Roberto Moreni, classe 1977 celibe, impiegato amministrativo presso un'azienda commerciale della bassa bergamasca da oltre vent'anni, la sua più grande passione è il volontariato, infatti dal 1996 presta servizio come volontario nella Croce Verde Soncino ricoprendo attualmente la carica di Presidente.
Attivo politicamente dal 2004, anno in cui viene eletto nel consiglio comunale, ricoprendo prima la carica di assessore alla pubblica istruzione e servizi sociali per poi ricoprire per altri dieci anni la carica di Vice sindaco, è stato per alcuni anni consigliere dell'unione dei fontanili. Dallo scorso anno è stato eletto sindaco ed è sua la quinta risposta alla "lettera-invito" inviata dalla Rete delle comunità Socialiste della provincia di Cremona il 15 giugno scorso a tutti i sindaci dei comuni sotto i 5.000 abitanti.
Vivo con intensità il mio impegno politico e sociale, anche se definire politico il mio impegno non è propriamente corretto. Ho l'onore di amministrare un piccolo comune di circa 600 abitanti, quindi il colore politico in una realtà cosi ridimensionata conta poco, conta molto di più voglia di fare qualcosa di buono per il prossimo, inteso non solo per le persone in difficoltà ma esaltare il senso civico di ogni persona, il sentimento di appartenenza ad una comunità vista come una grande famiglia, ad un territorio. Questo è lo spirito che mi ha mosso fino dai primi giorni del mio impegno polito, cercare di rendermi utile per il prossimo.
Spirito che probabilmente ho affinato in tanti anni di volontariato sociale presso la Croce Verde Soncino, associazione che si occupa del settore socio sanitario, sempre a stretto contatto col il dolore fisico e mentale e il disagio sociale.
Mi viene chiesto di esprimere alcune considerazioni sulle difficoltà che si incontrano nell'amministrare un piccolo comune, ebbene tra le prime criticità che si incontrano troviamo la burocrazia che dal livello più basso a quello più alto della sfera di comando opprimono le realtà più piccole che per mancanza di risorse sia economiche che strutturali intese come carenza di personale rispetto a realtà più grandi e quindi maggiormente strutturate operativamente.
Queste carenze portano inevitabilmente ad un inutile allungamento dei tempi di realizzazione di progetti e opere di vario tipo, visto che essere un piccolo comune non vuol dire avere regole diverse dal grande comune, vuol dire avere meno personale a disposizione per compiere gli stessi atti amministrativi delle realtà più importanti.
Negli anni era circolata l'ipotesi di accorpamento di piccoli comuni con realtà più imponenti. Dal mio punto di vista non una soluzione, ma un modo come un altro per evitare di affrontare problematiche da parte degli organi centrali. Non è infatti cancellando l'identità di una piccola realtà che se pur di dimensioni ridotte ha una propria storia, una propria dignità. Il sindaco di un piccolo comune (proprio perché ci si conosce tutti) è sempre rintracciabile anche solo quando esce per un caffè.
Proprio per ovviare alle carenze di organico, che negli anni alcuni comuni hanno pensato di unire le proprie forze creando le "unioni di comuni", forme di aggregazione che permettono di mantenere una propria autonomia decisionale e di identità territoriale, pur cercando di unire le forze per garantire alcuni servizi fondamentali che altrimenti non potrebbero essere svolti. Certo non è un'impresa facile riuscire a conciliare le esigenze di un piccolo comune con quelle di uno più grande. Sicuramente il compito risulta essere meno gravoso e difficile se gli amministratori non pensassero solo al proprio colore politico, anche se essere dello stesso colore aiuta. Fondamentale dal mio punto di vista è l'integrità morale degli interlocutori, poi, se tra di loro si instaura un rapporto di fiducia e collaborazione reciproca, dove il piccolo è sullo stesso piano del grande, allora una proficua e duratura collaborazione è possibile.
Questo inizio d'anno sconvolto dalla pandemia covid, ha più di ogni altro evento messo in discussione ognuno di noi, mettendo in risalto i problemi di una burocrazia veramente nauseante; siamo stati schiacciati da montagne di DPCM e di ORDINANZE che erano molte volte indecifrabili e lasciavano ampi margini di interpretazione. Siamo stati per la maggior parte del tempo abbandonati a noi stessi dagli organi centrali che si sono trovati forse a loro volta travolti da un evento così catastrofico.
Abbiamo toccato con mano quanto sia stato controproducente l'atteggiamento degli organi centrali degli ultimi decenni che hanno scelto di tagliare soprattutto a livello sanitario le piccole strutture periferiche dislocate sul territorio, vedi la chiusura di piccoli ospedali e presidi medici di primo intervento (le postazioni di guardia medica ad esempio, come centri di lunga degenza sostituiti in parte dai cosiddetti reparti sub-acuti, buona idea ma mal gestita nel suo organico), la delocalizzazione di uffici strategici, vedi ATS Cremona-Mantova, vedi centrale ex 118 ora 112 a Pavia che comprende territorio come Pavia-Cremona-Mantova-Lodi, per non parlare della medicina di base che è stata gettata insieme ai poveri sindaci in pasto alla ferocia di una pandemia sconosciuta e senza precedenti.
Tutto questo ha forse fatto risparmiare denaro negli anni, ma nel momento di reale necessità purtroppo ha messo in evidenza le reali carenze dovute a questa gestione.
Forse unica nota positiva in questo cupo e straziante periodo, sempre secondo la mia modesta esperienza personale, è stato vedere e toccare lo spirito che almeno nei primi momenti ha unito i sindaci del territorio, che si sono posti per il bene comune tutti sullo stesso piano. Dico almeno nei primi momenti perché appena la situazione si è per così dire stabilizzata le varie correnti politiche hanno cominciato a prevalere sul buonsenso e i giochi di palazzo hanno ripreso il controllo, vanificando ciò che di buono da una situazione tanto drammatica poteva nascere. Ma spero tanto di sbagliarmi.