Come annunciato da L’Eco del popolo in una recente edizione, domenica 1 gennaio si è svolta presso la Sala del Municipio di Rivolta d’Adda la cerimonia di acquisizione al patrimonio comunale della bandiera restaurata dei socialisti rivoltani.
Era stata inaugurata ufficialmente nel 1919 dalla sezione, che ne aveva commissionato la realizzazione alle Suore Adoratrici. L’epica di questo drappo temporalmente era destinata a durare l’éspace d’un matin, essendo alle viste un cambio di passo che avrebbe messo in sonno per vent’anni la democrazia.
Ne sarebbe derivata la soppressione delle prerogative liberali di rappresentanza e di organizzazione politica. Di cui avrebbero fatto le spese anche i simboli. Osserva in proposito la brochure, dedicata all’evento ed in distribuzione a Rivolta, che “la storia della bandiera è ricca di peripezie che hanno colpito la sua integrità. I fascisti rivoltani che la conoscevano bene, la volevano bruciare nella pubblica Piazza. Venne salvata dall’intervento dell’allora Podestà rag. Paolo Manara che bruciò un pezzo di stoffa rosso. Fu seppellita, successivamente, in una cascina rivoltana e poi fu affidata al parroco mons. Stefano Renzi che la nascose in parrocchia.”
Si deve a quei protagonisti della vita pubblica di tanti anni addietro se questo cimelio fu preservato e giunse alla temperie della ripresa della vita democratica. Che, per i socialisti, coincise con la simbolica liberazione della storica bandiera. Oggetto di una manifestazione dal valore didascalico che, nel 1946, ebbe come protagonista il leader più amato del socialismo italiano, Pietro Nenni.
Tale è stato il preambolo dell’intervento con cui Virginio Venturelli, attuale coordinatore della Comunità Socialista Cremasca e con un apprezzato passato di Sindaco di Madignano, ha delineato le motivazioni della donazione ed introdotto la conferenza.
Venturelli ha ringraziato i socialisti rivoltani, promotori di questa iniziativa, e l’Amministrazione Comunale che l’ha consentita, nella sede municipale. Fatto questo che aggiunge prestigio e valore all’implicito omaggio ai sindaci socialisti, che svolsero qui, dalla Liberazione in poi, la loro testimonianza di dedizione civile: Tullio Cazzulani, Antonio Mandelli, Giovanni Benini, Aurelio Cazzulani, Angelo Pasqualini. Protagonisti della vita politica ed amministrativa, che vogliamo onorare con animo riconoscente ed affetto. L’evento comunitario di oggi dimostra, almeno dalla folta partecipazione, l’apprezzamento della volontà di rievocare; come un anno fa accadde in occasione della presentazione del libro “Fatti e protagonisti del socialismo cremasco”. Ma, implicitamente, segnala un interesse non ancora cessato verso la storia del socialismo italiano, dei suoi principali interpreti sia livello nazionale come a quello locale, nonostante i tanti tentativi di oscurarla ingiustamente. Come in tutte le storie politiche, anche quella del PSI è stata contrassegnata da luci ed ombre, da vittorie e da sconfitte. La ricostruzione delle vicende passate da questo drappo rosso, svela fatti e personaggi della vostra comunità, veramente meritevoli di essere ricordati. Cosi come merita di essere sottolineato il rapporto di stima e di collaborazione intercorso tra il mondo cristiano e quello rappresentato dai socialisti: braccianti, operai, persone bisognose: furono delle suore ad accettare l’invito dei socialisti, di provvedere al ricamo della bandiera nel 1919, cosi come fu un parroco a nascondere, a conservare in canonica, evitando che andasse distrutta durante il periodo fascista, la bandiera per restituirla loro dopo la Liberazione.
Il dialogo tra cattolici e socialisti, generalmente considerato impossibile, dopo decenni di profonda incubazione, è diventato una alleanza politica negli anni ’60, qui a Rivolta, ma anche livello nazionale con i governi di centro sinistra tra la DC ed il PSI.
All’introduzione di Venturelli ha fatto seguito l’intervento del Sindaco Fabio Calvi, la cui fattiva collaborazione, come sottolineato nelle premesse, ha incrociato la determinazione dei socialisti rivoltani e ha consentito di far giungere al traguardo il progetto di donazione del cimelio, che verrà affisso sulla parete di fianco alla sala Giunta e vicino all’ufficio del Sindaco il successo. Il primo cittadino ha sottolineato con orgoglio un gesto dal profondo significato edificante ed ha annunciato che l’Amministrazione Comunale intitolerà prossimamente una piazza a Sandro Pertini.
È seguito l’apprezzato contributo di Luigi Minuti, già sindaco di Treviglio per tre mandati, appassionato di ricerche storiche, che si sono rivelate determinanti bella messa a fuoco del significato dei simboli politici in generale e quello del PSI in particolare.
Il successivo intervento di Giuseppe Strepparola, promotore appassionato e decisivo dell’iniziativa e dell’evento comunitario si è sofferma sugli aspetti più significativi della ricostruzione storica della bandiera, pubblicata sul libro.
A questo punto sarebbe stato, nella scaletta della conferenza il momento dell’ospite d’onore, Carlo Tognoli, già Sindaco di Milano e parlamentare e ministro, che ha l’apprezzata abitudine di non sottrarsi mai alla richiesta dei socialisti (che non hanno girato la schiena e che ricordano con orgoglio la loro testimonianza politica).
Purtroppo, un improvviso inconveniente ne ha impedito la partecipazione. È toccato a Venturelli trasmette il filo della rivisitazione storica, fortunatamente affidata agli appunti. Che hanno messo a fuoco in particolare la storia del PSI dalla nascita nel 1892 sino all’avvento del fascismo. Il Partito Socialista Italiano è stato il movimento cui si deve – dopo l’unità d’Italia - l’emancipazione dei lavoratori, delle classi subalterne, lo sviluppo delle libertà, dei diritti, della democrazia in Italia. Beninteso, altri movimenti hanno fortemente contribuito ad ampliare le basi della democrazia nel nostro Paese. I liberali, i repubblicani, i cattolici. Tuttavia nessuno può disconoscere la parte determinante che in questo senso hanno avuto i socialisti. E i socialisti riformisti in particolare. Dalla proibizione dello sfruttamento sul lavoro dei fanciulli e delle donne, alle ‘otto ore’, ai diritti di opinione, a quelli politici, sono solo alcune delle conquiste più rilevanti sul terreno sociale e in quello delle libertà.Basta leggere alcuni punti del ‘programma minimo’ presentato a Parma nel 1895 (il congresso della rinascita dopo la scioglimento provocato dalle leggi crispine): suffragio universale – abolizione restrizioni della libertà di stampa, di riunione, di associazione – eguaglianza giuridica tra i due sessi. nazionalizzazione di ferrovie, miniere, linee di navigazione –espropriazione terre incolte – riforma tributaria con tassa unica progressiva – riduzione degli interessi del debito pubblico – giornata di lavoro di otto ore –cassa pensione per i vecchi, invalidi, inabili al lavoro – limitazione del lavoro delle donne e dei fanciulli – igiene nelle fabbriche – scuola obbligatoria sino alla 5° elementare – servizi pubblici ai Comuni – abolizione dei dazi sui consumi – trasformazione della pubblica beneficenza in assistenza socale ed economica – aiuti agli studenti poveri.Perché il ‘programma minimo’? Per non attendere inerti il programma ‘massimo’ cioè la trasformazione del sistema economico per approdare alla società socialista. Su questo cominciano le polemiche, spesso astratte, all’interno del PSI, tra ‘massimalisti’ che trovavano troppo democraticista il programma ‘minimo’ – e i minimalisti, i quali capivano che senza un quadro di libertà e movimento, ogni rivendicazione sarebbe stata vana.Negli anni dell’autoritarismo crispino, nel clima di repressione seguito alla rivolta dei ‘fasci siciliani’, cui fecero seguito numerose agitazioni a sfondo sociale in diverse regioni d’Italia – nel corso di un processo (1894) a Ivrea, contro Oddino Morgari, si leggeva, nello stampato affisso alla porta dell’aula del tribunale dove doveva svolgersi l’udienza: “Imputato: Oddino Morgari – Reato: socialismo”. Era l’anno in cui veniva sciolto il PSI, nato da due anni. Anche allora ebbe molto a che fare con la magistratura.
Il socialismo con il richiamo alla lotta di classe era considerato un fattore di incremento della criminalità. Tuttavia quando nasce il Partito dei Lavoratori Italiani, nel 1892 a Genova, la via legalitaria è già scelta, anche se la repressione si farà sentire, appunto, nel 1894 e nel 1898 (i moti di Milano, stroncati da Bava Beccaris). Le condanne inflitte alla Kuliscioff (due anni) e a Turati (12 anni) e ad altri democratici per i fatti del ’98 furono un colpo terribile, tenuto conto che i dirigenti socialisti si erano adoperati per calmare i rivoltosi e non erano tra gli organizzatori della sommossa, spontanea e determinata da ragioni economiche (il dazio del grano che rendeva troppo caro il pane). La magistratura dava una ‘lezione’ agli organizzatori del socialismo. Le due anime del socialismo, riformismo e rivoluzionarismo, sono presenti sin dalla nascita del PSI. La differenza sta nel metodo: gradualista e democratico, movimentista e parlamentare per i riformisti; quello della conquista del potere anche attraverso la violenza per i rivoluzionari.
Nel Partito Socialista però i rivoluzionari non hanno ben chiara la strada da seguire: sono per la maggior parte deterministi, ritengono che il capitalismo crollerà da sé, per le proprie contraddizioni e debolezze, lasciando la strada libera ai socialisti per la costruzione di una nuova società. È l’attesa dell’ora X. I rivoluzionari in realtà sono ‘massimalisti’, velleitari ed estremisti a parole: abbaiano ma non mordono. I capi riformisti, Turati, Bissolati, Prampolini, Anna Kuliscioff, prevalgono per un lungo periodo, anche quando vengono messi in minoranza. Il loro ‘carisma’ è così forte che padroneggiano la situazione sino a poco prima della 1° guerra mondiale.
D’altra parte le Camere del Lavoro, i sindacati di mestiere, la Confederazione del Lavoro, le Cooperative, sono creazioni dei socialisti di orientamento riformista e offrono al mondo del lavoro agricolo e industriale strumenti per la difesa economica e giuridica dei braccianti e degli operai. Il socialismo municipale, agli inizi del ‘900, con gli interventi sociali, l’introduzione dell’igiene pubblica, l’azione calmieratrice dei prezzi dei beni primari, dei servizi e delle abitazioni – è monopolio dei riformisti. Ciò malgrado i rivoluzionari-massimalisti conquistano più volte la maggioranza nel primo quindicennio del secolo e anzi la mantengono a partire dal 1911 sino all’avvento del fascismo. Sarà Mussolini, direttore dell’Avanti! nel 1912, il ‘leader’ di maggior prestigio di quella tendenza. Però nel 1914 il Benito, dopo lo scoppio bellico tra Austria-Ungheria e Germania contro Francia e Inghilterra, poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915) lascia la posizione neutralista del partito socialista e fonda un nuovo giornale, ‘Il popolo d’Italia’ su posizioni nettamente interventiste. Il PSI si presenta unito, sulla posizione “né aderire né sabotare” all’appuntamento tragico della guerra mondiale. Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917 la grande maggioranza del partito abbraccia la causa della rivoluzione e auspica la costituzione dei ‘soviet’ in Italia. Dopo la fine della guerra segue l’occupazione delle fabbriche da parte della CGL che si conclude con un miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori. Le elezioni del 1919, le prime con il suffragio universale (solo maschile!) vedono i socialisti conquistare un terzo della Camera dei Deputati. I fascisti non ottengono neppure un seggio. Tuttavia il progressivo allontanarsi del PSI dalla linea gradualista avrà conseguenze deleterie per il socialismo italiano. I riformisti capiscono che sarebbe necessario dialogare con altre forze, cattolici e liberali, ma non possono incidere, perché la maggioranza del PSI (dalla quale si stacca nel 1921 la frazione che fonda il Partito Comunista d’Italia di Amadeo Bordiga) - intransigente e velleitaria - non comprende che è in pericolo la democrazia, non vuole allearsi con i partiti democratici ‘borghesi’, ma non sa fare la rivoluzione. Mussolini, nelle nuove elezioni del 1921, ottiene 35 seggi.
Dopo due deboli governi presieduti da Facta, lancia, con il sostegno del Re, una coalizione con una parte dei liberali e dei cattolici e si insedia come Presidente del Consiglio nel 1922. Dà l’impressione di riportare l’ordine e ridimensiona con riforme elettorali maggioritarie l’opposizione. L’assassinio di Matteotti, che aveva attaccato i fascisti per i brogli elettorali del 1924, lo vede in grave difficoltà. Tuttavia, ancora con la protezione del Re, emana leggi liberticide che eliminano praticamente ogni opposizione. I socialisti, divisi e sconfitti, o scelgono l’esilio, o l’emarginazione (quando non vengono processati e condannati al carcere o al confino). Pertini dovrà scontare 12 anni tra prigione e confino. Riformisti e massimalisti (guidati i primi da Turati e i secondi da Nenni) si riunificano nel 1930 in Francia e riescono a ristabilire flebili collegamenti con l’Italia.
Le conclusioni della manifestazione sono toccate a Roberto Biscardini, già Segretario regionale lombardo del PSI, Assessore regionale e Senatore della Repubblica, attuale coordinatore della organizzazione nazionale Socialisti in movimento.
La storia della bandiera socialista di Rivolta d’Adda, come si capisce dal volume che avete predisposto per questa occasione, è la storia “mozzafiato” dei socialisti, ma anche di un’intera comunità.
Non ci sarebbe bisogno di dire molto di più rispetto a ciò che già è stato detto, se non fosse che questa bandiera sia stata parte dell’intero patrimonio politico dei socialisti italiani.
Nel corso degli anni le hanno reso omaggio molti dirigenti socialisti, da Pietro Nenni a Sandro Pertini e da altri che sono stati per me veri amici, a partire da Angelo Pasqualini, Michele Achilli, Paolo Pillitteri e Claudio Martelli.
La prima questione che emerge guardando questa bandiera è la sua particolarità.
Non c’è il “sole nascente” che pur era già in qualche modo in uso anche prima del 1892, ma ci sono, con tutta la loro carica simbolica, i simboli del lavoro contadino, la falce, la vanga, il piccone, il rastrello con la spiga di grano.
Non c’è il martello simbolo del lavoro operaio. Quindi la vostra bandiera è soprattutto il simbolo delle Leghe contadine, in particolare della Lega socialista di Rivolta d’Adda, quelle che più di vent’anni prima avevano dato vita a Genova alla gloriosa nascita del Psi.
Carlo Tognoli ha ricordato Filippo Turati e i contenuti, rivoluzionari per l’epoca, del Programma minimo del 1895.
A me pare giusto ripercorrere questo centenario ricordando solo tre date significative della nostra storia.
La prima è proprio il 1919. Mentre le Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda ricamavano questa bandiera, non dimentichiamolo, nell’anno immediatamente successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, i socialisti erano nel bene e nel male al centro dell’attenzione di tutto il Paese.
Nel 1919 si tengono le prime importanti elezioni politiche del secolo e il Psi sarà il primo partito con il 32,3% dei suffragi.
Non raggiungerà mai un risultato così in tutta la sua storia successiva e contemporaneamente emergono i primi segni del fascismo.
Nel 1921 il Psi otterrà il 24% e nel 1924 con le elezioni truffa del fascismo calerà al 5,9%. Le intimidazioni fasciste che accompagnarono quelle elezioni consentirono al Partito Nazional Fascista, non a caso, di ottenere il 64,9%.
Ma nello stesso anno di quel successo elettorale, nel 1919 a Milano il Sindaco socialista Emilio Caldara eletto alle elezioni amministrative del 1914, lascerà il segno della grande capacità amministrativa del socialismo riformista milanese.
Sindaco di tutti i milanesi introdurrà per la prima volta, con senso pratico, le grandi riforme di carattere sociale. Costruirà la prima efficiente struttura amministrativa dell’assistenza pubblica per i più bisognosi, per i più poveri, per i disoccupati e per i reduci della guerra.
Seppe coinvolgere tutta la città, seppe utilizzare la collaborazione di industriali e commercianti, tanto che da allora in poi Milano per molti anni si è identificata con i socialisti perché i socialisti seppero identificarsi con i milanesi.
Ma Caldara, sulla base del vecchio insegnamento che un bravo amministratore socialista deve ogni giorno saper risolvere il problema più urgente che ha di fronte, ma nello stesso tempo deve dedicare un po’ del suo tempo per progettare il futuro, progettava il futuro di Milano e della Lombardia.
Si pone il problema di realizzare le prime metropolitane sulla base di progetti già individuati da un altro grande sindaco socialista milanese, Antonio Greppi, e proprio nel 1919 dà inizio ai lavori di costruzione del porto di Milano per la realizzazione del grande canale navigabile Milano-Cremona-Po.
Ma il 1919 sarà anche l’anno dell’inizio della violenza fascista, delle prime squadracce che individuano proprio nei socialisti il primo nemico da battere.
È il 15 aprile 1919 quando i fascisti assalgono la sede dell’Avanti in via San Damiano, che viene completamente distrutta.
La seconda data, tra le tante che voglio ricordare, è il 1946 quando, per iniziativa dei socialisti e in particolare di Pietro Nenni, si tiene il referendum su monarchia o repubblica. Non tutti erano d’accordo, non tutti avevano fiducia nel popolo italiano. E per il coraggio che abbiamo avuto possiamo andare orgogliosi, l’Italia repubblicana è per certi versi merito nostro.
Subito dopo verrà approvata la nostra Costituzione alla quale i socialisti diedero un grande contributo sul terreno della giustizia sociale e della libertà.
Da lì inizia un lungo percorso, contrassegnato dall’impegno dei nostri principali leader, Nenni, Mancini, De Martino e Craxi.
È la storia della nostra comunità che, pur tra tante divisioni e diversità culturali, è stata la storia appassionata della democrazia italiana a tutti i livelli, nelle battaglie parlamentari fino all’impegno nei più piccoli Comuni, ai quali prestavamo la stessa identica attenzione.
La presenza dei socialisti nelle amministrazioni locali, nella società e nel sindacato ci consentì, con il consenso popolare, di ottenere importanti riforme a partire dagli anni ‘60.
Basta citarne tre: lo statuto dei lavoratori, la scuola media unificata e il servizio sanitario nazionale, a cui seguirono le riforme civili per l’introduzione del divorzio e dell’aborto.
Tante battaglie per l’emancipazione dei cittadini e dei lavoratori.
Infine l’ultima data da ricordare purtroppo è quella dolente del 1993, data in cui tutti noi, da Bettino Craxi all’ultimo socialista, pagammo il prezzo di essere stati il capro espiatorio della crisi del sistema dei partiti, già in atto da molti anni. Dall’uccisione di Moro in poi.
Ma da allora i partiti saranno via via distrutti e impoveriti nei decenni successivi, fino ad arrivare ad oggi, con una gravissima crisi economica, sociale e istituzionale sepolta sotto le ceneri della seconda repubblica.
Adesso dobbiamo, pur in mezzo a mille difficoltà, avere la capacità di capire il passato (come quello che oggi qui stiamo celebrando), vivere il presente ma contemporaneamente costruire il futuro.
È evidente come in Italia e nel resto del mondo ci sia nella società un grande bisogno di socialismo.
È un bisogno che va oltre noi stessi, è il bisogno, per una larga parte di popolazione, di avere una rappresentanza politica che oggi non ha, nella società e nelle istituzioni, a partire dal Parlamento.
È una domanda politica alla quale bisogna dare una risposta. È una domanda che ci dovrebbe impegnare tutti a lavorare per la ricostruzione di un nuovo grande partito del socialismo italiano.
Un partito della riunificazione e della rigenerazione.
Un partito che riscopre l’identità e la cultura dei vecchi socialisti ma che deve essere anche il partito delle giovani generazioni, di tanti giovani che sono socialisti di fatto ma non lo sanno.
Che vivono le difficoltà del presente e sono preoccupati del loro futuro.
Che non lo sanno perché non hanno mai avuto un partito socialista di riferimento.
Un partito largo e aperto. Aperto a tante esperienze, che sappia cogliere le fiammelle vive che pur nella società ci sono, impegnate su molti fronti, dal lavoro, all’ambiente, alla solidarietà.
Quindi, che sa riunire culture diverse, dalla cultura socialdemocratica, a quella liberaldemocratica, a quella cristiana.
Giornate come queste ci incoraggiano ad andare avanti.
La cerimonia ha avuto un apprezzato epilogo: la consegna, agli intervenuti, della medaglia coniata per il centenario della bandiera e la distribuzione del libro rievocativo.