L'ECOEVENTI Un successo la presentazione di ‘HO IMPARATÒ di Enrico Letta al Teatro Filo di Cremona
Si è svolta, nella location prestigiosa del teatro-bomboniera di Piazza Filodrammatici ed in una cornice di pubblico numeroso, qualificato ed attento (nelle prime file, un parterre dei roi, in cui figuravano il deputato pd Luciano Pizzetti, il presidente della Provincia Davide Viola, il Sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, il presidente del sodalizio Giorgio Mantovani) l'annunciata presentazione del saggio, intitolato “ho IMPARATO”, di Enrico Letta.
Un lavoro editoriale che, non foss'altro per il traino esercitato da una dilagante sovra-esposizione mediatica costantemente alla ricerca del sangue e degli scoop, di cui si pasce la politica, si è posto, ma con ben altro stile, sotto i riflettori di un complesso di attenzioni. Che vanno, come nel caso dei partecipanti alla conferenza di qualche sera fa, alla ricerca di elementi di riflessione indotti da un saggio ben congeniato ed ispirato dall'intento edificante di ragionare, al di fuori di qualsiasi appeal dedotto dal generale clima ammiccante al talk show rissaiolo.
Diciamo subito che nella conferenza, indubbiamente trainata dalla partecipazione di un protagonista della vita politico-istituzionale di primo livello, sin dalla presentazione del giovane collaboratore cremonese Michele Bellini, è prevalsa, e di ciò non si può non compiacersene, la motivazione dell'approfondire il profilo del personaggio ospite, delle vicende politiche dell'ultimo quinquennio, delle prospettive di un suo ritorno al ruolo di civil servant nei contesti nazionali.
Ad Enrico Letta ci accomuna solo il nome (come si diceva un tempo) di battesimo e quasi nulla altro, se non un una vaghissima appartenenza al medesimo bacino politico.
Il protagonista della serata al Filo appartiene, infatti, ad un archetipo di pensiero e di testimonianza attiva, che, se non proprio ai nostri antipodi, indubbiamente non ci ha mai intrigato; a partire dalla sua appartenenza alla scuderia di un cattolicesimo democratico, responsabile (o volendo attenuare, corresponsabile), ai nostri occhi, dei testa-coda nei percorsi riformisti della sinistra moderata.
Lo conosciamo, per ragioni generazionali, poco e/o indirettamente. Ma conosciamo benissimo le sue ascendenze. Che, ripetiamo, non rientrano nel nostro radar. Ciò premesso, non abbiamo difficoltà alcuna a qualificare il personaggio come esponente di quella sinistra moderata e riformista e, soprattutto, plurale, di cui l'Italia e l'Europa avrebbero bisogno.
E non certamente in dipendenza della scelta che, nelle ultime settimane, ha compiuto, in sintonia con il suo indiscusso mentore Romano Prodi, di “avvicinare la tenda al PD”, anzi di rientrare nel PD. Sulla stregua della riapertura dei giochi, osiamo sperare, dialettici e non, come si potrebbe paventare, di una liaison con un potenziale nemico (alias Zingaretti) del suo nemico (Renzi).
Il rientro, si può azzardare a pieno titolo, nell'alveo del partito fondato da Veltroni (ma molto ispirato dal premier dell'epoca Prodi) ricolloca in un centro-sinistra, quasi definitivamente de-renzizzato, ma significativamente ammaccato e molto confuso, il segmento della scuola della ex sinistra democristiana, che con il suo leader Andreatta, maestro di Enrico Letta, ebbe un ruolo fondamentale negli snodi dello sconquasso dalla Prima Repubblica, verso la stabilizzazione e gli assetti della Seconda.
L'attuale direttore di Sciences Po, il prestigiosissimo ateneo parigino di cui dirige la scuola di affari internazionali ed a cui è approdato dopo aver lasciato, unitamente alla presidenza del Consiglio dei Ministri e, rara avis, anche il seggio parlamentare, se ha ribadito l'opzione di rientrare nei ranghi del PD, almeno si suppone come iscritto, ha altrettanto chiaramente escluso di potere rientrare anche nella nomenklatura e nei giochi di vertice.
Cosi ha più volte affermato ripetutamente nel corso del tour di presentazione della sua fatica editoriale in tutta Italia e ribadito anche alla precisa domanda posta dal suo discussant.
Paolo Gualandris, interpretando l'aspettativa dei potenziali lettori del saggio e dei numerosi partecipanti alla conviviale, infatti, gli ha posto una non equivocabile domanda, che ha ricevuto una risposta educata ma ferma, circa il rientro nella politica attiva e militante.
Si potrebbe azzardare che si è in presenza di un annuncio di passaggio dal gesto traumatico del commiato, seguito alla raggirata rassicurazione del “stai sereno”, all'auto-collocazione in una sorta di riserva suscettibile di racchiudere gli idealismi e le intelligenza. Di cui sembra difettare l'attuale PD e senza della quale difficilmente uscirà dalle secche.
In questo senso, la risposta dell'autore del saggio, al di là dell'eventuale delusione di chi lo vorrebbe tornare in sella per riprendere la tenzone nell'agone politico ed istituzionale, è tutto sommato una buona notizia.
La sua figura, di uno dei massimi esponenti del ciclo, detto grossolanamente, catto-comunista, non svolgerà su chi scrive un gran ché di appealing per comuni testimonianze dentro il campo del centro-sinistra; ma sicuramente costituisce, si ripete, un'importante risorsa.
D'altro lato, che Enrico Letta continui a rappresentare un ineludibile riferimento nella ricerca di un baricentro dell'area politica riformista lo si evince sia dallo scambio con il vice-direttore de La Provincia che da una allenta lettura del saggio.
Già l'affermazione incipitaria “Ho imparato” costituisce un viatico per comprendere che, diversamente della new wave fatta di assertività e di autoreferenza, ci sono ancora dei profili pubblici che sanno trarre insegnamenti dalle vicende che hanno vissuto.
Girata la pagina che l'aveva proiettato ai vertici delle istituzioni, Letta sostiene la necessità di cambiare direzione, elaborando idee e lanciando proposte concrete. Nell'intento di interrompere una sequenza fatta di errori e illusioni, tra sovranismi e rottamazioni, che ha portato a un'Italia sempre più ripiegata su se stessa. È necessario invertire tale sequenza per poter affrontare le sfide delle migrazione, del declino economico e culturale, della sostenibilità ambientale, del ritorno dell'Italia come protagonista di una nuova Europa.
Il resto più particolareggiato lo si scoprirà leggendo il libro.
Vorremmo concludere questa breve cronaca della conferenza, iniziata con l'Inno alla gioia e l'Inno di Mameli eseguito dal Coro Ponchielli Vertova, diretto da Patrizia Bernelich, esternando un senso di compiacimento, quasi di appagamento verso un evento ben congegnato, all'insegna di un requisito che sembra scomparso dagli orizzonti contemporanei. Quello della tensione civile e culturale coniugato con la moderazione ed il rispetto.
Su questa linea di proposta di confronti destinata ad alzare la soglia dell'interesse culturale e politico, facciamo, in chiusura, il preannuncio di una serata, organizzata da Filo-libri e La Provincia, che vedrà come protagonisti un libro (“Un'altra strada”) ed il suo autore (Matteo Renzi).