La interpretazione congrua, oseremmo definire, virtuosa del responso dell'election day del 3 e 4 ottobre (che ha avuto in pancia oltre mille Comuni, due seggi parlamentari e una Regione, la mettiamo in grembo a Giove. Perché, se ci irrita l'abitudine o la pretesa di auto attribuzione della vittoria (anche a dispetto delle evidenze implacabili), non ci sfugge la difficoltà ad incanalare a sintesi, data a promiscuità degli addendi e l'insondabilità di un panorama politico in cui quasi nulla corrisponde alle esternazioni, il saldo e la tendenza di una tornata, che risuona un po' come la recall election. Non tanto per i consessi appena muniti di viatico di rappresentanza, bensì del mandato di quelli in carica; nei confronti dei quali dovrebbe agire quella sorta di delegittimazione scaturente dal fervore interpretativo dei risultati.
Francamente diciamolo, è quasi sempre stato cosi, in un passato in cui non c'è mai stata separatezza di analisi e di azione politica tra i diversi contesti sottoposti a test elettorale.
Le tornate amministrative servivano e, da quel che si desume, ad interferire nella vita legislativa e nella formazione di assunti congrui a visioni più vaste.
Per quanto questa visione (da vasi comunicanti, prodotto di una partitocrazia pervasiva) si sia consolidata fino a diventare una costante anche degli scenari correnti, una riflessione andrebbe fatta, anche a beneficio di una virtuosa riforma della cultura politica istituzionale.
Esaurita la premessa, non ci faremo tirare per i capelli dall'ansia di partecipare anche noi allo sforzo di decifrare un verdetto di valenza nazionale.
Ma, restando nell'alveo della promiscuità delle deduzioni sulle tendenze del consenso in essere nei vari livelli istituzionali, possiamo azzardare che un profilo scolpito ed univoco da griffare come dato incontrovertibile delle urne del 3 e 4 ottobre e come base su cui costruire sguardi più alti e lunghi appare esercizio poco fecondo.
Soprattutto, considerando l'estrema mobilità di scenari e cicli che si succedono a velocità supersonica.
Indubbiamente, se volessimo parzialmente manomettere l'idiosincrasia appena dichiarata, non sarebbe temerario affermare che il dato generale inverte in qualche misura la tendenza (favorevole al combinato del populismo e del sovranismo) delineata dai precedenti responsi.
Per fortuna nostra e dei depositari dei destini politici importanti, il proseguo degli eventi politici ed istituzionali non dipendono né da questi nostri sforzi ermeneutici né dalla sfera di azione in cui opera la nostra testata (imperniata sui contesti locali).
Passeremo, quindi, lestamente ad un campo di analisi e riflessioni congegnale al nostro target. Per quanto anche l'approfondimento delle dinamiche elettorali sottostanti ad eventuali deduzioni sintetiche non costituisca esattamente, come si suol dire, una sine cura.
Una circospezione questa, dettata da un certo ancoraggio al pensiero critico e, soprattutto, dalla mancanza di movente per una lettura ad usum delphini.
Diciamo pure che la cifra identificativa del dato scaturente dalle urne dei tredici Comuni sottoposti a rinnovo del mandato elettivo risulterebbe inficiata dalla promiscuità del rango dei medesimi e dalla difficoltà di reductium ad unum del messaggio eventualmente intellegibile ai fini di una sintesi politica.
Gran parte di essi, infatti, avevano alle spalle esperienze gestionali contraddistinte dalla cifra, ricorrente anche se non esattamente rigorosa, del “civismo”. Un profilo identificativo che molto spesso copre una primaria esigenza di sviamento delle reali intenzioni.
Ci pare di poter dire che, se proprio si volesse tentare una lettura “politica” della cifra del responso dell'election day territoriale, sarebbe difficile non ammettere che, con tutte le cautele del caso, il responso sia stato favorevole al campo del centro-destra e del senior partner di esso, che la Lega salviniana.
La conclusione pertiene in particolare i tre Comuni maggiori (Rivolta d'Adda, Spino d'Adda, Pizzighettone). In cui, a parte Spino dove il centro-sinistra ha mantenuto per il rotto della cuffia il diritto alla continuità di governo, appare incontrovertibile la prevalenza del centro-destra.
Una tendenza questa riverberata, per quanto sia difficile l'etichettatura politica dei profili locali, anche negli altri Comuni minori.
Se si vuole azzardare un'analisi attendibile della cifra di questo responso di senso comune al variegato scenario, bisognerebbe partire da un enigma. Vale a dire la ragione per cui un territorio, come quello provinciale, da sempre un po' grossolanamente marchiato come “rosso”, si stia facendo risucchiare in un manifesto percorso di omologazione nel segno prevalente in Lombardia. Usciamo da un quarto di millennio contraddistinto da un pervicace rapporto di periferizzazione territoriale e di marginalizzazione dai processi strategici. Soprattutto, abbiamo ancora vivo nella carne la conseguenza di una sciagurata politica sanitaria orientata da una polarizzazione/aziendalizzazione che ha spianato la sanità pubblica.
In qualsiasi scampolo di cultura liberaldemocratica si attiverebbero i meccanismi dell'alternanza.
Le urne del 3 e 4 ottobre, se sono desumibili dal responso mediato delle urne dei tredici Comuni, dicono che no, che al territorio cremonese le cose vanno bene così. E che anzi necesse rafforzare il consenso al centro-destra.
Entrando un po' più nei particolari, si potrebbe anche scorporare da un'analisi astratta anche qualche specificità. A Rivolta d'Adda, ad esempio, come la nostra testata è andata sostenendo per almeno un anno, l'area civica di centro-sinistra la sconfitta, con un'ottusa ed arrogante autoreferenzialità.
Diversamente può essere definito il contesto di Pizzighettone.
Che riconduciamo ad approfondimento e riflessione, dettato da da rigore, che non è frutto di autocritica postuma e di circostanza; ma soprattutto con cognizione e consapevolezza delle controindicazioni presenti sulle sponde dell'Adda. Dove si è "consumato" (non proditoriamente né cinicamente) un gesto ispirato da etica comunitaria, da fiducia verso i Lumi, da speranza verso la capacità resipiscente del corpo (elettorale, s'intende). Nonostante tutte le evidenze, non si sa se più per deficit cognitivo del portatore di causa o per i limiti esplicativi e didascalici in gran parte discendenti da una impossible mission, del player, ha vinto la (senza intenti offensivi) ottusità. Una nomenklatura che ha asfaltato una fondazione caritativa durata due secoli, che non ha realizzato niente di concreto (in aggiunta ad una bulimica comunicazione favorita plasticamente dal "giornale dei cremonesi " e fatta esclusivamente di promesse sulla parola e di inaugurazioni di intenzioni) ha convinto il depositario del mandato. Il buondio ci seccasse le labbra se pronunciassimo "ha vinto il migliore". Quanto al concorso nella vittoria dei "moderati", non si può non argomentare che l'impianto della lista prevalente (per quanto comprendente qualche valletto compiacente per non dire servile) era manifestamente di destra. È infatti della peggior destra fasciorazzista la Lega trainante e, si suppone, l'inclusione di Forza Nuova. Presenze queste che evidentemente non hanno messo a disagio i due segmenti centristi locali. Uno dei quali, L'UDC, quando c'è il voto politico, deve, per contare i propri voti, tagliare una mano e dell'altra tagliare due o tre dita. Per farli stare sulla mano. Quanto a FI, non si può non prendere atto della totale aderenza, in contrasto con lo spacciato profilo "moderato", al consolidato marchio sovranista, ribadito dal Capitano. Espressione nazionale dell'aggregato europeo ispirato da Orban. Ad applaudire e riverire il leader maximo, ci sono stati sulle sponde dell'Adda il parlamentare (più "celeste" che azzurro) europeo ed il front man ciellino di Cremona. D'altro lato, questi "moderati" non avevano avvertito il minimo imbarazzo quando due anni fa il Sindaco leghista si era opposto alla demussolinizzazione della persistente cittadinanza onoraria (in omaggio non già a discutibili criteri di opportunità toponomastica, bensì al convincimento che l'onorario cittadino "qualcosa di buono aveva fatto").
A Pizzighettone si è tentata una risposta di elevato spessore civico, come gesto di consapevolezza delle criticità sistemiche da un quarto di secolo attanagliano una comunità in caduta libera.
Saremmo omissivi se non facessimo neanche un cenno ai limiti del nostro campo ideale.
Il centrosinistra ed il PD in particolare, sempre più in affanno per l'inconsistenza associativa e mobilitativa, per il basso rating di buona amministrazione e, quando come nel caso della Regione è minoritario, di capacità nel ruolo alternativo, non possono non avvertire l'urgenza di una forte consapevolezza di un ruolo prossimo alla marginalità.
Prima che sia pronunciato uno sfiduciamento formale, appare opportuno che, da un lato, alcune sale regia vengano poste nella condizione di non nuocere e, dall'altro, le risorse genuinamente interpreti delle ansie di buona amministrazione locale e di saldo ancoraggio ai canoni riformisti faccia un endorsement non equivocabile e dal piglio "vertical". Tale comunque da non consentire neghittosità nei confronti dell'interpretazione dei contesti e delle misure conseguenti e coerenti e da scoraggiare alibi per l'immediato e per il futuro.