Stare sul “pezzo” impone un subtotale aggiornato dello stato dell'arte dell'affaire che incombe sul mondo.
La cui percezione e le cui derivanti consapevolezze non possono prescindere né dal dovere di bandire, nella formazione di convincimenti minimamente accreditati, sia l'impulso a far buono qualsiasi spezzone di notizia sia il fastidio di sottoporre la progressione del pensiero alla verifica dei precedenti storici.
Diciamo che le dinamiche di questa inaspettata (almeno nelle dimensioni e nei potenziali deragliamenti) crisi internazionale assomigliano molto ad un reset di tanti assiomi e di tante interpretazioni scaturiti dal pensiero debole (che da troppi anni ha fatto strame del dovere di aderenza ai fatti e ai processi storici consolidati).
Non proprio azzerando i precedenti addendi, ispirati all'analisi facilior e controfattuale, il prosieguo di qualsiasi anali non potrà prescindere dalla presa d'atto, come abbiamo appena premesso, della quiescenza di certi ancoraggi, dimostratisi fallaci.
”Non abbiamo raccontato bene l'Europa. Abbiamo scambiato il benessere per la pace, ci siamo confusi con la scomparsa delle ideologie e abbiamo immaginato che bastasse spegnere il conflitto.E, siccome ci troviamo a riflettere nel contesto che ne è diventato l'epicentro (non solo dialettico), cominceremo col citare una riflessione, da noi ritenuta un caposaldo dello scenario e ad un tempo una linea guida per una progressione feconda. Ci riferiamo all'ultimo editoriale de L'Espresso del direttore (dimissionario) Marco Damilano; quando afferma: “
Proseguendo col chiedersi dove si è sbagliata la narrazione di un'Europa buona e progressista, destinata a crescere senza strappi e nuove guerre.
È cominciata un'altra storia europea nella consapevolezza che non ci può essere pace senza libertà e senza giustizia.
Principi e valori, che a ben vedere, costituiscono, dal lato delle aspirazioni e della testimonianza della nazione ukraina il tracciato di un processo di convergenza ed armonizzazione di forte valenza strategica e, dal lato dell'antagonista, esattamente l'opposto.
Proprio perché in esso intravede il pericolo mortale (per il suo modello primordiale, pervicacemente ancorato al rifiuto di salire sul treno della modernità dei costumi e del sistema socioeconomico) derivante dalla potenziale esportazione delle odiate democrazie liberali dei diritti. Come ha scritto Buccini.
Considerazioni queste difficilmente controvertibili, se non con sprezzo del ridicolo
La crisi ucraina ha aperto nuove consapevolezze nel sentiment europeo, che osiamo sperare non si dissolvano troppo rapidamente col venir meno del contesto scatenante. Annotavamo che l'UE, bon gré malgré, sta trovando, sia pure con qualche difficoltà, una compattezza e nei toni e forse anche nelle consapevolezze.
Speriamo anche nei propositi. Che non possono non affondare i perni nel percorso della costruzione unitaria.
La garanzia più organica e più solida immaginabile della pace in Europa, garanzia di pace anche verso la Polonia e la Russia. Mi si accusa di eccessivo americanismo, ma io mi sento uomo libero anche di fronte all'America. Si è invocata un'iniziativa italiana. L'iniziativa è questa: l'Europa”Consiglio nazionale DC 29 GIUGNO 1953Nel suo intervento alla Camera il premier Draghi ha citato De Gasperi. Il premier dell'avvio della ricostruzione e della Repubblica, il facitore dell'unità europea e l'ispiratore del progetto per la difesa europea, la CED. Che avrebbe dovuto o potuto essere, a meno di dieci anni dalla fine del secondo conflitto, l'esercito comune europeo. Il versante, insieme alla politica estere ed rilancio economico continentale, più rimarchevole di una armonizzazione convergenza destinata ad escludere altre guerre. “
Diciamo che dell'argomento, una volta espunto, 70 anni fa, dall'agenda corrente e tutt'al più relegato nelle rimembranze vaghe, tutto si può dire che abbia aleggiato sugli scenari successivi.
Anche se di tanto in tanto incombeva sulle consapevolezze a livello di occasione mancata, per dare un senso e una sostanza al valore strategico dell'unità continentale.
In realtà, nella prima metà degli anni 50 del 900 il tema, apparentemente esordito come profilo identitario e coesivo, costituì, al di là delle buone intenzioni, un pretesto per regolare vecchi conti (anche all'interno dell'asset dei potenziali partners della convergenza europea) e per mettere le mani avanti. Nell'intento di configurare un'unione politica a bassa intensità, che non sacrificasse i latenti bassi istinti nazionalisti e non pregiudicasse il profilo mercantilistico del progetto di convergenza e di armonizzazione.
Ne sarebbe nata un'unione più dei mercati e dei capitali che non dei popoli.
Gli scenari odierni sanzionano severamente quegli attriti frenanti. Che continuano a privare l'UE dei due requisiti fondamentali della politica estera comune e della difesa comune.
Ne abbiamo scritto quindici anni fa in Il Socialismo di Patecchio. Da cui stralciamo e alleghiamo in pdf il capitolo dedicato, appunto, alla CED.