Schiavi di Hitler, di Mimmo Franzinelli
Il volume «Schiavi di Hitler» è uscito martedì 29 agosto 2023, per Mondadori (pp. 432, euro 25).
Una disfatta, per chi come Benito Mussolini era convinto d'aver indottrinato in un ventennio masse di marionette pronte a credere, obbedire, combattere. E ancora agli sgoccioli del 1944 lanciava un appello agli «italiani residenti in Germania» perché si ricongiungessero «sempre più intimamente con la Repubblica Sociale Italiana, il cui tricolore senza regie croci può sventolare di fronte a tutti i popoli degni di questo nome, in quanto tengono fede ai patti giurati». Macché: meglio la prigionia, gli inverni nelle baracche gelide, le angherie, la fame... Altro che «Resistenza passiva», sostiene lo storico, «Che tra i soldati nove prigionieri su dieci abbiano respinto gli inviti di nazisti e fascisti evidenzia un'opposizione tenace: una “Resistenza attiva” per quanto le proibitive circostanze e i rapporti di forza sfavorevoli lo consentivano». Una storia a lungo ignorata come fosse quasi secondaria. E ricostruita da Franzinelli tappa su tappa. Le «imbarazzate trattative segrete con gli anglo-americani, tra indecisioni e pavidità» dopo il 25 luglio, che «toglie di mezzo Mussolini divenuto impopolare per aver gettato il Paese in una guerra rovinosa ma non risolve il dilemma sulla collocazione bellica». L'armistizio segreto. I tentennamenti del re e di Badoglio. L'ultimatum di Eisenhower perché il ribaltamento delle alleanze sia reso pubblico: «Nessuna vostra futura azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella vostra buona fede...» fino all'8 settembre. Il caos raccontato da Beppe Fenoglio: «La truppa non ha tardato ad annusare il quarantotto completo, ha pensato alla pelle e a casa sua e ha mandato l'esercito a fare in culo. Voltavi gli occhi e di cento ne ritrovavi settanta, poi cinquanta, gli ufficiali rimasti allargavano le braccia o piangevano come bambini, i soldati saltavano il muro come tanti ranocchi. Io l'ho vista sì la bellezza di resistere ai tedeschi, ma mi sono detto: debbo crepare proprio io per le migliaia che già corrono verso casa? A casa, a casa! Se la sbrighino gli altri...». Fu durissima, per i militari italiani allo sbando, rastrellati e portati via su carri bestiame verso le fabbriche tedesche. Viaggi durati fino a ventisette giorni. Dubbi: «L'educazione di vent'anni di fascismo ci aveva tenuti all'oscuro delle realtà della vita. Non eravamo maturi per una scelta, tragica scelta, da compiere immediatamente con una posta in palio che era la vita». Soprusi: «Gli ufficiali spesso venivano convocati a teatro, sotto la luce di proiettori e sottoposti alla scelta di impresari e contadini tedeschi che palpavano loro gli arti, guardavano in bocca come se fossero bestie». Rancori: «Incontriamo persone che non ci degnano di uno sguardo, e chi lo fa è solo per insultarci con sputi per terra o inveendo con parole di cui, anche se incomprensibili, si può intuire il significato da come vengono pronunciate, piene di odio e di veleno, come se fossimo colpevoli di chissà quali delitti. Alcuni gridano Badoglio kaput! Badoglio kaput!! e ci fanno segno con la mano tesa alla gola che ci taglieranno la testa». Rimpatri appesi alla firma di moduli infami: «Io presto su Dio questo sacro giuramento, che nella lotta per la mia patria italiana contro i suoi nemici, ubbidirò incondizionatamente al Comandante Supremo dell'Esercito tedesco Adolfo Hitler». La truffa del lavoro pagato ai «volontari»: «I marchi tedeschi che ci davano erano particolari: avevano solo un lato stampato, l'altro no». Le terribili carneficine finali, come nel campo di Treuenbrietzen, non lontano da Berlino, liberato dai russi e ripreso dai nazisti il 23 aprile 1945, due giorni prima della nostra Liberazione. Una tragica beffa per i 127 italiani decimati come ultimo sfogo belluino, una settimana prima del suicidio del Führer, dai suoi fanatici adepti in fuga. Antonio Ceseri, sepolto nel fango dai cadaveri degli amici uccisi, sopravvisse, tornò in patria, denunciò la strage. «Cento più o cento meno cosa vuole cambi?», gli risposero. E gli fecero finire gli otto mesi di leva che gli mancavano.
Ai nostri lettori segnaliamo una recensione di grande livello, sotto il titolo “la Resistenza disarmata”, ad opera di Gian Antonio Stella su Corriere della Sera del 27 agosto 2023.
Nel segnalare ai nostri elettori la novità editoriale, formuliamo l'auspicio che Mimmo Franzinelli, che contatteremo anche a nome dei numerosi estimatori cremonesi, sia quanto prima nella nostra città ad approfondire e a discutere di questo lavoro editoriale.
Mimmo Franzinelli
Mimmo Franzinelli, storico del fascismo e dell'Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione «Ferruccio Pari», è autore di numerosi saggi, fra cui, da Mondadori: Le stragi nascoste, Squadristi, Guerra di spie, Il piano Solo, Il prigioniero di Salò, Il duce e le donne, Bombardate Roma!, Disertori, Il Tribunale del duce. È inoltre coautore dei libri fotografici Il duce proibito, RSI e Fiume. Lavori più recenti: L'insurrezione fascista (Mondadori, 2022); Il filosofo in camicia nera (Mondadori, 2021); Storia della Repubblica Sociale Italiana (Laterza, 2020); Fascismo Anno Zero, Mondadori, 2019).
Creare la storia
Occuparsi di storia è un'attività affascinante, un'esplorazione avventurosa tra passato e presente alla scoperta di nuove fonti da riordinare e interpretare; l'esito delle ricerche si sedimenta in testi che, dopo aver smosso l'intimo del loro autore, raggiungono l'obiettivo se riescono a trasmettere qualcosa di significativo al lettore. Hermann Hesse ha sintetizzato il senso della storiografia in un passo del romanzo Il gioco delle perle di vetro: «Studiare la storia, mio caro, non è uno scherzo, non è un gioco irresponsabile. Lo studio della storia presuppone che si sappia che esso mira a qualcosa d'impossibile, eppur necessario e importante. Studiare la storia significa abbandonarsi al caos, ma al contempo mantener fede nell'ordine e nella ragione. È un compito molto serio, e forse tragico».
Vincenzo Montuori dialoga con Barbara Bozzini
Sabato 2 settembre alle ore 17:30 Vincenzo Monturoi dialoga con la poestessa Barbara Bozzini riguardo al libro, "Barbarità", Il perdono di sé come assoluzione mai rivelata. L'antitesi di una cura che si fa malattia e opera sul nostro corpo in disarmata incoscienza. Barbarità – Nel nome del Dolore, dell'Amore e dello Spirito Libero è un convoglio infinito di desiderio e umanità, nella disperata ma audace e autentica esigenza di esprimere un dolore sommerso. Un percorso interiore di radicale essenza che fa dell'autoconsapevolezza non un veicolo per guarire ma per esporsi e urlare, pacatamente, il proprio Io. Esserci, in qualunque modo. Soffrire, perdendosi in un costante flusso di presenza. Se “l'amore è figlio unico” forse il dolore ha una grande famiglia e Barbara Bozzini mette in scena queste radici con profonda sincerità. Una foto, un palcoscenico, mille storie e “ora i miei pensieri esplodono in coriandoli di follia”.