Per iniziativa della Società Filodrammatica Cremonese/rassegna Filo-libri in partnership con l'Associazione Zanoni – L'Eco del Popolo – l'A.N.P.I – l'Associazione Partigiani Cristiani si è svolta la più volte preannunciata e molto attesa conferenza di presentazione (in prima nazionale) dell'ultima fatica del ricercatore storico ed autore Mimmo Franzinelli. Che molti (specie gli appassionati di storiografia del'età contemporanea) ricorderanno, ormai, come una presenza fissa ed autorevole nell'approfondimento culturale a Cremona.
Era già stato qui da noi per presentare i suoi più recenti ed apprezzati saggi (Piano Solo, Un'odissea partigiana, Disertori). Che, nell'ultimo decennio, hanno scandito l'impegno a tutto tondo del professore bresciano, applicato a porre sotto il cono di luce profili più o meno trattati dalla consolidata storiografia e riferiti, in prevalenza, alla temperie che va dalla fase agonica del Ventennio a quella successiva del ripristino della democrazia.
L'ultimo nato, dell'impegnativa produzione editoriale, si raccorda ai precedenti segmenti e li completa mettendo a nudo uno dei segmenti forse più inquietanti delle modalità con cui il fascismo chiuse il cerchio della conquista del potere.
Fino al 1925 la transizione, dal ciclo liberale ad una fase di stabilizzazione degli impulsi autoritari, poteva essere percepita come una sorta di working progress. Tracciata ma aperta, se non propria a qualsiasi prospettiva certamente sospesa. Sospesa all'esito dello scontro con gli ambienti democratici non remissivi nel mollare la presa. E sospesa al mantenimento (o alla revoca) del supporto dei “poteri” che, sia pure con intensità ed aspettative diversificate, avevano ingaggiato il cambio di passo.
Se per un anno lo snodo politico e parlamentare poteva essere definito fisiologico nelle sue modalità (al netto della abnorme pressione della violenza sistematica), a partire dal delitto di regime Matteotti si apre una fase in cui la pluralità di quel mandato e di quel supporto avrebbe potuto, specie negli ambienti in cui l'ingaggio al rivoluzionarismo fascista era stato motivato dal male minore di fronte al pericolo rivoluzionario rosso, anche imboccare una strada diversa da quella avviata nel gennaio 1925.
Lì l'assassinio del mite ma intransigente deputato socialista turatiano finì di essere percepito come la mano violenta scappata ad una squadraccia manovrata dietro le quinte da burattinai molto vicini al Duce, per diventare palesemente uno snodo emblematico di rivendicazione della vera connotazione del fascismo.
Da cambio di passo in chiave normalizzatrice di stampo autoritario che per due anni si era manifestata con modalità parlamentarizzate i nuovi equilibri post-democratici avrebbero imboccato nettamente ed irreversibilmente la strada del totalitarismo, parimenti violento ed ancor più repressivo.
E perché ciò accadesse Mussolini mostrò di avere ben chiare nella mente e nelle mosse le tappe che avrebbero irreversibilmente mutato il quadro generale, politico ed istituzionale.
La soppressione delle garanzie liberali del ciclo post-unitario (attraverso la rappresentanza, l'associazionismo politico, il diritto di opposizione) avrebbe ottenuto significativi ma non del tutto determinanti risultati, se non fosse stata tendenzialmente completata dalla totale revoca, perseguita dal combinato dell'azione di polizia e giudiziaria, del dissenso.
E, per non lasciare dubbi ed ombre sulla natura di tale revoca, il regime inventò novant'anni fa una giustizia speciale, quella del Tribunale del Duce.
Tale essendo la premessa/presentazione dell'argomento del libro e dell'approfondimento in sede pubblica di esso, aggiungeremo che l'autore si è efficacemente confrontato con un adeguato pannel di discussants. Giancarlo Corada, noto docente cremonese e storico, ha avviato e coordinato un confronto, che, se fosse stato possibile, avrebbe tenuto inchiodato molto più a lungo il folto pubblico. Tra gli altri interlocutori, anche la giornalista de La Provincia Barbara Caffi, reduce da un impegnativo ed apprezzatissimo ciclo di approfondimenti sulla Villa (degli orrori nazifascisti) Merli di Viale Trento e Trieste ed il prof. Coppetti. Contemporaneo vivent di quei fatti, che, pur non essendo finito tecnicamente nella trituratrice del Tribunale del Duce, fu qualcosa di più di un semplice testimone (di lui e della madre si sarebbe intensamente occupata l'OVRA).
Di seguito forniamo, per la penna di Giuseppe Azzoni, un quadro dettagliato dello svolgimento della conferenza. Lodevolmente ampliato ai rimandi dei contenuti del saggio di Mimmo Franzinelli relativi all'“indotto” cremonesedell'opera repressiva del Tribunale Speciale.
L'ultima fatica editoriale di Franzinelli va letta (come peraltro anche le precedenti) nella sua interezza ed in aderenza allo spirito che muove il suo impegnativo lavoro.
Di sé l'interessato dice che è il trovarobe delle cose che non si vogliono cercare e che si vorrebbero dimenticare. Nella conferenza dell'aprile scorso disse, sempre di sé, che non è esattamente uno storiografo, bensì un ricercatore. I cui risultati vengono posti a disposizione di coloro, che, senza alibi, vorranno poi sottoporre a sistemazione scientifica.
Coppetti l'ha definito un “notaio” che trova e certifica le fonti.
Prima di lasciare spazio allo scritto di Azzoni, vorrei porre l'accento su alcune tessere del vasto inventario di nefandezze che vanno dal 1927 della istituzione al luglio 1943 della soppressione del Tribunale.
Già la sua ragione sociale( “Tribunale”) fuorvia da una reale percezione della sua abnormità. Il suo collegio giudicante fu prevalentemente costituito da operatori privi di titolo e non appartenenti alla giurisdizione (ne lato né strictu senso). Semplicemente era il braccio repressivo prestato dal partito unico alla normalizzazione totalitaria/autoritaria.
La frase istruttoria era prerogativa solo degli inquirenti e tutti i diritti di controllo e di contestazione erano negati alla difesa; che era notiziata, nonostante fossero trascorsi anche due anni dall'arresto, degli addebiti una settimana prima del processo. Quando gli snodi erano impacchettati e serviti (con una condanna certa, che avrebbe dispensato le conseguenze anche sui famigliari dell'inquisito).
Da tale punto di vista è interessante annotare una osservazione di Barbara Caffi, che ha evidenziato una enorme sproporzione tra gli addebiti e le pene.
Nel maggior numero dei casi si trattava di fatti bagatellari (insolenze, barzellette, canti popolari contro il Duce) o addirittura mera intenzione (di compiere un atto clamoroso). Il giovane Anteo Zamboni, quindicenne bolognese attentatore fallito del capo del fascismo (uscitone indenne), sarebbe stato linciato, seduta stante, dai fascisti. Ed i suoi famigliari, assolutamente estranei al fatto, condannati pesantemente dal Tribunale Speciale. Il giovane Michele Schirru, emigrato in America e rientrato per attentare a Mussolini, sarebbe stato condannato a fucilazione, nonostante il fallimento (purtroppo ha commentato Coppetti.
Un altro giovane antifascista avrebbe più tardi attentato alla vita di un altro esponente dell'oligarchia monarco/fascista. Ci riferiamo al rosselliano Fernando De Rosa che il 22 ottobre 1929raggiunse a Bruxelles il principe ereditario Umberto, là pervenuto per chiedere la mano della principessa Maria José. La vulgata storica semplificata riferisce che lo sfortunato attentatore mancò (l'invece fortunato obiettivo). Arrestato, sarebbe stato difeso dal'avvocato di ministro degli Esteri e successivamente di Primo ministro. L'avvocato difensore sorprendentemente (per i canoni interpretativi degli establishments dell'epoca), durante il processo, arrivò a sostenere che la violenza è giustificata quando la libertà è conculcata.
Mentre in Italia il giovane Schirru venne fucilato per non essere riuscito ad attentare al Duce, in Belgio De Rosa, venne condannato a cinque anni (pena ridotta della metà). Scontata la quale, sarebbe stato arrestato di nuovo per aver partecipato allo sciopero delle Asturie
Per la cronaca il giovane socialista De Rosa più tardi avrebbe combattuto, cadendo, nel fronte repubblicano della guerra civile spagnola.
Vorremmo qui fare menzione (sia perché è stato menzionato nella conferenza sia perché chi scrive ha avuto l'onore di conoscerlo personalmente nel 1965) della figura di un altro antifascista socialista finito negli ingranaggi della repressione. Si tratta di Emilio Lussu, fondatore coi Fratelli Rosselli del socialismo liberale e della versione sarda del Partito d'Azione, nonché valoroso combattente, decorato quattro volte al valor militare e promosso fino al grado di capitano nel 151º fanteria della Brigata Sassari, composta per la maggior parte da contadini e pastori sardi. I
Nel 1916 la brigata fu inviata sulle montagne intorno ad Asiago per creare un fronte che resistesse a qualunque costo alla discesa degli austriaci verso Vicenza e Verona.
Alla testimonianza dell'atrocità della guerra e dall'ottusa soperchieria delle gerarchie militari, tanto disumane quante imbelli, Lussu avrebbe ispirato ”Un anno sull'Altipiano”, donde sarebbe stata tratta la libera riduzione cinematografica di Francesco Rosi “Uomini contro” del 1970.
Lussu, nel '26 fu dichiarato decaduto dal mandato parlamentare e perseguitato dai fascisti. Aggredito in casa da squadristi sardi, uccide per legittima uno degli assalitori. La magistratura cagliaritana, non ancora soggiogata dal regime, lo assolverà. Tale episodio dimostra efficacemente il cambio di passo nellèesercizio della giustizia tra lo scenario antecedente al 1927 e quello successivo contraddistinto dall'opera del Tribunale Speciale.
Non vorremmo aggiungere altro alla sintesi del saggio, per evitare di vanificare l'interesse dei lettori.
Per concludere faremo un paio di osservazioni. La prima riguarda la natura del Tribunale come strumento di giustizia politica contro gli avversari. Di cui Mussolini espresse un costante compiacimento.
Concluderemmo sottolineando la parte conclusiva del bel saggio e una insistita annotazione di Franzinelli nel corso della conferenza.
Come anticipato, la lunga vicenda del Tribunale del Duce durò praticamente per tutto il ventennio, per concludersi immediatamente dopo il 25 luglio 1943.
La sua parabola si sarebbe conclusa senza che vi sarà una cesura netta né tra passato ed il futuro che si stava schiudendo né tantomeno sul piano della discontinuità delle responsabilità storiche e personali.
La sua gestione stralcio sarebbe confluita assurdamente nella giurisdizione dei Tribunali Militari, nei cui ranghi sarebbero stati inquadrati i giudici di carriera.
Nessuno di loro avrebbe pagato. Tamquam non esset! Franzinelli nel libro e nella conferenza ha più volte osservato che tale opzione, come peraltro ha annotato nel suo sempre attuale “Lo Stato fascista” Sabino Cassese, ha emblematicamente rappresentato una volontà di non soluzione di continuità.
Il grande Moloch della burocrazia, che nel 1922 aveva metabolizzato il trapasso dallo Stato liberale allo Stato fascista, con la Liberazione e la Repubblica avrebbe inghiottito anche lo Stato fascista.
Sull'altare della “pacificazione” e della nuova Italia, che avrebbe dovuto nascere dall'archiviazione del passato.
Ed, indubbiamente, l' “amnistia” che è qualcosa di più di una parentesi transitoria reca con sé le sue responsabilità. Di cui sarebbe ridicolo affermare che i suoi principali sacerdoti (De Gasperi e Togliatti) fossero inconsapevoli.
Persecutori nei ranghi della nuova Italia e perseguiti, sostanzialmente, marchiati anche nella Repubblica.
Al casellario giudiziale (come dimostra l'episodio del “giorno della civetta”) molti di loro resteranno iscritti come “pregiudicati”.
Anche in queste riflessioni indotte sta l'autorevolezza del lavoro di Franzinelli.
Che sarà ancora a Cremona a presentare il frutto della ricerca in corso sulle torture in Italia.
e.v.
In allegato La Commissione provinciale del Tribunale del Duce di Giuseppe Azzoni