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Filastròca de ‘l Nadàal “covid” 2020, "Auguri" e "Natale a pranzo e a cena (come ai tempi di Aiazzone)"

Tre versioni del Natale ai tempi della pandemia

  28/12/2020

Di Redazione

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Già, quest'anno il tormentone della ricorrenza, arricchito dagli spunti offerti dalla “seconda ondata”, era partito con largo anticipo, con un esagerato ricorso alla grancassa mediatica e, soprattutto, con l'attivazione del Grande Barnum politico. Sull'irrefrenabile impulso a mettere le mani avanti. Rispetto sia all'intangibilità di un consolidato modulo celebrativo fuorviato e smodato sia, sisammai, al dovere civico di contestualizzarla nel tempo della pandemia.

Sul punto diremo la nostra, non prima, noblesse oblige, di cedere il passo a due importanti contributi di due collaboratori destinati a diventare fissi nell'asset editoriale della nostra testata. Ci riferiamo al poeta vernacolare Giacinto Zanetti e a Sante Gerelli, la cui testimonianza in prosa potremmo iscrivere nell'amarcord della bassa cremonese. Dice già molto, tanto è venuto a noia una celebrazione tanto stentorea quanto manifestamente incongrua agli intimi valori, il fatto che la nostra testata se ne occupi a festa passata.

Lo sforzo di collocarla nel suo giusto valore è assistito dal contributo di Zanetti e Gerelli.

FILASTRÒCA DE ‘l NADÀAL “COVID” 2020

 

Istàn el me presépi el me fà péena: 

el bóo e ‘l azenìin j è stàt mìis in quarantéena.

Marìa è San Giüzèp, cun sö la mascherìna, 

i pulìs la gròta cun àqua e candegìna.

 

Metà de li statüìni j è a lét cun el fevròon,

l'àltra metà in fìila a fà  ‘l tampòon.

Butéeghe e usterìe j è töte saràade sö;

e ‘l còoro de j angelìin el càanta pö.

 

I pastùur i mèena gnàan' li péeguri a pasculàa:

“giretto autorizzato” se ‘l càan el và a pisàa.

E ‘ndàa in gìir a “ Betlèm “  ‘l è fóora discüsiòon,

e per fàal tùca vìighe l'autorizasiòon.

 

Ànca i zampognàri i póol mìia sunàa nièent

per mìia straminàa el “virus” in de ‘l vèent.

 

El Bambinél el vàarda e ‘l dìis “ Che cunfüziòon: 

en dè sùumtum giàalt e che ‘l àalter aranciòon”.

Quàant rìiva i Re Màagi, magàari a pée,

scàta la zòona rusa e i decìit de turnàa indrée.

 

Cremona, 2 dicembre 2020

(testo originale 

 di Giacinto Zanetti)

L'autore

Giàcinto Zanetti, dopo aver prestato servizio per trentanove anni come maestro elementare, di cui gli ultimi ventidue presso la scuola di Bonemerse, ha prolungato la sua attività insegnando il dialetto, come opzionale, presso le classi quarte della Scuola Sacra Famiglia di Cremona. Ama comporre poesie in vernacolo e da fine dicitore le propone negli incontri richiesti da varie Associazioni, organizzati dal gruppo, a cui da tempo ormai appartiene, El Zách.

Quest'anno il mio presepe mi fa pena:

il bue e l'asinello sono stati messi in quarantena.

Maria e San Giuseppe, con la mascherina, 

puliscono la grotta con acqua e candeggina.

Metà delle statuine sono a letto col febbrone 

l'altra metà in fila a fare il tampone.

Botteghe e osterie sono tutte chiuse

e il coro degli angioletti non canta più.

I pastori non portano  le pecore a pascolare:

“giretto autorizzato “ se il cane va a pisciare.

E andare in giro a Betlemme è fuori discussione:

per farlo bisogna avere l'autorizzazione.

Anche gli zampognari non possono suonare la piva

per non disperdere il “virus “ nell'aria che arriva.

Il Bambinello guarda e dice “Che confusione: 

un giorno siamo gialli e quell'altro arancione". 

Quando arrivano i Re Magi, magari a piedi o col cammello, 

scatta la zona rossa e decidono di tornare al paesello.

(testo tradotto 

 da Clara Rossini)

 

Clara Rossini, figlia del primo Sindaco socialista del dopoguerra Gino, coniugata Zanetti (l'autore), è stata come lui per lunghi anni insegnante elementare. Forse ispira più facilmente il vernacoliere e, sicuramente, ci è di grande aiuto, nella traduzione in italiano (concepita all'insegna di una divulgazione parallela)

Abbiamo ricevuto da Sante Gerelli e pubblichiamo molto volontieri

E, da ultimo, un nostro corsivo sull'accelerazione, impressa come acutamente segnala il senior partner di questo patchwork, della deriva del significato primo della ricorrenza per la sensibilità dei credenti e del significato culturale e civile, lato sensu. Un'accelerazione ed un'estensione, a mente di quanto abbiamo scritto nell'incipit, in cui ha intinto il biscotto il complesso di percezioni e di scomposte esternazioni scatenato dalla non inimmaginabile elaborazione di come avrebbe dovuto il filotto diqueste festività natalizie e di fine anno. Avendo colto il perno prevalente dello speech intitoleremo, un po' scherzosamente:

Natale a pranzo e a cena (come ai tempi di Aiazzone)

L'ombelico della querelle della resilienza pandemica è rappresentato dall'apertura dei ristoranti a Natale a pranzo e a cena (come recitava lo slogan del telebanditore Guido Angeli per conto di Aiazzone). Si era trent'anni fa nella piena premessa di quella scalata iperconsumistica, che, tra i vari disastri strutturali all'economia ed agli stili di vita, non si è più praticamente arrestata, né corretta. Neanche ai tempi della maggior catastrofe dal secondo dopoguerra. Ci limitiamo ad esporre un piccolo campionario degli outing più agghiaccianti: “Ridateci il Natale: commercianti, industriali e cittadini “ scandivano qualche giorno fa sul  quotidiano La Provincia. “Un Natale da prigionieri”, denunciava un leader di prima fila del centro-destra. A dimostrazione della nostra indipendenza, siamo costretti a dar conto di una testimonianza, che ci addolora. Ci riferiamo alla ministra dell'Agricoltura Bellanova, la quale perentoriamente ha dichiarato, a margine di una riunione di maggioranza, che della chiusura dei ristoranti durante le festività non se ne parla proprio. Sillabando l'irrinunciabilità dell'accessibilità al piacere ristorante sia a pranzo che a cena. Anche se è sempre disdicevole fare il verso ai cognomi e agli inestetismi (fisici), non resistiamo, non prima di aver dichiarato la nostra simpatia per i trascorsi politici e sindacali, alla tentazione di esortare la Ministra a non intervenire in conflitto di interessi e a non ignorare le controindicazioni di insistiti festeggiamenti gastronomici. Soprattutto, su costituzioni fisiche “importanti”; che consiglierebbero stili alimentari ed approcci di  onvivialità, più consoni. Per il vero, a dimostrazione di una certa condotta comunicativa in palese contrasto con le ascendenze comuniste e cigielline, aggiungeremo che la ministra alle politiche agricole si è rivolta all'imprenditorialità agricola padana, insignendola del riconoscimento di eroismo. D'altro lato, nei tempi della pandemia, un sigaro, una commenda e il titolo di eroe, come avrebbe detto Giolitti, non si nega a nessuno. Figurarsi poi se, come nella fattispecie, ministri/e di bassa levatura farebbero carte false pur di intercettare consensi. Il Natale, diciamolo francamente, sterilizzato, nei due denni della globalizzazione, sterilizzato dal suo significato; così alimentando confronti sopra le righe. Alcuni precedenti tormentoni furono innescati, da una parte, dagli avamposti del  politically correct nei confronti dei doveri di un'accoglienza, talmente dogmatica da annullare la tradizione e la cultura dei “nativi”. Dall'altra, da una decisa  rivendicazione (vedi il presepe al cimitero) di una lettura talmente conservatrice della tradizione, da umiliare qualsiasi testimonianza di cultura laica. Sarà difficile far rientrare nel tubetto questo dentifricio, decisamente suscettibile di disassare ancor di più, di deprimere ancor di più le basi fondanti della cultura civile. Preferiamo, in queste festività contraddistinte da una base di consapevolezze aderenti alla tragedia in corso, restare aderenti al personale ricordo di un Natale ispirato all'insegna della spiritualità ma anche di una condivisione famigliare ispirata da una certa compostezza, forse severità, che, pur nell'aspirazione a godere delle piccole gioie della convivialità, poco o nulla concedeva alla gozzoviglia. Bramata, nell'accantonamento del pensiero delle 70 mila esistenze sacrificate dal virus e della permanenza dell'immane dramma umano, e diventata incontenibile. Ci rifacciamo, noi non credenti, alla testimonianza  ell'arcivescovo di Milano Delpini, che definisce il Natale 2020 “tempo di pandemia e di emergenza dello spirito”. Semplicemente, va ripensato, insieme alla declaratoria comportamentale del presente, soprattutto il futuro. Che non potrà essere la continuazione del passato.

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