Colosso di Rodi con i piedi d'argilla, il mito della sanità lombarda è stato disintegrato dall'attacco del covid-19. Le decine di migliaia i contagiati; i morti con aumenti quotidiani a tre cifre sono atti d'accusa e prove inconfutabili del disastro.
E se il mito si è dissolto non è per causa di medici, infermieri e degli altri operatori sanitari, ma della politica che ha indebolito la medicina sul territorio e puntato su ospedali-aziende.
Una politica che ad ogni accenno di critica, ha sventolato statistiche, grafici, analisi favorevoli alla scelta fatta. Ma si sa che con la statistica si può sostenere tutto e il contrario di tutto. I numeri nella loro apparente oggettività sono sempre interpretabili. Sono un elastico che si allunga e accorcia in base alla necessità.
E sulla situazione della medicina sul territorio illuminanti sono le lettere che si sono scambiati il dottor Gianluigi Spata - sottoscritta dai presidenti degli ordini provinciali dei medici - e l'assessore regionale Giulio Gallera.
Tronfia e supponente, prona a benchmark e stakeholder, che insieme alla libreria dietro alle spalle dell'intervistato fanno manager cazzuto ed esperto con i controfiocchi, la politica ha paragonato gli ospedali alle industrie ed ha agito di conseguenza.
Stordita dall'idea di una sanità efficiente, moderna e all'avanguardia, schiava alle leggi dell'economia, la politica ha ridotto il numero delle Asl e ristrutturato gli ospedali con criteri meramente finanziari, ma senza eliminare sprechi e scandali. Ha ingrassato cliniche e ospedali privati. Non è un peccato, sia chiaro. Anzi, una sinergia tra loro è auspicabile, ma con la consapevolezza che il privato ha un occhio di riguardo per il business.
«La sanità Lombarda è una delle migliori d'Europa». Dopo l'avvento del virus questo mantra ripetuto fino alla nausea è scaduto. Se ne prenda atto e, passato lo tsunami, si metta una pezza. Per essere i migliori non bastano le eccellenze che, comunque devono essere mantenute e potenziate, serve anche una medicina sul territorio capace di intervenire in maniera rapida e mirata.
E per salvarsi l'anima non basta la pubblicità - con loghi di Confindustria Lombardia, A.I.O.P. (Associazione Italiana Ospedalità Privata, sede regionale Lombardia), ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio sanitari) e Regione Lombardia - comparsa su alcuni quotidiani nazionali. Una excusatio non petita per magnificare i risultati ottenuti dalla «alleanza autentica tra strutture sanitarie private accreditate e ospedali pubblici sanità privata insieme alla sanità pubblica» in termini di vite umane salvate dal covid-19. Pubblico e privato, binomio che «ha permesso di arginare l'emergenza che così violentemente ha colpito la Lombardia». Senza dimenticare che «il modello sanitario lombardo ha mostrato tenuta, coesione, collaborazione e straordinaria reattività». Meglio non pensare a cosa sarebbe successo alla Lombardia senza questa diga. Già, nella pubblicità non compare il numero dei morti.
Ma al di là di quanto appena detto, che può essere bollato come frutto di un pregiudizio ideologico, ci sono i fatti che testimoniano una gestione dell'emergenza che non è stata tra le migliori auspicabili.
Alcuni esempi. La chiusura dei bar alle 18, riaperti due giorni dopo e infine completamente blindati. La guerriglia prima evidente, poi sotterranea tra Regione e Governo con relativo sconcerto dei cittadini. Gli annunci sull'arrivo della discesa del contagio: partiam, partiam, ma il virus fermo, il dito medio alzato. Il quiz mascherine sì, mascherine no. Poi l'ordine: mascherine per tutti. Se non si trovano, cavoli vostri: bastano sciarpe e foulard. Come Maria Antonietta: «Non hanno pane, dategli le brioches». Ma non sono bastate a fermare la rivoluzione. E intanto nelle Rsa è entrata la magistratura.