L'ECOLIBRI C'è del nuovo in Italia di Fabio Abeni presentato a Cremona
Premettiamo che la presentazione e l'approfondimento del saggio di Fabio Abeni, che colma una lacuna nella storia contemporanea di Cremona, hanno fornito una apprezzata occasione per dimostrare la sopravvivenza di una significativa aliquota di partecipazione alla vita civile e culturale della nostra città. Che sa ancora appassionarsi e commuoversi quando viene sollecitata da assist capaci di porre il giusto riflettore su pagine di un fecondo passato.
A tale positivo risultato di un evento, svoltosi come avrebbe detto il Sindaco Galimberti in una location che rappresenta il luogo sacro della diffusione della cultura storica della città, hanno concorso l'autorevolezza e la preparazione dei PROTAGONISTI della conferenza, guidata con lievità ed abilitata da Mariella Laudadio, dirigente dell'ANPI, ed animata dal confronto tra l'autore e la giornalista Barbara Caffi.
La quale, in uno dei suoi stringati ma efficaci spunti offerti all'autore, ha ricordato che Cremona, in fatto di accoglienza, storicamente presenta un curriculum significativo; che pochi mesi dopo, con l'accoglienza degli esuli israeliti provenienti dall'Europa Nord-Orientale e dei profughi giuliano-dalmati alla ricerca di una patria, avrebbe dato prova della sua saldezza umanitaria e civile.
Il Sindaco, nel ribadire il senso del patrocinio dell'evento, ha esortato a percepire che quel nuovo, rivelatore dell'imbocco del percorso di un'Italia uscita dalle tragedie e proiettata verso una dimensione di solidarietà verso i più deboli, vale ancora per lo scenario di adesso. Dove l'afflato ad accogliere deve costituire un tratto della proiezione del presente verso il futuro, in continuità con le consapevolezze dedotte dalla conoscenza della storia del passato.
Galimberti ha definito la memoria storica un balsamo per l'anima, che aiuta a conoscere e a leggere i trascorsi, soprattutto, dei tornanti drammatici, in cui si intravedono, per chi lo vuole, squarci di luce. Come quelli che contraddistinsero quella eccezionale mobilitazione del popolo coeso in tutte le sue sensibilità. Ne fu dimostrazione il fatto che l'iniziativa, partita dalla sinistra politica e sociale, ebbe apprezzamento e condivisione anche dagli ambienti cattolici.
E, prima di lasciare ampio spazio alla prolusione del prof. Giancarlo Corada, molto utile a contestualizzare e delineare il profilo della testimonianza focalizzata dalla ricerca di Abeni, faremo menzione dei presupposti e delle motivazione che sono stati alla base della sua intrapresa. Più che di una curiosità, favorita dalla ricorrenza dei rimandi colloquiali dell'ambiente famigliare e della nonna, in particolare, si dovrebbe parlare di una vera e propria sollecitudine a sviluppare la conoscenza su tracce ritenute degne, per il loro manifesto valore storico, di essere organicamente approfondite ed avviate alla divulgazione.
Stimolato dalla brava Barbara Caffi, Abeni ha specificato che su questa preesistenza è via via cresciuto l'interesse ad allargare il raggio dell'esplorazione, fruendo dell'opportunità delle trasmissioni televisive ad indirizzo storico e della consultazione di pubblicazioni e fonti documentali che, anche localmente, si sono rilevate cospicue. Non escluso l'interpello orale dei pochi superstiti, testimoni di quella temperie.
Nell'interpello di una delle donne comuniste gussolesi, coinvolte nella campagna di accoglienza, si sentì rispondere, alla domanda sulle motivazioni di questa impegnativa mobilitazione, che “il Partito ci aveva chiamato e non si poteva dire di no”
Rivelazione questa scontata nelle conoscenze sia dei militanti sopravvissuti sia di coloro che, pur facendo parte del PCI, sono sempre stati avvertiti della assoluta dedizione che rasentava ed in alcuni casi travalicava il fideismo. In questo caso, considerata la nobiltà della causa, ampiamente giustificato.
Abeni, politicamente figlio e nipote d'arte, non ha, forse anche perché punzecchiato, resistito alla battuta circa l'assoluta infondatezza dell'accusa a quei tempi rivolta ai comunisti d'esser “mangiatori di bambini”.
L'introduzione del prof. Gian Carlo Corada
“C'è del nuovo in Italia”, di Fabio Abeni, dimostra come lo studio della storia riservi sempre nuove sorprese, come sia sempre un “work in progress”. Utilizzando fonti scritte, ricerche d'archivio ed interviste “sul campo”, l'autore racconta, con notevole perizia e bella scrittura, un'importante vicenda del secondo dopoguerra italiano: l'arrivo in alcune città e province del Nord Italia, fra cui Cremona, di bambine e bambini provenienti da zone particolarmente martoriate dalla guerra appena terminata. Bambine e bambini ospitati da famiglie in migliori condizioni economiche (a volte di poco) e soprattutto animate da un grande afflato solidaristico. “Dove si mangia in sei si mangia in sette” si diceva, quasi a giustificazione di un atto tanto grande in un periodo comunque di estrema povertà. In realtà agiva in quelle famiglie lo spirito di generosità che tante volte abbiamo visto in passato lenire i disagi delle condizioni di vita delle classi popolari. La solidarietà, secondo recenti studi, ha addirittura permesso all'essere umano di evolversi e, certo, senza l'altruismo di molti, la sorte di intere generazioni sarebbe stata diversa.
In che cosa il libro di Abeni apporta nuove informazioni su di una vicenda quasi del tutto dimenticata e trascurata dai libri di storia e dagli stessi protagonisti? Le novità sono diverse. I pochi autori che hanno parlato di questa iniziativa, l'hanno in genere descritta come circoscritta nello spazio e nel tempo. Nello spazio, individuando in Milano, Cassino, Napoli, Potenza e Matera le città da cui provenivano i bambini e nelle province dell'Emilia e di Mantova i luoghi ospitanti. Nel tempo, limitando l'azione di solidarietà agli ultimi mesi del '45, al '46 e poco oltre. Abeni invece dimostra che i luoghi interessati erano più numerosi di quelli citati: Roma, Torino, Massa Carrara ed altre aree da un lato; Parma, Pavia e Cremona ed alcune altre province dall'altro. E dimostra che l'iniziativa proseguì fino alle alluvioni della Campania e del Polesine (autunno 1951), per confluire nelle azioni di solidarietà con i braccianti pugliesi in lotta, quando gli anni '50 erano da un po' iniziati. Il caso di Cremona è ovviamente al centro dell'indagine. Pensate che si trattò, tra città e provincia, di centinaia e centinaia di bambini ospitati per mesi dalle famiglie cremonesi (a volte anche per un anno, a volte anche adottati)! Tutto, a Cremona come altrove, per iniziativa del PCI e dell' UDI, associazione di donne di sinistra (per un certo tempo con la presenza anche di donne cattoliche), ma con la collaborazione attiva, a Cremona ed altrove, di altri partiti ed associazioni di sinistra, delle Istituzioni, della Croce Rossa e di parti importanti del mondo cattolico. Mondo cattolico che si comportò in modi assai variegati: dalla collaborazione aperta al sostegno tiepido, dall'impegno diretto alla contrapposizione. Molto dipendeva dall'atteggiamento delle persone che operavano sul territorio. A Cremona il Vescovo Mons. Giovanni Cazzani non esitò a dare il benvenuto ai bambini ed a mettere a disposizione strutture della Diocesi. Così pure agì il Vescovo di Crema, Mons. Francesco Maria Franco. In provincia diversi Parroci si comportarono allo stesso modo, seguendo l'esempio di quello di Gombito; altri si contrapposero, come a Gussola, ed uno, il parroco di Izano, nella Diocesi cremasca, arrivò a contestare pubblicamente il suo Vescovo!
Il libro si sofferma anche, con osservazioni finali assai interessanti, sulle caratteristiche dei “partiti di massa”. In particolare su quel “partito di massa” (il PCI) e quella associazione (l' UDI) che riuscirono ad organizzare per alcuni anni l'operazione. Il “partito di massa” agiva su più fronti: all'azione di ospitalità univa le sottoscrizioni per aiutare le popolazioni nei luoghi di residenza; all'ospitalità ed alle sottoscrizioni affiancava proposte parlamentari (stanziamenti, verifica infrastrutture ecc.). Sapeva trattare con le Istituzioni e gli altri partiti, ma soprattutto era una “comunità” per chi vi aderiva. Una comunità con regole ed ideali. Ottenere consensi e prendere più voti era un obiettivo, ma secondario. Prima veniva l'affermazione dei propri principi, tra cui la solidarietà come valore in sé e come anticipazione di una maggior giustizia nella società futura. A dimostrazione di ciò, il libro di Abeni riporta molti episodi. Il libro è quindi anche una miniera di informazioni ed aneddoti sulla vita sociale, culturale e politica di Cremona e del cremonese in quel periodo.
L' autore non si limita, però, alla descrizione di quanto avvenuto a Cremona. Nella prima parte soprattutto analizza la situazione generale in cui si trovava il nostro Paese in quegli anni, il contesto insomma entro cui inserire le azioni generose di cui parliamo. Spesso infatti fatichiamo a renderci conto appieno delle condizioni e dei problemi dell'Italia nei mesi e negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra. L'entusiasmo, la speranza erano grandi; così la voglia di ricostruire il Paese dalle macerie della guerra e del fascismo. Lo stesso titolo del libro è il titolo di un articolo de “l'Unità” del gennaio 1946 che ben esprime la soddisfazione per i risultati raggiunti, la voglia di proseguire lungo la via del cambiamento e la speranza nel futuro: “c'è del nuovo in Italia”! Ma la realtà era difficile. La produzione agricola s' era ridotta, quella industriale in certe zone era alla paralisi; parte del patrimonio abitativo, nelle città soprattutto, distrutto o danneggiato; le strade erano impraticabili, i trasporti ferroviari e marittimi saltuari; le malattie, tubercolosi in testa, diffuse ovunque. Per i bambini, particolarmente gravi erano la sottonutrizione, l'assenza di vestiti adeguati e scarpe, la ridotta igiene ed il freddo (il costo dell'energia, anche della legna, era elevatissimo). Occorre tener conto poi della presenza degli Alleati, che gestivano gli aiuti e condizionavano le Amministrazioni anche locali, e che ben presto il PCI divenne “sorvegliato speciale”, per ragioni internazionali ed interne (benché Togliatti, come giustamente ricorda Abeni, insistesse nel dire che la lotta della Sinistra non era “contro il capitalismo in generale ma contro forme particolari di rapina, di speculazione e di corruzione, senza ledere l'iniziativa privata”). Troppo forte era il legame del PCI con l' URSS e la paura in molti che anche in Italia si instaurasse una dittatura del proletariato. Con le forze Alleate bisognava, dunque, raccordarsi e pure con le Istituzioni, che divenivano, con il passare del tempo, sempre più ostili alle Sinistre. Abeni ricorda tutto questo per sottolineare ancor più l'eccezionalità dello sforzo fatto, la capacità organizzativa e l'abilità “diplomatica” dei protagonisti di quell'impresa.
Soprattutto le donne furono protagoniste allora: donne prima partigiane (non solo staffette, ma combattenti), poi attiviste politiche pur essendo mogli e madri. Donne indipendenti ed emancipate, intelligenti ed affettuose, capillarmente attive famiglia per famiglia. Di alcune di queste belle figure l'autore tratteggia convincenti “medaglioni”, a partire da Teresa Noce (che sembra proprio essere stata la prima ad avere l'idea di organizzare l' ospitalità dei bambini).
Un lavoro, dunque, quello di Fabio Abeni, apprezzabile e nuovo. Un esempio di “microstoria” che si articola fino a contribuire alla rilettura di un momento importante della Storia nazionale. Un libro che merita di essere letto, anche per rendere omaggio alla generosità di persone di cui molti oggi nulla sanno.
( vedi allegato)