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Focus Ponchielli/4

Chi immolerà la pax consociativa?

  20/09/2020

Di E.V.

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Sempre biasimevole l'uso dei nomi per artificio dialettico! Già, ma sono pochi coloro che, pur non essendo in pericolo di noncuranza, vi resistono. Noi, di tanto in tanto,vi indulgiamo.

Ma, diteci come si fa a non triangolare un cognome (che sembra fatto apposta), una location (delle querelle) servita su un piatto d'argento, una irripetibile simmetria di trame metaforiche e di destini ipotetici ma non improbabili….?

L'incipit per il fantasioso azzardo trae spunto dall'annunciata ripresa dell'attività, da tempo sospesa causa lockdown, del teatro con un'immaginaria mise en scène del pezzo più amato dagli appassionati del balletto. 

Non già la celeberrima opera (dal finale lieto) di Pëtr Il'ic Cajkovskij; bensì l'assolo coreografico (dal finale, invece, tragico) di Michel Fokine sul brano musicale di Camille Saint-Saëns (La morte del cigno).

Perché, mettendo le mani avanti, una vicenda, non risparmiata, come ogni dossier dei contesti contemporanei, dalla prevalente polarizzazione personale, potrebbe concludersi, come appare da auspici pressoché universali, con un coup de théâtre.

Qualcuno, nelle baruffe che hanno tenuto la scena per un significativo periodo, appare già soccombente in questo primo game, quasi interamente assorbito dall'espletamento della precondizione, inimmaginabile qualche tempo fa, e fuori gioco alla fine del giro di questo primo tavolo.

Se le cose fossero state e fossero chiare e trasparenti, a tale parte, almeno in teoria, spetterebbero l'esercizio critico ed il controllo del prosieguo, mentre agli investiti di potere decisionale competerebbero delle conclusioni coerenti con le premesse.

Tertium non datur; a meno che le parti in causa volessero e riuscissero ad armonizzare l'analisi del problema e a convergere sul da farsi.

Del che, per come si sono messe le cose, non appare neppure l'ombra. A meno che a servizio di tale percezione si voglia suffragare lo speech secondo cui la mediazione accettabile passerebbe per un atto sacrificare dal forte valore didascalico.

Che sarebbe, appunto, il rientro, dall'orizzonte delle opzioni in campo, della candidatura “forte”.

Non è stato detto e non si dice che il fuoco di sbarramento ad alzo zero, che ha fin qui caratterizzato le controdeduzioni allo snodo impresso dagli orientamenti del Sindaco e dalle testimonianze del Consiglio di Amministrazione (a maggioranza), cesserebbe.

Anche se si lascia intendere che la persistenza (fino alle estreme conseguenze) della candidatura al rimpiazzo del titolare sarebbe inaccettabile sia per il significato di una discontinuità sistemica sia per il valore simbolico sottointeso.

Insomma resterebbero in campo tutte le critiche, ma la fine del nobile pennuto sarebbe in grado non di generare le emozioni e immaginazioni sceniche, bensì di giustificare agli occhi di un'opinione, frastornata dai toni forti della disputa,  un risultato apparentemente no contest. Insomma, una sconfitta temperata per le voci continuiste e una vittoria mutilata per i discontinuisti.

Questo epilogo, giocato sul terreno della polarizzazione personale, presenterebbe una falla di non poco conto. Che, a prescindere dall'archiviazione di un modello durato trent'anni, mantiene una dissolvenza sulla volontà reale di metabolizzare il cambio di fase.

Siamo giunti ad un punto tale che neanche i tanti, stretti famigliari della Sovraintendente avviata al trattamento pensionistico, scommetterebbero un penny sull'ipotesi di far rientrare il dentifricio nel tubetto.

Ma non v'è chi non veda nel concept di questa resistenza l'individuazione di un punto d'approdo immaginato, a misura della delegittimazione dei players principali e un recupero di margini di condizionamento  di impronta consociativistica.

Capaci di che allungare, come si suol dire, il brodo delle contrapposizioni, nei tempi brevi, e, nei medio-lunghi, di assicurare, per un profilo gattopardesco dell'operazione, il mantenimento del modello che ha ispirato il terzo di secolo del teatro (sic) comunale.

Per oltre trent'anni, come abbiamo considerato nei precedenti approfondimenti, le vicende gestionali del Ponchielli sono rimaste consegnate ad un contesto paludato e senza tempo, prerogativa di un ristretto circolo di addetti, inconsapevoli od incuranti della natura istituzionale, ma ben determinati ad esercitare un'autoreferenzialità al riparo di qualsiasi dovere di rendicontazione.

Poi, come abbiamo titolato qualche giorno fa, i nodi sono venuti al pettine; con modalità inusitate ed inimmaginabili nel passato remoto e recente. 

Fino al punto, come osserveremo, di lambire, su per li rami, i piani alti del potere politico ed istituzionale e di provocare un effetto domino. Rispetto alla specifica questione del Teatro, ma anche ad una visione più generalista alla base dei poteri istituzionali cittadini.

La querelle, volendo consegnare lo scontro ad una percezione minimalista, non ammette turning point che non siano ispirati  dalle premesse e dalla coerente progressione.

Nelle premesse enucleiamo, sia pure sbrigativamente, il complesso, non certamente virtuoso e degno di essere tramandato né ai posteri né al futuro management, dei rilievi dell'organo amministrativo (scelto dal Sindaco).

Tardivi rispetto ai rumors circolanti sulla piazza, ma che non lasciano scampo all'immaginazione.

Né ad una percezione sminuente quando non addirittura di insussistenza, in vista di una classificazione di tenuità, funzionale tanto alla derubricazione di culpa (formale o morale che fosse) in vigilando né alla pretesa, di mantenere ruolo ed autorevolezza nei mutati scenari.

Il che comporta delle consapevolezze che, ben lungi dal gettare croci sui coinvolgimenti, diretti od indiretti, pongono per il futuro questioni nette di impassable line.

Anche a costo di mettere in discussione assetti e partnership, che dimostrassero di non reggere all'evidenza di sistemi amministrativi incompatibili con la proprietà pubblica e di intelaiature rese insostenibili dall'assottigliamento delle fonti, dai mutati stili comunitari discendenti dalle restrizioni relazionali, dal dovere di metabolizzare che la premiata istituzione teatrale è importante ma, fortunatamente, non l'unica del panorama cremonese.

Considerazioni queste da cui non è difficile evincere la consapevolezza dell'impraticabilità di un turning point che si limitasse esclusivamente al cambio della figura sovrintendenziale.

Da questo punto di vista, appaiono quanto meno azzardati sia l'investitura di un candidato talmente “forte” da spiazzare qualsiasi alternativa sia la procedura, in sé non peregrina, dell'affidamento della selezione ad una primaria agenzia di cacciatori di teste specializzata nell'individuazione di candidature sostenibili. 

Premesso che la consulenza comporta un certo esborso e che non c'è garanzia assoluta che il soggetto del consulting non disdegni il compiacimento del dante causa, sarebbe utile sapere se alla base della ricerca il vertice della Fondazione abbia indicato un asse su cui attestare il rilancio del teatro.

Perché, al di là della veste formalmente pubblica dell'istituzione (e della fonte che ha dispensato e dispenserà gli incarichi), c'è, nel divenire di questo lasso di tempo, veramente poco che giustifichi la natura “comunale” di un'impresa, che ha assorbito ingenti risorse (attinte prevalentemente dal bilancio comunale) e che ha restituito assai poco sul terreno dell'apertura alla fruizione sociale, di sinergie tra tutte le risorse culturali ed artistiche della città e, se non proprio, di una completa autosufficienza (irrealistica per il rango artistico dell'istituzione), almeno di un'aliquota complementare di produzione artistica in house.

Per anni inascoltate voci nel deserto hanno sottolineato l'ineludibilità di un senso di attenzione a tutte le istituzioni artistiche e teatrali operanti nel Capoluogo e nel territorio.

Alcune, come evidenzia il paginone (foto sotto) pubblicato oggi dal Corriere della Sera di presentazione dell'imminente Stradivari Festival, sono percepite dalla cultura nazionale come di rango addirittura superiore al Ponchielli.

Perché non tenerne conto? Perché non immaginare di coinvolgere nella direzione teatrale le figure che hanno dimostrato professionale e talento, in altre primarie istituzioni lombarde e nella loro città di residenza e di attività professionale?

C'è, infine, una questione politica molto più ampia.

Che denuncia una vistosa inadeguatezza della “casa madre” (il Comune) a fronteggiare una congrua visione globale delle politiche culturali della città.

Perché volendo e dovendo essere franchi, ci pare pleonastico affermare che da almeno trent'anni (se si eccettuano brevi scansioni, in cui non abbiamo remore a citare il binomio Corada/Berneri) il Comune di Cremona è manifestamente privo di organiche e sostenibili strategie oltre che di incontestabili e netti mandati gestionali.

Non abbiamo difficoltà alcuna ad ammettere che l'attuale Sindaco avrebbe tutte le caratteristiche per aspirare anche all'incarico di titolare del MIBAC. Ma, altresì, ci pare dover osservare che l'accoppiata del ruolo di primo cittadino e di assessore di un segmento gestionale di primaria ed esclusiva importanza possa avere avuto un peso nelle amnesie e nelle sottovalutazioni di una situazione, emersa tutta d'un tratto.

Per di più l'anomala assegnazione degli incarichi assessorili è stata oggetto di conferma e di ulteriore parcellizzazione (con la conseguenza messa a punto delle strategie).

Che la realtà sia poco difforme da questa sensazione viene dimostrato dall'inaspettato e, per gli standards della seconda e terza repubblica ispirate dal nichilismo progettuale, stupefacente endorsement del “federale” dem, fin qui restato molto ai margini dell'esercizio di un potere politico e di conduzione (peraltro del tutto aleatori in un movimento destrutturato, alleggerito ed illiquidito come il PD.

Non si esclude che nella ratio dell'esternazione (amplificata dalla circostanza che in Giunta siede il segretario cittadino per dì più con la greca di assessore alla partita) abbia avuto un qualche peso la necessità di un aggiustamento di vicende interne (messe in evidente criticità dagli splafonamenti “creativi” del Conductor, da sempre abituato a sfuggire ai condizionamenti del pur sempre senior partner).

Ma queste congetture, in parte ai margini del tema, impegnano solo l'opinionista. Mentre non si presta ad interpretazioni stiracchiate quella testimonianza del segretario provinciale dem a favore di “un nuovo progetto culturale per la città e per il territorio”.

Benvenuto; a bordo c'è posto per tutti coloro che vogliano essere consapevoli della realtà e del modo più congruo per affrontarla. 

L'affaire teatro comunale ha guadagnato la tripla A dei riflettori sia per il richiamo della notorietà che per la chiassosità della baruffa.

Si sarà notato che per carità di patria non abbiamo tirato in ballo alcune delle recenti recriminazioni relative a presunti patimenti.

Hai bene da appellarti alle potenzialità di Cremona città della musica, della violino, della liuteria. Hai bene da recriminare contro il destino cinico e baro che, diversamente da Mantova ed in prospettiva Bergamo e Brescia, ti nega riconoscimenti in parte alla portata ma non supportati né dal peso specifico della politica né dalla stazza del retroterra di solidità.

Meglio tirare una riga su questi effetti ottici e ricondurre, se non ci si vuole incamminare verso una débacle totale, nel campo del realismo. E nel campo più vasto di una visione strategica in cui il Teatro Comunale deve essere percepito come un asset di prestigio ma non l'unico e non l'esaustivo delle risorse e delle attenzioni.

Come, per qualche verso, appare implicito nella raccomandazione del segretario dem.

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