse e logicamente lasciti, su cui appariva inappropriata qualsiasi dissolvenza o negligenza, esigeva una ricostruzione approfondita e correlata. Donde scaturirebbe, conseguentemente, un lungo tracciato coincidente con una scansione temporale che va dall'inizio del secondo dopoguerra e termina con i prodromi della fine della prima repubblica.
Altresì occorre sottolineare che, pur trattandosi di una entità significativa pur se circoscritta, è venuta a mancare, nella configurazione dell'approfondimento un'indispensabile premessa, che solitamente fa da sicurvia per qualsiasi rivisitazione: l'aggancio ad un più inquadramento storiografico di riferimento.
Ciò di cui, almeno relativamente al Novecento, Pizzighettone manca quasi completamente. Essendo il costrutto più organico (ed unico) delle vicende storiche del borgo posto sulle rive dell'Adda rappresentato da “Memorie storiche” del prof. Giuseppe Grossi. Il cui rating scientifico dallo stesso autore viene derubricato a livello di un'esposizione “in succinto di fatti principali, lasciando a chi si trovasse in migliori condizioni di mezzi e di tempo il compimento scientifico dell'opera”.
Come si vede un'impossible mission; atteso che l'autore (a proposito di basi documentali) soggiunge “Molti documenti relativi a Pizzighettone sono sparsi qua e là, in tutte le città della Lombardia, a Venezia, Torino e perfino a Vienna, Parigi, Londra, Madrid….” L'unico ricercatore del 900, a quanto sappia chi scrive, risoluto a raccogliere lo sprone del Grossi (a ricercarli, rileggerli, ordinarli) fu (e purtroppo per una stagione esistenziale troppo breve) Franco Bernocchi. Che, sempre a quanto conosciuto informalmente dallo scrivente, aveva solo sfiorato, con un inizio di ricerca sul movimento migliolino locale, l'evo contemporaneo.
In aggiunta a ciò non esiste, si ripete, nulla di organico, che avanzi da dove il Grossi si era fermato nel 1917 nel collazionare memorie, fermatesi all'epopea del Risorgimento. Di organico, bisognerebbe soggiungere. Perché va segnalato che, per quanto posizionati epicentro tematico lateralmente ad una visione più ampia almeno di ciclo, negli ultimi anni sono emersi lodevoli ed accreditati contributi alla ricostruzione della storia del 900 pizzighettonese. Grazie all'opera del ricercatore locale (Gianfranco Gambarelli, sulle mura e sulle prigioni, nonché del sempre più apprezzato ricercatore cremonese Giuseppe Azzoni. Cui si deve la messa in luce del segmento locale del ventennio fascista e dell'indotto della ricerca archivistica che recentemente (e con interessanti rimandi alla realtà pizzighettonese) ha posto sotto il riflettore il Casellario della Questura durante il Ventennio. Il lavoro di ricerca di Gambarelli e di Azzoni, per quanto nematicamente circoscritti e meritevoli di una metabolizzazione in una visione pizzighettonese almeno più sistematica, ha comunque tolto polvere a negletti depositi e fascicoli ed ha gettato le basi per una finalizzazione più vasta.
Quanto meno ha offerto tessere di conoscenza documentale per chi volesse sviluppare la storiografia del 900 pizzighettonese.
Di cui del tutto una sistemazione organica e strutturata a partire dal secondo dopoguerra. Anche se va dato atto al Comune ed al Museo Comunale di aver, in questi ultimi anni, sia favorito il riordino e la catalogazione dell'archivio storico sia salvaguardato le fonti.
Per quanto, relativamente agli ultimi cento anni, non sia nella condizione di tabula rasa delineata dal Grossi e per quanto i documenti (nonostante le vandalizzazioni operate nei momenti cruciali) esistano, si è ben lungi dal renderli fruibili con una sintesi storiografica.
Ma, si sa, la consultazione dei depositi documentali e l'incrocio (obiettivo!) con la memoria dei testimoni sopravvissuti costituiscono impegno di buona e lunga lena.
Come si vede, esisterebbero (purché lo si volesse fermamente e concretamente) tutte le condizioni per una seria ricostruzione delle vicende storiche di Pizzighettone che vanno dalla fine della Grande Guerra e giungono a tutto il ciclo della Prima Repubblica (l'oltre apparterrebbe alla fattispecie della cronaca!).
In sovrappiù alla consapevolezza di un impegnativo lavoro, gioca contro, pur nell'indubbia certezza dell'utilità culturale e civile, il dubbio della congruità del sentiment de tempi correnti, pervasi dall'ansia di inseguire la vacuità dell'apprendimento e della relazionalità digitalizzata.
Sia come sia, da nativi ma residenti da mezzo secolo all'estero (a 20 km dalle mura), siamo ben consapevoli, nonostante l'assenza di esaltanti precondizioni di spinta, della sostenibilità di un organico sforzo di inquadramento storiografico del 900 pizzighettonese. Che, se si pensa al ruolo baricentrico svolto per molti decenni rispetto ad una funzione di di attrazione e convergenza, andrebbe catalogato in una scala più alta della fattispecie locale.
La sistemazione storica si avvale (o dovrebbe) del combinato rappresentato, come si diceva sopra, dai depositi documentali generali ma anche dai supporti “minori”. In essi integrando sia la memoria a tradizione orale sia il portato dei reperti dedotti da quel che resta del ciclo dell'associazionismo politico di massa.
Ecco, questa premessa, obiettivamente ampia ma indispensabile, è ad un tempo la road map di questo lavoro.
Che ha preso ispirazione ed abbrivio concreto dalla consapevolezza di produrre, nella ricorrenza del Sindaco di Corbani, una sistemazione rievocativa di quella figura e del ciclo cui è appartenuta.
Ben consapevoli, però, che si tratta di una tessera, sia pure significativa ed importante, del mosaico del ciclo contemporaneo. Dal cui esito (se ci sarà) potrebbe scaturire un più vasto impegno ad una sistemazione storiografica più esauriente e completa delle vicende istituzionali locali dell'ultimo secolo.
Suscettibile di fornire alle prossime generazioni gli strumenti di conoscenza critica di ciò che accadde nella vita comunitaria di Pizzighettone, dei fermenti ideali e delle testimonianze e dei protagonisti che la permearono.
Breve profilo biografico di Giusto Corbani
Nasce il 21 novembre del 1918 nel Comune di Grumello. Si trasferisce a Pizzighettone e, dopo aver frequentato l'accademia di formazione per gli istruttori di educazione fisica, intraprende l'insegnamento di tale disciplina presso gli istituti medi secondari. Si coniuga con la dottoressa Brunilde Boldori, figlia del primo caduto del campo di resistenza al montante fascismo, Attilio Boldori.
I Boldori, vale a dire la vedova ed i figli, appunto Brunilde e Comunardo (divenuti orfani in tenera età per mano assassina di una squadraccia farinacciana) si trasferiscono all'inizio degli anni quaranta a Pizzighettone e mettono a frutto le loro lauree (in Chimica la prima ed in Scienze Economiche il secondo) con l'impiego presso la fabbrica-paese per eccellenza (Star-ENKA-ATA-PIRELLI-SICREM). Brunilde come responsabile del reparto ricerche chimiche e Comunardo (nome di battesimo originario cambiato d'ufficio ad opera del regime in un più tollerabile Giuseppe) come dirigente amministrativo.
L'ossessiva dittatura avrebbe sbagliato i conti se avesse pensato di aver incapsulato nell'ordinaria quotidianità lavorativa e domestica i due figli dello storico protagonista del movimento socialista, della cooperazione e della vita amministrativa.
Il dottor Comunardo, infatti, riesce, negli ambiti ristrettissimi concessi da un regime ormai indirizzato alla catastrofe e, soprattutto, da un occupante tedesco intenzionato ad un controllo assillante dentro e nei dintorni di una fabbrica di valore strategico, a catalizzare, su un cognome capace di evocare, ancora e nonostante le repressioni, slanci ideali, e su un'avvertibile volontà di azione, una diffusa ansia di capovolgimento di un ciclo durato troppo a lungo e di un conflitto dagli esiti tragici.
Sarà, sin dall'inizio a capo del raggruppamento politico e militare Matteotti operante dalla fine del 1943 nella zona dell'Adda. In tale veste stenderà e sottoscriverà il rapporto diretto all'Esercito Militare Alleato sulla dinamica della liberazione di Pizzighettone dall'occupante nazifascista.
Il primogenito di Attilio Boldori avrebbe potuto per ascendenza e per autonoma e riconosciuta statura professionale e morale, aspirare, come si diceva un tempo, a qualsiasi carriera. Ma, siccome lo stile non è acqua, avrebbe continuato nel lavoro di dirigente amministrativo; limitandosi, come abbiamo scritto in “Il socialismo di Patecchio”, al ruolo di consigliere comunale del Capoluogo di provincia e ad una intensa militanza socialista.
Per quanto operante in ruoli autolimitati per scelta autonoma, la sua figura era dotata di un forte potere evocativo; talmente forte da allarmare l'establishment conservatore locale e da portarlo ad una sistematica azione volta a neutralizzare il grande seguito popolare.
Soprattutto, attraverso l'ingerenza religiosa nella vita istituzionale e la calunnia.
Di cui si ebbe un vistoso gesto di recrudescenza alla vigilia del terzo election day dell'autunno del 1946, in cui rientrò l'elezione diretta del Consiglio Comunale di Pizzighettone.
Ebbene, in tale vigilia il fronte clerico-conservatore non andò tanto per il sottile e non esitò a mettere in campo sventagliate di prediche e (prefigurando le gesta di don Camillo) a produrre affissioni (notturne) calunniose dirette al capo riconosciuto dell'antifascismo e del socialismo pizzighettonese (il cui torto, gettato come una palla avvelenata nella disputa elettorale, era stato quello di aver contratto un matrimonio civile).
L'offensiva violenta e calunniosa non avrebbe avuto gli esiti sperati; perché nelle urne avrebbe nettamente prevalso il campo progressista.
Ma, per un gesto beffardo del destino che già tanto si era accanito sui Boldori, Comunardo sarebbe scomparso meno di un anno dopo.
A Pizzighettone avrebbe continuato ad operare e a vivere Brunilde che si sarebbe coniugata con il giovane professor Giusto.
Il quale si sarebbe molto ben integrato nella comunità pizzighettonese. Chi scrive, essendo stato suo allievo all'epoca delle superiori, ne ricorda il piglio inflessibile che non ammetteva (anche col deterrente simbolico del ricorso ad un suo inappropriato ma molto convincente delle barre lignee) comportamenti neghittosi.
Nonostante, la comune condivisione ideale e la comune militanza che incorporava la frequentazione della sezione socialista.
Il professor Giusto veniva sin dal primo approccio percepito come una personalità rigorosa nei principi e nei valori e verticale nei comportamenti e nella lealtà dei rapporti.
In politica e nella vita di ogni giorno. Ripercorrendo la memoria fotografica lo ricordiamo partecipe delle assemblee e dei direttivi socialisti con un profilo di umile (ma determinato) partecipe. Ma lo ricordiamo anche negli squarci di rilassata quotidianità. Con il medesimo cerchio magico (Aldo Sanasi, Rino Ottoboni, Andrea Perini, Zambarbieri, Dario Cipelletti) impegnato all'imbrunire della bella stagione ai tavolini del Bar Centrale di largo della Vittoria o nei dopo-cena nella saletta delle carte e del biliardo della Gina. Una piccola comunità di amici (e di compagni) intenta, al di fuori di qualsiasi pretesa esclusivista, nei più ordinari passatempi e nel rapporto più diretto con gli altri avventori.
Frequentavo anche i Corbani/Boldori nella casa di viale Risorgimento, quando ero chiamato, su input del segretario di sezione (il dirimpettaio Piero Cabrini) a recapitare corrispondenza e stampa di partito o a sottoporre preventivamente la bozza (procedura resa quanto mai indispensabile considerata l'irrequietezza dell'estensore) di qualche giornalino giovanile in itinere.
Si trattò di una frequentazione mai diradatasi, nonostante il cambio di residenza e la divaricazione determinata dagli approdi professionali. Un po' perché frequenti erano le riunioni e, soprattutto, perché incrociare il professor Giusto non era, considerata la sua abitudine di vivere nella comunità, esattamente un'impresa.
Poi gli incontri si diradarono. Come conseguenza del suo inaspettato ritiro dalla vita amministrativa e, come appresi, data la ben nota riservatezza della famiglia, dalla soffiata di un medico ospedaliero, dall'incipiente malattia.
Mi recai a trovarlo alcune volte durante la degenza, rispettando la consegna di non sforare minimamente la privacy della natura e dell'evoluzione della patologia.
Semplicemente ripercorrendo i comuni trascorsi politici. E, venendo a capo, poco prima che scomparisse, dell'irrisolta motivazione del passaggio del testimone.
Che era, dal lato ufficiale, la volontà di ringiovanire i ranghi dei roster amministrativi e, dal lato più intimo (lasciato coperto, per evitare polemiche), il disagi di un cambio di alleanza (con un nuovo partner che in passato aveva mostrato una propensione politically incorrect e, soprattutto, nell'assenza di un'autosufficienza numerica della giunta).
Per un protagonista, che aveva fatto dell'efficienza dell'azione amministrativa una priorità (anche rispetto ai calcoli di partito), era un calice non potabile.
Da sottolineare, da ultimo che, durante i restanti dodici anni di vita in cui, anche se diradò la partecipazione, non disertò la militanza socialista, non s'impicciò, come è abitudine inveterata di quasi tutti gli ex, con ammonimenti e consigli rivolti ai successori.
Ed anche ciò dice del tratto e dello stile comportamentale dell'uomo.
Il cui percorso esistenziale si sarebbe concluso il 6 novembre 1989.
Nel darne notizia L'Eco del Popolo (n.8 e 9 Dicembre 1989), che allora dirigevo e che continuo a dirigere e ad editare sia pure on line, scriveva: “Non è facile capire cosa ha rappresentato in vent'anni di impegno politico e amministrativo resi al partito e alla comunità di Pizzighettone. Ci limitiamo a ricordarne la figura così come la vuole ricordare la gente e i compagni di sezione che hanno vissuto con Giusto momenti di grandi affermazione della presenza socialista nel paese. Nella vita di relazione professionale, politica e pubblica, Corbani ha sempre dato prova di elevato senso di responsabilità, di onestà intellettuale e ideale, che rappresentano il vero messaggio morale che noi tutti raccogliamo come la più preziosa delle eredità.
Stimato insegnante, ha saputo farsi apprezzare soprattutto dai giovani che hanno avuto la fortuna di ricevere i suoi orientamenti educativi. Impegnato nella politica, ha saputo mantenere elevata la funzione lasciandosi sempre guidare dai valori della libertà, della giustizia, della solidarietà tra gli uomini e fra i popoli.
Sindaco di Pizzighettone dal '64 al '76, ha saputo imprimere un deciso impulso in favore di grandi realizzazioni nel campo delle opere pubbliche e dei servizi collettivi.
Lo sviluppo della comunità di Pizzighettone reca ancora oggi l'impronta dell'azione di Giusto Corbani, Sindaco stimato non solo dai socialisti ma ammirato dai suoi alleati e rispettato dai suoi stessi oppositori. L'opera di Corbani ha segnato un'epoca della storia dell'amministrazione che merita di essere ricordata, recuperata e valorizzata come esperienza di grande valore civile.”
Un annuncio stilisticamente non esente da rilievi in materia di una certa ridondanza retorica, sia pur impressa dalla percezione di una perdita incolmabile.
Un'enfasi non si sa quanto gradita dall'interessato. Ma, nella sua orditura, corrispondente ai suoi effettivi tratti idealistici ed etico-morali ed alla determinazione dei sopravvissuti (non ancora orbati dell'agibilità politica) di perpetuarne l'eredità ideale e morale.
In tale eredità ricopre un ruolo preminente l'assoluto primato, nella gerarchia delle opzioni, dell'efficienza del governo locale, come strumento del perseguimento del superiore bene comunitario.
Equilibri durati mezzo secolo si sono rarefatti nell'ultimo quarto di secolo. Ed è ben lungi da noi l'ansia di rimpiangerli e di riproporli più o meno surrettiziamente.
Se si parte da questo presupposto e se si sta lontani dai pericoli di una forzata simmetria tra cicli imparagonabili, allora non è impossibile accertare una certa conseguenza tra quell'eredità trasmessa e le scelte di chiara impronta “civica” degli eredi.
Non è un caso se, sia pure con sottolineature diverse, ci incontreremo venerdì 3 gennaio alle ore 11 al cimitero di Pizzighettone per accomunare nel ricordo i due esponenti della vita pubblica pizzighettonese.
In questo spirito di memoria istituzionale e civile parteciperanno il Sindaco Luca Moggi, la folta schiera degli amici di Fulvio ed una rappresentanza della Comunità Socialista del Territorio Cremonese.
Dell'evento daremo conto in una successiva edizione, in cui completeremo la rilettura di quel periodo.