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Covid-19, dopo oltre due anni:

Sarebbe il momento giusto per un severo sub totale del percorso e per un realistico ritracciamento delle prospettive

  18/07/2022

Di Redazione

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Noi per primi lo faremo fornendo una parziale panoramica delle testimonianze editoriali e dei contributi esterni che, nei quasi due anni e mezzo che ci separano dal fatidico febbraio 2020, hanno visto la nostra testata orientare la propria attenzione in senso quasi monotematico (di seguito i link più significativi - ndr): 

Fondazione Mazza - Necesse un Var 

Corona virus; prove di una stretta (forse intempestiva) 

Recovery territoriale qualcosa di molto simile ad un ingannevole libro dei sogni 

Pandemia Olistica Gli effetti del coronavirus sulla finanza, sul capitale e sul lavoro, ma non solo. 

COL CERINO IN MANO: aggiornamenti 

Tempistica e modalità delle zone rosse La berèta de Lurens 

Seconda ondata Necesse un sussulto comunitario 

I'm sorry (rivolto agli immemori ed agli alienati) 

Il vaccino? O famo strano. 

L'inestinguibile saga del nuovo ospedale 

Poi, diciamo, usciti da una spirale, in cui l'assoluta criticità della rincorsa ad un “fenomeno”, per il quale mancavano precedenti scientifici ed adeguati standards comportamentali (individuali e collettivi) ed ordinamentali, anche la nostra linea editoriale è uscita dalle coordinate emergenziali ed è approdata ad una forte campagna di denuncia nei confronti delle inadeguatezze e delle responsabilità di un modello sanitario che, soprattutto in Lombardia, non ha retto (e non regge). Nonostante l'abnegazione, lo diciamo per prima cosa, degli operatori ad ogni livello e un raro moto (nonostante la divaricazione sull'obbligo vaccinale e sul rispetto delle regole comportamentali) di coesione comunitaria. 

A prescindere da un dato sorprendentemente omogeneo a livello nazionale, si può affermare che i colpi della pandemia sono stati metabolizzati meglio nelle realtà regionali in cui l'impianto della sanità pubblica è stato smantellato di meno. Così come è sensato sostenere che la ripresa, se si può dire, della “normalità“(vale a dire del ritorno ai normali standards prestazionali dei presidi della sanità pubblica), è avvenuta nelle realtà regionali in cui non prevale la sanità capitalista. 

Si è, come abbiamo testimoniato con determinazione e coerenza, andata radicando una sorta di assuefazione alla caduta verticale delle prestazioni della sanità; di cui non si intravvede né un cenno di inversione né una volontà politica che la promuova. 

Una siffatta riflessione appariva pertinente nelle more degli scenari antecedenti alla quarta ondata; che fino a qualche settimana fa non era neppure considerata come realisticamente prevedibile. 

Scendevano gli indici di contagio, di mortalità e di ricovero. Tutt'al più ci si sbilanciava su una pandemia, controllabile ma latente. Fronteggiabile con pratiche vaccinali costanti. 

Declaratoria propedeutica, se non proprio funzionale, sicuramente coerente con lo smantellamento dell'impianto imposto e mantenuto per due anni. 

Poi, lemme lemme, è sparita dai radar comunicativi una figura che è stata costante (il Ministro Speranza, al quale va riconosciuto uno straordinario impegno) e si sono sciolti gli ormeggi per il ritorno “alla normalità”. 

Che, per quanto gradita e rivendicata, non risponde né agli auspici né alla cruda realtà. 

Fatto si è che, sia pure con valori di mortalità e degenzialità attenutati, negli ultimi dieci giorni i “picchi”, motivati dalle dinamiche delle varianti, si sono rimaterializzati e la situazione, diononvoglia!, sembra ritornare sui propri passi. 

Al punto che il richiamo vaccinale per i fragili (secondo booster), preventivato per il tardo autunno (in associazione con il normale vaccino influenzale e nella nuova formula congrua alle varianti meno letali ma più contagiose), sta imponendo una seria rettifica nell'agenda sanitaria. 

E fin qui ci siamo limitati all'aspetto vaccinale; che, a parte una aliquota minoritaria ma non rinunciataria, appartiene ormai all'ordine dei comportamenti collettivi assuefatti. 

Resta, però, un vasto corollario (le posture relazionali prudenziali) rispetto a cui, considerando quanto sta avvenendo da un paio di mesi a questa parte, sarà difficile fare macchina indietro. 

Un, come si diceva nell'incipit, severo fact-cheking si impone (se non altro come viatico alle consapevolezze ed alle riflessioni) alle evidenze. Che appaiono in netto contrasto con le (assolutamente imprevedibili) performances del primo biennio (suscettibili di mettere Italia e - quasi tutta - Europa sul podio delle medaglie e con il quadro attuale, assolutamente, si ripete, in controtendenza. 

Il pallottoliere totalizza 20.000.000 di infettati e 170.000 decessi. 

Calma e gesso: non abbiamo alcun motivo per scalare il bandwagoning dell'insuccesso, che crescerà parallelamente alle impennate controtendenziali e alle constatazioni dell'eterogenesi dei fini correlata dal “finalmente liberi di tutti” (dal maggio 2022). 

Riassumendo: 1) la struttura del Covid 19 non è plastica e si fa beffe delle arrancanti acquisizioni scientifiche; 2) la formula dei competitors farmacologici risente di queste mutevolezze; 3) il vax resta un punto fermo, a qualche condizione (formule speculari alle varianti e l'accompagnamento di adeguati impianti di relazionalità); 4) la necessità di reimpiantare solidi convincimenti etici diventa a questo punto irrinviabile (diversamente, visti in numeri, si sarebbe dovuto, anziché il modello UE, adottare quello brexit di Johnson, liberi tutti antemarciam).

La gente, portata d'istinto e per egoistica comodità alla lectio facilior, si è facilmente adattata ad un nuovo corso inforcato da ceto politico, stretto, da un lato, dall'impulso a “fare il comandino” * e, dall'altro, quando se la vede brutta, dall'evidente compiacimento degli animal spirits e dalla preoccupazione di non perdere consensi. 

Per di più queste criticità accessorie si appalesano in uno scenario politico manifestamente poco proclive ad una convergenza comunitaria scandita da senso di sobrietà e di severità. 

Sia quel che sia noi, di radici celtico-etrusche e di convinzioni laiche illuministiche, portatori di profondo il senso comunitario, abbiamo colto al volo l'opportunità offerta qui in Trentino. Dove si è vinto qualsiasi indugio e si sono riaperti, non i colossali hub, bensì i piccoli centri vaccinali di prossimità. Per di più, con accesso senza prenotazione. Alle 9 ci siamo trovati in 250 anziché i 50 preventivati. Tutti dai 60 in su e tutti convinti del gesto. Molti (i più informati e consapevoli) motivati da un senso beneaugurante (più che dal target scientifico di una formula vaccinale agée). 

Ma, non avendo fatto male le precedenti tre, la quarta … Tutti (e noi tra loro) accomunati da queste linee-guida comportamentali e da una condizione socio-comunitaria manifesta: una fragilità clinica, insita nell'anagrafe, e una plastica solitudine (percepibile nel quasi totalitario non accompagnamento). 

Su questo vorremmo aprire una riflessione e un campo di mobilitazione. 

Vabbè, se il “sistema” ha stabilito che l'ondata pandemica può essere funzionale ad un darwinismo motu proprio, suscettibile di sfoltire i ranghi antropici con un non dichiarato ma praticato laissez faire, lo si dica. O non lo si neghi con false controdeduzioni mediatiche. Perché le evidenze denunciano tutt'altre certezze: un ampio bacino di ultraottantenni (potremmo dire anche di ultrasettantenni, se non agisse in noi il conflitto di interessi dell'appartenenza a questa fascia) che deve solo decidere dove prendere la sberla. In solitudine domiciliare o in regime di istituzionalizzazione, per cui mancano, al di là del mai declinato impegno delle strutture, i presupposti di sicurezza e sostenibilità relazionale. 

Il modello anglosassone del Wellfare magnificava l'accompagnamento del cittadino “dalla culla alla tomba”. 

Anche su questo terreno si dovrà mettere sotto schiaffo l'inadeguatezza dei pubblici poteri e, ovviamente, lato sensu, della politica e, in particolare, del nostro “campo”. Che, in controtendenza con i suoi impianti idealistici (ammesso che ne abbia), si gingilla, invece, con i doppi cognomi, gli “ius” variamente declinati, le libere canne e quant'altro. 

*In proposito abbiamo avuto uno scambio di vedute con un nostro interlocutore (under 60, fortunato lui!), che ci ha “Whattsappato” come segue: 

Per quanto riguarda il booster, ovvero la quarta dose - chissà come chiameranno l'ottava (già pagata a big pharma e quindi da inoculare senza se e senza ma), forse prima dose dell'ottava variante? Mah...In cuor tuo se l'hai fatto, credo sia stato in piena libertà, ma soprattutto in scienza e coscienza. Mi potresti obiettare: "ma io non sono un dottore, né uno scienziato. Mi sono fidato, punto." E passi anche questa logica, ma non credo che tu l'abbia fatto per compiacere questi politici, affini più alla malavita organizzata che al sentire dei nostri padri, partigiani e costituenti del dopoguerra! 

Tanta ipocrisia, troppe incongruenze, "fili spezzati"...mi fermo qua...un abbraccio. 

Come si vede, evolvono e involvono i quadri pandemici, ma non la propensione a percepirli e a metabolizzarli. Pur esortando alla responsabilità civile, non abbassiamo le prestazioni del nostro pensiero critico. Cui gioverebbe molto una resipiscenza dell'establishment. 

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