Le elezioni si possono vincere o perdere...
Le ha perse addirittura Winston Churchill. Lo statista inglese fu battuto nel 1945 dal laburista Clement Attlee; eppure, aveva resistito impavidamente a Hitler e aveva vinto la guerra. Ma la sconfitta del 25 settembre costituisce una sorta di presa d'atto di una morte annunciata. Non si possono affrontare elezioni determinate dal maggioritario uninominale con un assetto politico da proporzionale. Il risultato non poteva che essere una sconfitta del centro-sinistra e in particolare del Pd la cui politica di alleanze aveva subito in precedenza una serie di scacchi.
È vero che anche in Svezia recentemente il centro-sinistra nel suo complesso ha perso le elezioni pur se di poco, e il Partito Socialdemocratico del primo ministro Magdalena Anderson ha addirittura guadagnato in voti e in seggi.
Il Pd invece ha perso voti sia verso Azione che verso i 5Stelle. Non aveva fatto i conti fino in fondo con la definizione, attraverso un programma, di una sua identità. E non bastava il riferimento al governo di Mario Draghi per coprire questo vuoto.
Il Pd deve lavorare a fondo per ricostruire da un lato un'identità (il termine democratico è onnicomprensivo e, nella situazione italiana non assicura un'individualità) e dall'altro un'aderenza ai problemi quotidiani delle cittadine e dei cittadini italiani. Tutto il contrario quindi di un regolamento di conti interno: sarebbe invece il momento di una costituente aperta verso l'esterno, di un vero nuovo inizio.
Qui la pietra d'inciampo è ancora una volta il riferimento al socialismo nei suoi vari nomi e articolazioni, di socialismo democratico, di laburismo, o anche, come diremmo noi in Italia, di socialismo liberale.
Ci fu un tempo, negli anni Novanta, quando la allora Comunità Europea aveva 15 paesi membri, che i socialisti erano nel governo di tredici paesi su quindici e ne guidavano undici. Non siamo certamente più in quei tempi e, va detto, i socialisti di allora non approfittarono quanto potevano di quella situazione. Oggi le cose sono cambiate perché troppe aree del socialismo europeo avevano riposto eccessiva fiducia nei risultati della globalizzazione nei paesi avanzati. Per le classi lavoratrici dei nostri paesi non ci sono stati quei benefici di reddito e di potere che erano attesi, perché delocalizzazioni e concorrenza al ribasso sul mercato del lavoro hanno agito negativamente, determinando l'ascesa di populismi e di sovranismi. Comunque, anche oggi, i socialisti hanno i primi ministri in Finlandia, Danimarca, Germania, Spagna, Portogallo, Malta e sono in coalizione nei governi di Slovenia e Romania (dove tra poco avranno il primo ministro), Belgio, Lussemburgo, Estonia.
Costruire un partito socialista oggi significa saper operare una sintesi tra ceti dell'innovazione eticamente orientati, e ceti popolari percorsi dalle disuguaglianze e dalle difficoltà conseguenti alla pandemia e alla guerra. Ivi compresi i problemi della sicurezza, che tanto incidono anche e soprattutto sui ceti popolari delle nostre città.
Si dirà che il nome socialista è impraticabile in Italia per la damnatio memoriae craxiana. Ma sono passati trent'anni dalla caduta di Craxi da un lato, e dall'altro non si è fatto molto per ricordare agli italiani chi fosse Willi Brandt (nome originario Herbert Frahm, Willi Brandt era il nome di battaglia assunto nella lotta antinazista) oppure Olof Palme o lo stesso Francois Mitterrand.
La mitologia del Pd italiano è legata ai nomi di due personaggi come Aldo Moro e Enrico Berlinguer, indubbiamente grandi e rappresentativi, ma legati ad un periodo politico, quello caratterizzato dal compromesso storico che è ormai lontano mille miglia dalla situazione politica italiana attuale. Al massimo nel ritratto di famiglia si affaccia anche la pipa
(*) già Vicesegretario Nazionale del PSI, Sottosegretario e Ministro della Repubblica, Presidente della Fondazione Rosselli.
Mauro Del Bue - Editoriale del 17 ottobre 2022
A proposito del Consiglio Direttivo del PSI
Cerco di offrire una descrizione il più obiettiva possibile di quel che é accaduto nel Consiglio nazionale del Psi di domenica 16 ottobre, convocato dal segretario Vincenzo Maraio per affrontare la situazione derivata dal risultato elettorale del 25 settembre. La sintesi della relazione del segretario é pubblicata in apertura. E non la riprendo. L'assemblea é stata presieduta dal compagno Lorenzo Cinquepalmi.
Il primo ad intervenire è stato Ugo Intini che, dopo aver dichiarato di essere contrario a roghi purificatori e alla ricerca di capri espiatori, ha proposto che il partito decidesse di fissare in tempi ragionevoli la data di un congresso straordinario formando subito un comitato di reggenza col potere di affiancare il segretario nella preparazione dell'assise congressuale. Sulla stessa lunghezza d'onda si sono schierati Del Bue, Bobo Craxi, Carugno, Repeti, Nencini, Crema, Cinti Luciani e diversi compagne e compagni. Contrari sono invece stati i compagni Cinquepalmi, Iorio, Silvestrini, Valvano, Verde e molti altri intervenuti. Mi scuso ma non posso citarli tutti, né i favorevoli né i contrari. Alla fine la compagna Pia Locatelli, in un accorato intervento, anticipato da quello del sindaco Capasso che aveva proposto la stessa cosa, ha pregato di evitare una conta che avrebbe generato divisioni e ferite difficilmente sanabili, e ha ipotizzato una sospensione dei lavori del Consiglio, chiedendo al segretario la disponibilità a non mettere in approvazione la sua relazione. La proposta é stata completamente accolta da Riccardo Nencini e parzialmente da Enzo Maraio che ha dichiarato la disponibilità a rinviare il Consiglio a data da destinare e con esso la nomina degli organi, chiedendo però un voto immediato sulla sua relazione. A questo punto diversi membri del Consiglio hanno abbandonato l'aula e i rimanenti hanno approvato la relazione del segretario. Da condannare poi un gesto di intolleranza compiuto da un compagno nei confronti di qualche esponente della Fgs che stava contestando il segretario con urla impedendogli così di proseguire la lettura della sua relazione. Questo parapiglia é stato poi inopportunamente filmato e postato sui siti. Questa la descrizione cruda dei fatti. Non mi porto oltre, perché il mio parere l'ho già esposto sull'Avanti e nel mio intervento, limitandolo ai cinque minuti pretesi dal presidente dell'assemblea.
Testo dell'intervento del Direttore dell'Avantionline al Consiglio nazionale del 16 ottobre
Condivido la decisione del segretario di aderire al sit in davanti all'ambasciata russa e di dir no alla partecipazione all'elezione del segretario del Pd, che non è il nostro partito. Avevo scritto una mail a Enzo invitandolo a presentarsi dimissionario a questo Consiglio nazionale, come fece Nencini nel 2018 per il deludente risultato della lista Insieme e come fece Boselli nel 2008 dopo quella scelta esaltante e disperata che ci portò come oggi fuori dal Parlamento.
Pensavo fosse anche nel suo interesse poter contare sulla fiducia che il Cn avrebbe potuto confermargli visto che un segretario si può eleggere solo a congresso. Sarebbe stato un atto di consapevolezza dell'amaro risultato elettorale.
Quel che avvenne nel 2008 ha poco in comune con quel che è avvenuto il 25 settembre. Nel 2008 fummo azzerati per un eccesso di orgoglio, il 25 settembre per una mancanza di orgoglio.
Vorrei che fossimo tutti coscienti del disastro a cui siamo andati incontro mettendo il nostro destino nelle fauci di un leone ferito. Non voglio qui soffermarmi troppo sui diversi orizzonti che mi ero premurato di indicare al partito a partire dal voto di sfiducia, reclamato anche tra gli altri da Ugo Intini, al momento della costituzione, nel settembre del 2019, del governo giallorosso che ci avrebbe portato a far da apripista di un percorso sfociato in una lista dove la maggioranza dei socialisti ha poi finito per votare.
Si é detto che un polo liberal democratico, che con noi sarebbe divenuto liberalsocialista, non si poteva fare per via dell'Alde. E noi in Europa, alle elezioni del 2018, abbiamo esattamente fatto quel che ci siamo vietati in Italia, cioè un'alleanza con Più Europa, che all'Alde appartiene.
Abbiamo costituto un gruppo al Senato con Italia viva e poi lo abbiamo subito derubricato a scelta tecnica come se un gruppo parlamentare fosse il progetto di un condominio e l'abbiamo spezzato al momento del voto di fiducia al governo del dicembre 2020.
Abbiamo rivendicato il Conte ter quando stava per nascere il governo Draghi, che mi ero permesso di indicare come soluzione già nel contestato, come spesso accade, editoriale del 31 dicembre 2020.
Abbiamo alzato le nostre insegne e ci siamo vantati del nostro simbolo e poi abbiamo accettato che né simbolo né nome fossero presenti nella lista concordata. Non é una cosa da poco. Nella cancellazione della parola socialista c'é la cancellazione di noi stessi. Che senso ha parlare di Democratici e progressisti (esistono gli antidemocratici e i regressivi?). La vertenza su questa parola dal 1989 a oggi è l'essenza della nostra esistenza. Non si vuole assumere il nome di socialisti, perché socialisti siamo stati noi. D'Alema disse dopo Tangentopoli che la parola “socialista” in Italia era diventata impronunciabile. Adesso D'Alema é diventato impronunciabile lui.
Pensate se per responsabilità del Pd diventasse in Italia impronunciabile l'aggettivo “democratico”. Che disastro sarebbe…Il mandato del congresso, con i distinguo introdotti da me e da Carlo Ubertini, candidato sindaco del Terzo polo a Rieti, cosi com'erano candidati di terzi poli Iacovissi a Frosinone e Zubbani a Carrara, dove abbiamo conquistato le percentuali migliori, il mandato del congresso era quello della costruzione di una lista del Partito socialista europeo. Abbiamo invece accettato la lista del Pd più Articolo 1 cioè dei democratici e dei progressisti. Accettando la nostra impronunciabilità. La negazione di noi stessi. Oltre al percorso che avevo indicato a partire dal 2019, se n'era intanto aperto un altro che avremmo potuto intraprendere visto che il Pd non intendeva riconoscere nel simbolo la nostra esistenza: un'immediata deviazione su Più Europa che con noi, lo dico col senno del poi, avrebbe superato il 3%. Ci ritroviamo con una piccola comunità socialista allo sbando, sfinita, delusa e arrugginita. E se il segretario chiede: “Volete continuare?”. Noi rispondiamo si. Ma con orgoglio e autonomia. Occorre oggi mettere in soffitta la politica di subalternità nei confronti del Pd (in preda a una preoccupante involuzione verso i Cinque stelle). Le mie proposte Convocare senza eleggere direzioni e segreterie pletoriche un Congresso nelle forme di una Costituente che associ tutti i socialisti e i riformisti i circoli, i movimenti, le associazioni, preceduto da un Manifesto sottoscritto da quanti ritengono essenziale che in Italia esista un partito socialista, autonomo e nelle condizioni di sviluppare alleanze dal centro alla sinistra riformista, senza vincoli e confini come penso avverrà nelle elezioni regionali del Lazio e della Lombardia. Un manifesto firmato anche da chi non è socialista ma ritiene la nostra esistenza fondamentale.
Ma dobbiamo dotarci di un programma di azioni provocatorie fatte anche da referendum sullo stile radicale per una difficilissima battaglia extraparlamentare. Lo facemmo con qualche successo dopo il 2008. Ad esempio un nuovo comitato per la democrazia.
Queste le percentuali di votanti in Europa: il 62 in Italia, il 78 in Germania, il 72 in Francia, il 67 regno Unito e il 66 in Spagna. Da paese che votava di più siamo divenuti paese che vota di meno. Per di più con una legge elettorale che non permette all'elettore di scegliere gli eletti. Abbiamo appena celebrato un congresso, si dice. I tempi della politica non sono quelli dell'orologio. Il Psi svolse un congresso nel gennaio del 1948 e uno nel giugno del 1948. In mezzo la batosta del Fronte popolare. Che peraltro raggiunse il 31% mentre oggi la sinistra é ferma al 25. E noi azzerati. Dire che non é opportuno fare un congresso per le conseguenze di una divisione, che non mi auguro, non é meno sbagliato di pensare a cosa sarà di noi senza un congresso di rilancio e di rifondazione. Saremmo più uniti ma sfiniti, uniti e solidali, ma votati alla fine.
Viene in mente l'aria dei due amanti condannati a morte nell'Andrea Chienier di Umberto Giordano che cantano “Viva la morte insiem”. Ma non é questo che desideriamo. Dobbiamo vivere perché la nostra storia lo pretende ancora. Abbiamo tre patrimoni originali e insopprimibili: una storia, una organizzazione territoriale e un folto gruppo di bravi amministratori. Abbiamo un'identità non l'ha assunta nessuno. Ma sappiamo che se non ci diamo una brusca svolta. Un cambio di marcia. Un brusco risveglio dopo l'incubo che abbiamo vissuto non ci sarà scampo. I giovani. Enrico Pedrelli e la Fgsi hanno approvato un documento coraggioso e duro. Se pensiamo di avere un futuro ripartiamo da loro, dalle loro idee, dalle loro suggestioni. Anche dalle loro esagerazioni. Io sono pronto a dare una mano, senza incarichi, e ad esprimere le mie idee per il futuro del socialismo riformista e liberale, in libertà e solidale con quella che è stata e sarà la mia sola e unica casa.
Mauro Del Bue - Editoriale del 22 ottobre 2022
A bassa voce, senza urla e spintoni, una riflessione. La lista Pd, democratici e progressisti, ha eletto, oltre alla quota Pd, 5 parlamentari di Articolo 1, un parlamentare di Demos, uno di Impegno civico, uno di Volt. Solo il Psi non ha avuto eletti. Alla luce di questo disastro da parte del gruppo dirigente del Psi non c'é stato il riconoscimento di alcun errore. Niente dimissioni, niente congresso, niente modifica di linea politica. È difficile perfino da crederci. Penso non sia mai successo nel Psi (nel 2008 Boselli si dimise e si ritirò dalla politica attiva, nel 2018 lo stesso Nencini presentò le dimissioni in Direzione poi respinte, e avevamo eletto due parlamentari). Ma neanche in alcuna delle forze politiche italiane. Ricordo che dopo le elezioni del 1972 il Psdi mise in minoranza Saragat e nel 1968 il Psi mise in minoranza Nenni. E che in ogni elezione andata come non si voleva la Dc cambiava il segretario. C'é chi sostiene che non avevamo alternative. Non é vero. Non tre anni fa quando con Intini proposi che il Psi non votasse la fiducia al Conte due (il che ci avrebbe consentito di diventare uno dei genitori della cosiddetta lista del Terzo polo), ma qualche mese fa quando ne parlai con Ricchetti, col mio vecchio amico Mario Raffaelli i rapporti sono sempre stati costanti, ed ebbi la testimonianza di una grande attenzione del movimento di Azione a un rapporto coi socialisti. Con Italia viva abbiamo composto un gruppo al Senato e figurarsi se avremmo trovato la porta chiusa. Si dice che Calenda non é venuto al nostro congresso. Cosa doveva venire a fare se il Psi aveva già compiuto un'altra scelta? La seconda alternativa poteva essere una veloce deviazione su Più Europa se volevamo restare nel centro-sinistra. C'era qualche giorno di tempo per concordare l'ingresso di 10-20 socialisti nelle liste. La terza alternativa poteva essere la presentazione in solitario della lista del Psi con la richiesta di un diritto di tribuna come ha fatto Impegno civico. Questa é la verità. Continuare a ignorarla non fa bene alla nostra comunità. Continuare a interpretare le osservazioni critiche come assalti alla diligenza e procedere con voti a, presunta, maggioranza non induce a sperare nel futuro. Perché se siamo morti, dobbiamo lavorare per una difficilissima resurrezione che, lo ricordo per inciso, é riuscita, pare, molte poche volte.
Ugo Intini
La sinistra ha bisogno di un partito che conservi la storia e la tradizione socialista (tratto da avanti online, come riproduzione non testuale, che tuttavia conserva la sostanza dell'intervento svolto al Consiglio Direttivo)
All'interno della catastrofe più generale, c'è la nostra. La moglie di tale Fratoianni è stata eletta parlamentare, il segretario del Partito Socialista no. Certo ciò è dovuto al caso e alla sfortuna. Ma non soltanto. È dovuto anche all'insensibilità politica di chi ha dato le carte. E di questo non ci dimenticheremo. Siamo diventati extraparlamentari. E come tali possiamo almeno dire la verità in modo provocatorio. L'unico modo d'altronde, specialmente per un piccolo partito, che consente oggi di penetrare sui media.
Tutti dicono che gli italiani hanno decretato il trionfo della Meloni e l'hanno scelta come capo del governo. Vero. Ma l'hanno votata 3 italiani su 19.
Cosa i leader del centrodestra pensino l'uno dell'altro lo abbiamo sentito dal labiale di Berlusconi e dal suo appunto. Cosa gli elettori pensino del centro destra ce lo dicono ancora una volta i numeri: lo hanno votato 7 italiani su 26. Può sembrare incredibile. Fate i conti considerando la percentuale record di astenuti, le schede bianche o nulle e le cifre sono esattamente queste. Nessuno lo sottolinea, perché tutti sono corresponsabili per una legge elettorale infame, che sta distruggendo la nostra democrazia. Una legge che dà una larga maggioranza in Parlamento a chi non l'ha affatto nel Paese e quindi rende le istituzioni non più rappresentative.
Veniamo adesso alla sinistra. Se il PD, come era doveroso e perfettamente possibile, avesse fatto approvare per tempo una legge elettorale proporzionale, oggi il centro destra non avrebbe la maggioranza parlamentare e probabilmente assisteremmo a una riedizione della coalizione che ha sostenuto Draghi.
Il PD ha un problema di identità, particolarmente grave in un tempo in cui i simboli e i brand assumono un valore decisivo. Le parole pesano e quelle che lo definiscono sono inefficaci per la loro vaghezza. Il partito di Letta si chiama “democratico”, ma chi mai si definirebbe “non democratico”? Si definisce “progressista” e spesso anche “riformista”. Ma tutti si presentano come progressisti e persino riformisti. Chi mai infatti si dichiarerebbe contro il progresso e le riforme? Anche Salvini è ad esempio per le riforme. Soltanto che considera tale la flat tax. Mentre noi vorremmo una riforma che elimini per gli italiani ricchi i paradisi fiscali. La Meloni poi è presidente del “Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei”. Bisogna intendersi su cosa siano il progresso e le riforme, non puntare su parole ormai vuote.
Un' unica parola è profondamente radicata nella storia e nella geografia, esprime una identità chiara e vincente in gran parte dell'Europa: “socialista”. Ma esattamente questa è l'unica parola con la quale gli eredi del PCI e il PD hanno sempre rifiutato di definirsi.
Forse la ragione sta nel “nuovismo”. Ma il nuovismo ha prodotto un risultato clamoroso. Tutti i simboli della prima Repubblica sono spariti dal Parlamento. Assolutamente tutti, anche i più gloriosi. Ultimo il nostro. Uno solo è rimasto ed è trionfante: la fiamma tricolore nata oltre settant'anni fa con il Movimento Sociale Italiano. Nata per tenere acceso, appunto come una fiammella, il ricordo e il culto del fascismo. A questo hanno dedicato l'intera vita politica e parlamentare, ad esempio, il presidente del Senato La Russa e suo padre prima di lui.
M5S, grazie al reddito di cittadinanza, abilmente propagandato da Giuseppe Conte, ha ottenuto un grande successo al Sud, anche se al Nord è praticamente sparito. Lasciatemi scherzare. Nell'Ottocento, a Napoli, venivano chiamati “lazzari” o “lazzaroni” i tanti che vivevano non di lavoro ma di espedienti. Il termine “lazzaroni” si è diffuso poi in tutta Italia. Ferdinando di Borbone è passato alla storia come “il re lazzarone”, perché trovava la sua base di consenso distribuendo sussidi e regalie esattamente ai lazzaroni. Giuseppe Conte ha preso oltre il 60% nei quartieri degradati di Napoli, dove è diventato il leader indiscusso. Si potrebbe definirlo non il re ma “il presidente lazzarone”. A parte gli scherzi, molti nel PD lo hanno scambiato per Melenchon e progettano di allearsi con lui. Ma Melenchon sarebbe stato preso a pernacchie se si fosse definito di sinistra dopo aver governato con l'appoggio della Le Pen, così come Conte ha governato con Salvini. Mai dovremmo accettare dunque una intesa, diretta o indiretta, con Ferdinando di Borbone junior. Questa è a mio parere la scelta politica che dobbiamo fare con chiarezza assoluta.
Se il PD ha una identità incerta, Azione di Calenda ce l'ha netta. Ma è quella di un partito liberale. Anche Calenda mai ha usato la parola “socialista2. Eppure il liberalsocialismo non è una astrazione estemporanea. Macron, che è il modello di Calenda, può certamente essere definito un liberalsocialista. Liberalsocialiste sono le politiche seguite dai partiti vincenti della sinistra in tutta Europa.
Lasciatemi aggiungere su Azione un'osservazione molto personale e “politicamente non corretta”. Mi trovo perplesso di fronte a un certo estremismo bellicista. Mentre il mio libro “Testimoni di un secolo” stava per andare in stampa, è esplosa la guerra in Ucraina. Ho perciò aggiunto un “post scriptum” che mi sembra tuttora valido. Abbiamo fatto bene -scrivevo-ad aiutare l'Ucraina contro l'aggressore russo. Ma abbiamo fatto male a scambiare la Russia per l'Unione Sovietica. La Russia infatti, a differenza dell'Unione Sovietica, non costituisce una minaccia per l'Europa. L'Unione Sovietica infatti aveva l'ideologia comunista da esportare, la Russia no. L'Unione Sovietica nel 1990 aveva, insieme ai Paesi del patto di Varsavia, 410 milioni di abitanti contro i 332 dell'Europa occidentale. E un peso militare schiacciante. Oggi la Russia ha 144 milioni di abitanti contro gli oltre 600 milioni dell'Europa. Ha un Prodotto Interno Lordo inferiore a quello della sola Italia e un ventiduesimo di quello dei Paesi NATO. Non c'è più l'orso sovietico, ma il topo russo. Eppure paghiamo per la guerra un prezzo mostruoso: una nuova recessione economica dopo quella da Covid. Ma il Covid era una catastrofe naturale, questa no. Si poteva e si può evitare con pragmatismo e intelligenza diplomatica, che d'altronde si sono sempre usate con l'Unione Sovietica. L'incapacità a usarle appare oggi inspiegabile. A meno che in Occidente qualcuno abbia obiettivi non dichiarati.
Veniamo al nostro piccolo partito. Sono passati pochi mesi dal nostro congresso, ma è come se fossero passati anni. Abbiamo perciò bisogno di un congresso straordinario. Potremmo tenerlo poco prima di quello del PD. In tal caso, avremmo visibilità sui media precedendo il loro dibattito e indicando una scelta precisa: non con M5S.
La relazione di Maraio è stata onesta. Un congresso non sarebbe un atto di sfiducia nei suoi confronti, ma la sede per compiere le scelte necessarie di fronte all'enormità delle novità accadute. Lo si prepari con una commissione di garanzia da creare nel momento in cui il Congresso sarà convocato. Come d'altronde si faceva ai tempi della prima Repubblica.
Un congresso chiarificatore e sereno è necessario in un momento così difficile del partito. Nel quale i rischi sono evidenti. Persino di una scissione o della fuoriuscita dei tanti compagni che di fronte a un eccesso di polemiche interne non si schiererebbero ma si allontanerebbero silenziosamente. Per non parlare della divisione tra Nord e Sud, che si delinea per ragioni profonde. Nel nostro piccolo partito d'altronde come nel Paese, dove tale divisione (economica e ora clamorosamente anche politica) mai è stata così allarmante dal dopoguerra.
Di un partito che conservi la storia e tradizione socialista, ha bisogno la sinistra. Perché possiamo contribuire a farle ritrovare una identità. È un patrimonio costruito dalla caduta della prima Repubblica in poi. Non disperiamolo. I nostri compagni, per i tanti sacrifici che hanno fatto, davvero non se lo meriterebbero.
Domenico Cacopardo
L'opposizione che non c'è
L'altro giorno ho ascoltato, tra gli altri in uscita dallo studio presidenziale nel quale si svolgevano le consultazioni per il governo, Giuseppe Conte: parole confuse e confusionarie, un pasticcio inestricabile tra l'opposizione a Tajani agli esteri in quanto non atlanticamente affidabile viste le posizioni del suo (ex?) capo partito Berlusconi, e l'intemerata contro le armi all'Ucraina. Una confusione mentale voluta e subita che finiva per impastare la lingua del leader (ex grillino) rendendo inintelligibili le sue parole. Un segno esemplificativo di cosa sia questo movimento 5Stelle nelle mani dell'avvocato di Volturara Appula e cosa potremo aspettarci da esso, dopo il sospettato o insinuato soccorso “coperto” di stile massonico, prestato a Ignazio La Russa, forse con la regia, sempre ritenuta occulta dell'avvocato di cui sopra.
D'altro canto, sabato, in margine al giuramento del governo, Enrico Letta, carico di frustrazioni e di non-cristiano odio per gli usurpatori (che usurpatori non sono) s'è augurato un'immediata crisi e caduta del governo Meloni. Appunto, una manifestazione del frustrato e fallito segretario del Pd capace solo, oggi, di invettive che squalificano lui medesimo, la sua capacità politica, e la sua personalità, a lungo e a torto celebrata. Il fatto è che chi lo ha voluto alla segreteria del Pd, lo ha voluto proprio per le sue incapacità, la sua ininfluenza, la neghittosità (quella che aveva suggerito e imposto a Matteo Renzi di rimuoverlo in tronco da Palazzo Chigi) in modo che non turbasse gli equilibri e gli scopi del ristretto gruppo di dirigenti costituitosi in ditta, tra i cui interessi non c'era la crescita o la vittoria del Pd quanto il perseguimento dei propri fini personali.
C'è un ragionamento generale che si impone prima di proseguire. Quanto è accaduto il 25 ottobre 2022, a prescindere dalla qualità distorsiva della legge elettorale, rappresenta un ritorno alla democrazia parlamentare rappresentativa. Un evento etico, dal punto di vista del costume repubblicano. E non perché abbia vinto il destra-centro, quanto perché ha vinto una coalizione che ora dispone della maggioranza dei deputati e dei senatori, talché esso può governare in coerenza con i propri impegni elettorali, con le proprie impostazioni ideali e ideologiche, con il proprio apprezzamento della realtà reale, di cui avrà piena. contezza qualche settimana dopo avere occupato -ripeto- legittimamente le stanze del potere formale. Ricordiamo che dal 16 novembre 2011 (insediamento del governo Monti) e per 11 interminabili anni, non c'è stato un governo della Repubblica scelto dalla maggioranza degli italiani, solo primi ministri scelti secondo la regia di Giorgio Napolitano (che dette alla sua presidenza un'impronta regale, comportandosi più come un regnante dotato di visione politica che approntava le soluzioni che giudicava più acconce di fronte all'assenza di maggioranze identificabili) nei primi anni e dopo con la claudicante capacità di orientamento di Sergio Mattarella, spesso vittima di tentennamenti vetero-democristiani (ricordiamo la tragica commedia che precedette la costituzione del Conte 1), sino alla liberazione dal peso delle scelte costituita per lui dall'arrivo al Quirinale di Giorgia Meloni con una lista di ministri, frutto sì del risultato elettorale, ma soprattutto delle capacità politiche e di gestione della premier.
Ora, tornati alla fisiologia, dovremo osservare e giudicare l'azione di Meloni e del suo governo e, da amanti come siamo della Patria repubblicana, farci anche carico del riassetto dell'opposizione, che, in realtà, oggi, è costituita da almeno 3 forze (debolezze) schierate su differenti posizioni. La storicamente più significativa è, ovviamente, quella del Pd che, peraltro, è in pieno affondamento e privo di scialuppe di salvataggio. La non-intelligenza politica di Letta è testimoniata dal fatto che i tempi congressuali sono lunghi e vuoti: se fosse vero ciò che sostengono alcuni osservatori non Obietti i, che il governo durerà poco, pochissimo per il combinato disposto dell'odio-insofferenza di Berlusconi per la propria archiviazione e del permanente doppio gioco di Matteo Salvini, troppo legato al carro russo e così legato da non potersi scuotere le briglie che ne condizionano i movimenti, proprio per questa presunta, sperata brevità del Meloni 1, il Pd dovrebbe muoversi a ritmo celere, per essere pronto a diventare il protagonista di una nuova, ipotizzata, ma irrealistica crisi. Invece, si va verso i 6 mesi di preparazione congressuale in una condizione paradossale: una distinzione interna, ma esplicita, tra riformatori e massimalisti, di cui i secondi sono in prevalenza oltre che portatori di un'intesa con i 5Stelle nella quale in ogni caso perderebbero ogni identità. Nessuno valuta come i grillini (e lo hanno dimostrato nell'ultima legislatura) siano una banda Brancaleone pronta a tutti i giochi che nulla ha delle componenti culturali storiche dei partiti della sinistra massimalista. Carlo Marx sostenne che i movimenti dalla colorazione incerta, nascondono un'anima reazionaria. E non bisogna illudersi: nel corso di questa legislatura, verranno l'occasione e l'alibi giusti perché Conte corra in soccorso (forse non gradito) dell'attuale maggioranza.
Diventa, quindi, prioritaria -per la democrazia e la sua dialettica- che una opposizione si formi e si formi su una piattaforma spendibile nei confronti dell'elettorato e al contempo attrattiva. Non si illudano i Fratoianni di turno: la via per il ritorno al governo ormai passa soltanto da una vittoria elettorale ottenibile conquistando i consensi dell'elettorato moderato, quello che, in passato e qualche volta, ha permesso la vittoria del centro-sinistra. Per questa semplice ragione, risulta oggi in carica una sola opposizione: quella di Azione/Italia Viva determinata ad accantonare i pregiudizi e a criticare il governo solo con fondate osservazioni fattuali rappresentandosi di fronte al Paese (alla Nazione?) come una forza di riforma coerente agli impegni europei e atlantici, insomma come la voce del riformismo, sconfitto nella battaglia elettorale, ma non dalla storia. Le vicende di questo amato Paese passano anche attraverso un processo di ablazione della funzione effimera ed esaurita del Pd e la costruzione di una forza alternativa non radicale né massimalista. Capace di intercettare le esigenze dei giovani (a parte Meloni, questo è un governo di vecchi) e del nuovo mondo avanzato che sta maturando ovunque tranne che nei regimi dittatoriali e autoritari. «It's democracy, stupid!»
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