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25 settembre: la riflessione e l’indicazione della Comunità Socialista del Cremasco

  19/09/2022

Di Redazione

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La Comunità socialista cremasca, invitata ad esprimersi sulle alleanze e sulle liste in competizione alle elezioni politiche del prossimo 25 settembre, dopo una articolata discussione conviene quanto segue:

  • innanzitutto, occorre vincere lo scoramento diffuso generato dai contenuti della campagna elettorale e dal riscoperto, distorto, sistema di voto, mescolante norme maggioritarie e proporzionali, senza alcuna possibilità per gli elettori di scegliere disgiuntamente i candidati rispetto alle liste e alle coalizioni di riferimento,
  • segnala la necessità di contenere la diserzione delle urne con la promozione di una partecipazione consapevole delle regole e quindi determinata a limitare i danni e le beffe dei provvedimenti approvati, in questi anni, dai Partiti avvicendatisi al Governo,
  • dubita sulla efficacia delle totalizzanti richieste di voto, che paventano conseguenze disastrose in caso avverso, cosi come degli slogan a copertura di deboli proposte e strategie,
  • ribadite la propria contrarietà alle linee programmatiche del centro destra, ma altresì la propria delusione sull'assetto del centro sinistra, con l'asfittica lista PD “Italia democratica e progressista”, da un lato, ispirata ai valori del socialismo europeo, senza nessun esplicito riconoscimento alla tradizione socialista italiana, e dall'altro, senza l'apporto delle forze laiche riformiste, penalizzante la competitività nei collegi uninominali,
  • individua nella valutazione delle candidature il punto dirimente per una scelta favorevole alle espressioni territoriali, in condizioni di essere elette, contro quelle spudoratamente plurime, garantite e imposte dai Partiti,
  • ragionatamente, per quanto sopra riassunto, quindi suggerisce di votare Giorgio Pagliari per la Camera e Carlo Cottarelli per il Senato, senza alcuna preferenza per i Partiti collegati,
  • confida nella perseveranza dei socialisti, ancora una volta senza un simbolo ed una lista autonoma sulle schede elettorali, perché all'indomani delle elezioni riprendano a lavorare, ad ogni livello, per la costruzione di un partito socialista, all'altezza di affrontare le gravi situazioni sociali ed ambientali in essere.

Per la Comunità socialista cremasca: Virginio Venturelli.

Per il PSI provinciale, aderisce Alberto Gigliotti.

Virginio Venturelli
Virginio Venturelli
Alberto Gigliotti
Alberto Gigliotti

1000 sfumature di niente

Siamo stati tentati, lo confessiamo, da un incipit che ci avrebbe consegnato alla fattispecie dei turatori di naso. Che, in aggiunta alla punzonatura nell'accezione elettorale da parte di una personalità da noi sempre detestata, non può appartenere, in ogni caso, alla nostra cultura. D'altro lato, con quel po' po' di meno che abbiamo dispensato attorno alle sciaguratezze del Congresso socialista di luglio, non ci si potrà accusare di testimonianze a minimo sindacale. La frittata è fatta. Si intravede la dirittura d'arrivo di una delle peggiori congiunture del ciclo repubblicano. E su quanto abbiamo davanti ci orienta solo la consapevolezza di esercitare il diritto-dovere di cittadini domenica 25. Né anatemi verso gli avversari né affidavit per gli amici

…da parte della nostra testata, che, pur non essendo (da 133 anni) “indipendente”, non ritiene di assumere un'impronta “militante” nel prosieguo dell'ultimo scorcio di una campagna elettorale, ben lontana dagli standard minimali della buona politica. Azzarderemmo, la peggior contesa tra le decine cui nel corso degli anni abbiamo assistito/partecipato.

Impostata (o forse solo gestita secondo un incontrollabile working progress) nell'intento di renderla fuorviante rispetto a ciò che dovrebbe essere una rigorosa offerta, da parte dei players, di opzioni da trasfondere nelle urne.

È avvenuto esattamente l'opposto e, nell'ultimo scorcio, ne vedremo, come direbbe la proverbiale marchesa, delle belle.

Col risultato che quasi la metà del corpo elettorale potrebbe essere indotto a rinunciare, per inconsapevole neghittosità o per conscia scelta, all'esercizio del diritto/dovere (fino alla fine degli anni 50 se ne sarebbe dovuto render conto). In tal modo incrementando e accelerando il disassamento del principale asse portante del modello liberaldemocratico.

Volendo sviscerarne le derive, non tutte le discontinuità debbono essere intestate a cambi di fase necessariamente violenti. Circostanza questa più congrua ai defaults del 900.

Nel primo secolo del terzo millennio le dinamiche, che hanno portato allo sfibramento dei perni del sistema democratico, generalmente sono state innescate dall'esaurimento della partecipazione popolare attiva alla vita pubblica, all'accentuazione del carattere autocratico dei protagonisti che sono i partiti, all'apparente, temporaneo mantenimento formale delle regole in realtà soppiantate dalle tendenze polarizzanti.

È avvenuto in realtà, come l'Ungheria dimostra, come conseguenza di trascorsi liberaldemocratici non esattamente consolidati (cui non casualmente guarda con molto interesse la polarizzazione). D'altro lato, in altri contesti occidentali non sempre il cambio di passo all'involuzione è avvenuto per cedimento strutturale.

Non è questa una novità; anzi potrebbe essere solo l'ultimo step di un'involuzione inarrestabile del sistema politico-istituzionale. Di cui non è difficile, se si resta correlati ad un minimale sforzo di lettura delle tendenze in atto che abbia un senso), prendere consapevolezza.

Alcuni giorni fa abbiamo dispensato una riflessione sul “tour dei patrioti”; con cui in realtà, se si vuole guardare la luna e non il dito, volevamo segnalare una clamorosa entrata in campo elettorale di un cartello editoriale/imprenditoriale. Fatto questo che, pur non inducendo nessun a stracciarsi le vesti, fornisce una variante della tendenza appena segnalata.

Sicuramente non va, omessa dalle analisi e dalle consapevolezze, la circostanza che il concorrente più accreditato dai pronostici, in termini sia di acquisizione dei consensi sia di conseguenti assunzioni di ruolo nei futuri scenari legislativi e governativi, continui ad essere recalcitrante a dismettere, nell'asset delle proprie ascendenze e dei propri riferimenti teorici, perni, che nella nostra lettura appaiono fondamentali nel pieno accreditamento di appartenenza alla Costituzione Repubblicana e, che, invece, costituiscono tamquam non esset per una diffusa sensibilità (indotta a badare maggiormente “al sodo” delle lusinghe populistiche).

Insomma, un modello, un regime che non diano l'incombenza di pensare, di valutare, di scegliere. Non, come abbiamo letto ieri, “il” fascismo, è sempre possibile. Ma “un” fascismo.

Prospettiva cui il campo teoricamente avverso ha sin qui contrapposto, con il “Patto a difesa della Costituzione”, un'alternativa di per sé debole quando non fortemente sospettata di veicolare un ulteriore cinico ingrediente in queste mille sfumature di niente. Che fin qui hanno contraddistinto il perimetro repubblicano, riformista e progressista.

Confidence building, avrebbe dovuto essere l'incipit del percorso con l'elettorato di riferimento; anziché, come è avvenuto e avverrà fino alla consumazione di questa campagna (che, facendo il verso a Mina, ci fà dire “ma cos'è questa robina qua…”), il pedissequo allineamento agli standards comunicativi della polarizzazione.

A ben vedere (e ci accuseranno di qualunquismo) le traiettorie di porsi nei rapporti con il cittadino elettore appaiono (forse anche per effetto di un impianto di regole elettorali scombiccherate o, forse, appositamente introdotte allo scopo) sovrapponibili: campi tracciati a dispetto dell'assenza di omogeneità d'intenti e per mero rastrellamento del massimo consenso e, soprattutto, totale volontà di avere le mani libere per il dopo elezioni.

Parafrasando Fouché, “peggio di un crimine è (questo) errore politico” e ovviamente volendo premettere da parte nostra, il riferimento alle responsabilità del campo di idee in cui, sia pure con molti tormenti, ci riconosciamo.

Campo “a geometria variabile”, sagomato ad libitum dell'oligarchia di una “ditta”, che manca di know how per un progetto strategico e di una costituency per perseguirlo, ma mantiene l'arrogante pretesa di dare le carte e, sotto il ricatto del voto utile, pretende convergenze e voti….a gratis o, se si vuole, sulla fiducia della parola.

Meglio di non ha analizzato ieri l'editorialista Domenico Cacopardo, che riprendiamo:

Il Pd ha scelto di mettersi in moto per una competizione a perdere, rompendo con le uniche alleanze che gli avrebbero aperto le aree moderate occorrenti a qualsiasi maggioranza?

Perché così si giocano i loro voti, il consenso delle loro clientele per avere la loro parte di potere, minuscola, ma loro.»

E questa di fondo è stata l'idea che ha diretto i vertici del Pd con Bersani, Zingaretti e Letta: mantenere il proprio orto, portare a casa i benefici che produce, e andare avanti contando sulla pochezza e sugli errori altrui. L'unico leader contro corrente, che aveva messo il Pd nel grande e vero gioco, Renzi, doveva essere ammazzato e reietto.

l'accoppiata Calenda-Renzi che, in qualche modo e molto per convenienza reciproca, ha adottato una linea di riformismo moderato che può far comodo al destra-centro per il caso non remoto di dissensi insanabili al suo interno.

Il grande tracciatore di campi nel cartello ha incluso, oltre al proprio partito, partners assortiti, escludendo, senza spiegazioni che non siano lo speech raffazzonato, altri segmenti che avrebbero arricchito il progetto politico e l'apporto elettorale complessivo.

Letta dovrebbe spiegare la o le ragioni per cui in Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta il PD ha fatto (l'alleanza democratica per l'autonomia) ciò che ha rifiutat0 a livello nazionale in direzione di una coalizione ampia anche con Azione e Italia Viva. Così come dovrebbe, sempre che volesse, convincerci a votare il campo di cui è massima espressione, chiarire o prendere le distanze, sia pure sul filo di lana del traguardo, dai picchi di cinismo che è diventato quella sorta di federalismo elettorale che è la mobilitazione dei governatori dem del Sud Italia. Il pugliese Emiliano: “acchiappiamo voti e poi si vedrà”

L'indicazione di voto non è né nei nostri compiti né, a voler essere franchi, nelle nostre ansie. Né ci sgomenterebbe l'eventuale rimando a De André (“la gente dà buoni consigli quando non può più dare cattivo esempio”)

Finisce qui la chiosa delle indicazioni di Venturelli e di Gigliotti; il cui merito prima di tutto è di essere una analisi razionale.

La Comunità (termine che si richiama alla grammatica olivettiana) ha costituito in questi anni il perimetro di convergenza per gran parte dei militanti socialisti “senza tessera” (come si diceva un tempo), per alcuni che erano portatori di militanza con tessera (del PSI), per altri cui il termine “militanza” andava stretto, pur condividendo larga parte della grammatica del socialismo laburista, liberale e riformista.

Una chiosa, questa, propedeutica a rendere meglio intellegibile il pronunciamento, appunto, della Comunità (che coinvolge anche il PSI, appena uscito dal congresso nazionale e dall'opzione dell'alleanza elettorale col PD). Non si sa se tutti i compagni vinceranno l'impulso a punire la tracotanza dem e l'assenza di un ben definito progetto per il futuro.

Al di là di un severo giudizio sull'assenza di visione strategica da parte del centrosinistra, appare fecondo l'appello “perché all'indomani delle elezioni riprendano a lavorare, ad ogni livello, per la costruzione di un partito socialista, all'altezza di affrontare le gravi situazioni sociali ed ambientali in essere”.

Resta da ultimissima una questione di opportunità legata alla rappresentanza degli interessi territoriali. Per tre Legislature la provincia è stata ben rappresentata da Luciano Pizzetti (per due anche da Fontana). Non entriamo nel merito dei meccanismi interni al PD, in materia di deroghe. Vero è che nella scelta dei candidati si dovrebbe anche (o soprattutto) tener conto dell'excursus. Il modo con cui il deputato uscente è stato escluso è rivelatore di una caduta di etica nel rapporto con la cittadinanza e, se è permesso, di stile.

Sicuramente, se l'intenzione fosse di opzionare un profilo eccellente (Cottarelli) per sostituire l'uscente (soprattutto, nella rappresentanza del territorio), la cosa sarebbe apprezzabile. Perché, al di là dei voli pindarici dell'alta, si fa per dire, politica appare prevalente la continuità dell'impegno a rappresentare efficacemente (come ha fatto Pizzetti) il territorio. Sarebbe importante che il candidato di impronta riformista convincesse anche i socialisti. Nel suo, più che nel loro, interesse di ridurre i molti danni.

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