Nella consapevolezza che ogni tanto fa bene accompagnare, con questi contributi al di fuori della quotidianità e della immediata prossimità, l'impulso ad alzare lo sguardo su argomenti che l'informazione giornalistica “relega” nelle pagine della politica estera e consegna ineluttabilmente alla trascuratezza da parte dei lettori.
Salutando all'inizio dell'anno il successo della candidatura presidenziale del democrat Biden avevamo azzardato la tesi (che non rinneghiamo) che la sconfitta dell'avversario Trump avrebbe contribuito al ripristino di dinamiche più rassicuranti, per il mantenimento della coesistenza e per l'accelerazione del ruolo fecondo delle alleanze di ispirazione liberaldemocratica.
Ma, come abbiamo avuto modo di constatare nel prosieguo (dal ripiegamento Afghano in poi), se il nuovo Presidente a stelle e a strisce garantisce meglio che il suo predecessore, resta il fatto che il suo agire resta fortemente ispirato dalla prerogativa di rappresentare gli interessi del paese di cui è espressione.
Non ne avevamo mai dubitato. La vicenda del “rigatino” (come direbbe il Conte Mascetti di Amici miei) rifilato dall'establishment della Presidenza Biden alla Francia in materia di committenza all'Australia di sottomarini nucleari non mette a nudo solo uno “sgarbo” ad un autorevole partner comunitario, quale è la Francia, ma, come giustamente osserva Azzoni, apre una fase nuova nell'equilibrio mondiale.
Ringraziando Azzoni per questo contributo, auspichiamo che sull'argomento venga aperto un ampio confronto.
Caro Direttore, dipendiamo sempre di più ed inesorabilmente, anche per la nostra vita quotidiana in ogni senso, dalla cosiddetta geopolitica, dalla globalizzazione, da vicende planetarie. Come esse vengono affrontate ci tocca molto da vicino: accadono vicende inquietanti che ci obbligano alla riflessione, al confronto, ad esprimerci. In questi giorni si apprende di una alleanza tra Stati Uniti d'America, Inghilterra ed Australia con la quale nel Pacifico si immetteranno sottomarini nucleari con dichiarate finalità anticinesi. Si leggono nella pubblicistica importante frasi come "fermare la Cina"...."portare la libertà in Cina" e simili. Per di più, di fronte ad una così dirompente novità geopolitica sembra che la principale questione sia quella di una concorrenza sleale tra America e Francia nella vendita dei sottomarini. Davvero sconcertante. Il piano su cui si pone una cosa del genere appare assolutamente diverso e maggiore. Si innesca un primo scatto di un meccanismo i cui sviluppi sono incogniti. Lo si fa a freddo, nemmeno con i falsi pretesti usati in altri casi. I problemi della democrazia, dei diritti umani, della concorrenza nell'economia tra Cina e occidente non si affrontano con sottomarini nucleari. Esperienze come aver armato a suo tempo i talebani (per vederli ora padroni a Kabul) o l'avere destabilizzato Irak, Siria, Libia e quant'altro usando le superarmi tecnologiche con esiti pessimi non dicono niente?
Giuseppe Azzoni