Ovviamente, non c'è correlazione tra quel ministero di De Gregori e lo Speranza ministro (della Sanità). Ma, in questi contesti di diffusa e profonda preoccupazione e (sia pur non per tutti) di consapevolezze, affondare queste consapevolezze anche nell'ottimismo (della volontà) non sarà esercizio vano.
La comunità nazionale, more solito, non si sta esattamente rivelando un avamposto né di coesione né di severa testimonianza del superiore interesse civile. Tale profilo, in passato attribuito a Paesi di antica tradizione, sta rivelando inaspettate crepe in certezze destinate a deluse riconsiderazioni.
Tale premessa è servita ad orientare lo sguardo per un dossier 8 marzo correlato alle caratteristiche degli attuali scenari.
Senza minimamente voler azzardare un antologico pregresso della modalità con cui negli ultimi anni abbiamo testimoniato sulla nostra testata il dovere etico-morale di celebrare la ricorrenza, abbiamo scelto di ricomprendere nella cimasa iconografica di questo editoriale gli spezzoni visivi dei precedenti approfondimenti.
I titoli erano stati: “Paola Clemente, 49 anni, il 13 luglio del 2015 è morta di fatica nei campi di Andria (in Puglia). L'ha ammazzata il lavoro: dodici ore al giorno per 27 euro di paga”; “Note di donna: il meglio 8 marzo”; “festa di consapevolezza e di testimonianza”.
Che voleva significare un profilo tematico per ogni anno: il lavoro, lo sport e l'arte, l'estrema dedizione nelle emergenze.
Quest'anno è impossibile non fare riferimento alla persistenza del filone storico della segregazione della condizione femminile: la crescita esponenziale della violenza. Nelle forme tradizionali ed in quella accelerata della fase estrema, che è il femminicidio.
Prima di essere un problema di giusta repressione e prevenzione, costituisce una ineludibile questione civile di emancipazione culturale. Che deve colmare quel gap che si è andato ampliando tra una tendenza maschile, apparentemente consapevole del fondamento della parità ma nei prevalenti comportamenti soggettivi (e/o collettivi) in materia di affettività attestata su un'aspettativa di possesso e testimonianze, nel campo femminile, di stili di vita, che pur essendo perfettamente legittimi e coerenti con la parità, non sempre appaiono consapevoli della permanenza di larghe fasce di arretratezza.
Ci verrà in soccorso la testimonianza illuminante ed attualizzata (dopo 130 anni) di Anna Moiseevna Rozenstein, meglio conosciuta come Anna Kuliscioff. Ammoniva già nell'ultima decade dell'800 il compagno di allora (in via di separazione) Andrea Costa (primo deputato socialista): “tu cerchi in me la femmina, non la donna”.
Parliamo di un destinatario dell'esternazione, non esattamente reticente, che per i costrutti teorico-pratici della testimonianza politica e ideale avrebbe dovuto essere al riparo da siffatte emende. Essendo a quei tempi riconosciuto trascinatore di un movimento, che, sia pure molto simile ad un magma, poneva ineludibili questioni di giustizia (anzi di uguaglianza) sociale e di diritti civili.
Nell'ambito dei quali la priorità avrebbe dovuto essere riconosciuta al genere.
Non di meno la “natura” dei derelitti aveva alzato sul punto (evidentemente focalizzato dai comportamenti poco consoni del partner) la voce, fino al punto della separazione.
Ma, evidentemente, la questione della sovrapposizione della fattispecie del requisito di femmina e della condizione di donna permarrà, nonostante la progressione legislativa e dei costumi praticati, largamente nell'immaginario, nella cultura e nell'armamentario teorico-pratico per molto tempo.
Praticamente, anche ai giorni nostri. Se una folta fascia di femminicidi e violenze, inimmaginabili in contesti emancipati, denuncia come movente comportamentale la permanenza di quel perno relazionale che riconosce all'altra metà del cielo, non già la piena titolarità discendente dalla parità civile di genere, bensì una più circoscritta area riconducibile al requisito della femminilità. Rigorosamente sottomessa alla pretesa di limitarne libertà, costumi e diritti.
Tale inscalfibile substrato fa da dorsale ad un percepibile processo di incrudimento della condizione esistenziale dell'altra metà del cielo.
La durezza dei tempi, indotto della tragedia pandemica, è per tutti (o quasi). Ma colpisce, per la diversificazione dei carichi, in termini non lineari la condizione femminile. Di lavoratrice, di sposa, di madre; che finisce per diventare il terminale dell'accentuazione delle problematiche.
Nonostante che la retorica conceda enfatici riconoscimenti al ruolo centrale effettivamente svolto in certi segmenti dell'attività comunitaria.
È parso, quindi, doveroso alla direzione della testata immaginare un forum 8 marzo ispirato alle consapevolezze storiche della ricorrenza (chiamando in campo Giuseppe Azzoni) e ad una visione interdisciplinare sollecitata alle numerose e qualificate voci e menti che ruotano attorno al generoso impegno civile di ogni giorno. Che vuole essere di approfondimento e di confronto, ma anche di ritessitura di una consuetudine dialettica che costituisce il pane di una democrazia (un po' esanime).
La Direzione ringrazia: Giacinto Zanetti (poeta in lingua dialettale), Clara Rossini (past Presidente dell'Associazione Zanoni), Roberta Tosetti (Consigliere Comunale -coordinatrice del forum Soncinese), Stella Bellini (Consigliere Comunale di Cremona), Maria Rita Balsamo (Presidente DIDIAPSI). Altri, qualificati contributi sono preannunciati. Un riscontro così intenso, che i tempi indurrebbero a considerare inaspettati, accredita che “si può sperare”.
Donde l'augurio per un 8 marzo di consapevolezza e di testimonianza.