La comunità socialista ha condiviso sin dall'inizio il percorso finalizzato alla costituzione dell'Area omogenea del cremasco: a cominciare dalla fase di adozione delle delibere dei Consigli Comunali, inviate unitariamente, nel 2015, alla Amministrazione Provinciale, per gli atti conseguenti.
Nel 2016, apprezzammo altresì l'impegno della Provincia a sottoporre l'istanza alla assemblea dei sindaci di Cremona, per il formale riconoscimento politico – amministrativo dell'ambito territoriale cremasco, nonché l'auspicio a voler replicare il raggiungimento dello stesso obiettivo anche tra i Comuni del cremonese e del casalasco.
Negli anni trascorsi abbiamo più volte ricordato le promesse citate, per cui salutiamo con piacere il favorevole esito della riunione dei Sindaci dello scorso 26 aprile, anche se disinvoltamente manifestato senza spiegarne adeguatamente le cause del ritardo, né tantomeno le motivazioni perché nelle altre realtà territoriali, il tema non è stato per nulla dibattuto.
L'applicazione dell'articolo 9 dello Statuto della Provincia, pare insomma interessi solo al Cremasco, molto meno agli amministratori ed ai politici degli altri ambiti provinciali, con pari caratteristiche geografiche, storiche, culturali, sociali ed economiche.
Come se l'articolazione territoriale esistente, entro cui promuovere lo svolgimento delle funzioni fondamentali della Provincia, nonché l'attuazione del processo di aggregazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, fosse già di livello ottimale.
I Comuni del Cremasco, grazie alla determinazione della nuova giunta della loro Area omogenea, dopo sette anni di attesa, possono ritenersi soddisfatti del raggiunto presupposto politico ed amministrativo, ora da perfezionare e sviluppare con deleghe specifiche, già definite nella Legge 56/2014, in accordo con la Provincia stessa e la Regione.
Non altrettanto, oggettivamente, possono dirsi i fautori della politica provinciale, evidentemente sfasata e priva di una strategia generale convincente, incapace di vincere le autoreferenzialità e l'immobilismo ancora persistenti, cause principali del zoppicante e differenziato assetto territoriale.
“Vedrò Singapore?” …sospirava Piero Chiara (uno scrittore significativo scomparso da tempo e, ingiustamente, inghiottito nell'oblio di un implacabile aggregato di critica e di lettori) nel suo ultimo romanzo pubblicato nel 1981.
Vedremo, noi comuni mortali, un solido approdo dell'ineludibile (a meno che non si scommetta sull'ulteriore avvitamento della spirale senza ritorno in capo allo sfibramento della rete istituzionale sub statale) imperativo di un reinventing government.
Su questo versante tematico abbiamo ben poco da rimproverarci, in termini di intensità, continuità e (se è consentito uno slancio di autostima)competenza, se pensiamo all'attenzione che insieme a Virginio Venturelli, coordinatore della Comunità Socialista, e a Antonio Grassi, per un significativo periodo opinionista dell'Eco e, cosa molto più importante, player tra i più accreditati del ring in cui si gioca la partita di coloro che non rinunciano a dare risposte al palpabile declino della rete istituzionale periferica. Qualche tempo fa, scrivevamo, nella speranza di esorcizzare, “l'empasse della questione territoriale …ovvero esercizio di freudiana onirocritica…”, che, mettevamo le mani avanti (di fronte ad un profilo pernicioso per la complessità dell'intero affaire) potrebbe costituire l'alternativa alla vecchia postura portata a scavallare, appunto, l'empasse agitando l'evergreen campanilistico.
Non v'è chi non veda né l'inutilità né la dannosità sia dell'interpretazione dei sogni sia del rifugio negli speech tanto immaginifici quanto infecondi.
Ebbene, con una inaspettata accelerazione del timing della mission, attraverso la riprofilatura del deposito delle analisi e delle precedenti narrazioni, e una virtuosa rimodulazione del progetto concreto, la carovana si è messa in movimento.
E con essa (la pratica Area Omogenea del Cremasco) si è messa in movimento un più vasta visuale che ha esteso le consapevolezze, del testimoniare e dell'agire, all'intera partita della sofferenza in cui versa la rete istituzionale territoriale. Di cui, tanto per essere chiari, hanno responsabilità inequivocabili sia i rigurgiti centralisti in capo all'ordinamento statale e a quello regionale (manifestati, tanto per essere incisivi, con la sostanziale soppressione dell'ente intermedio provinciale e con un forzato accorpamento da vasta area delle Camere di Commercio) sia il graduale scivolamento delle istanze periferiche dei movimenti politici e dei cosiddetti corpi sociali intermedi ad un sostanziale non ritorno nell'autonomia della rappresentanza degli interessi originari.
Il positivo epilogo della vicenda dell'Area Omogenea (tenuto in sospeso immotivatamente se non per effetto certificato di un ceto politico in giudicabile) riapre la strada delle consapevolezze dell'autonomia territoriale, ma anche di un combinato con una riflessione più vasta che (non foss'altro che per il previsto rinnovo del Consiglio Provinciale) posiziona l'attenzione in visuali più vaste. Che sono: la totale ridefinizione (ambiti, funzioni, risorse) della Provincia ed il collegamento con l'unità di misura dell'amministrazione periferica, rappresentata dai Comuni e dall'aggregazione dei Comuni. La Comunità Socialista Cremasca e Antonio Grassi, in ruoli e stili diversificati, hanno il merito di aver costantemente messo a nudo un irrisolta questione. Fatta, da un po' di tempo fatta riemergere dall'acutizzazione della non più sostenibile condizione della frammentazione della rete comunale. Di cui abbiamo più volte parlato come Comunità Socialista e Eco del Popolo.
Sull'assetto e sulla configurazione della nostra Provincia, restano tutt'altro che fuori luogo i confronti sulle aspettative esistenti dalle diversificate realtà che la compongono.
Ci scriveva qualche giorno fa Giuseppe Azzoni (con un riconosciuto excursus nella vita politica ed istituzionale locale) “è davvero meritorio che "l'Eco del popolo" valorizzi e sostenga gli esempi positivi di processi per l'unificazione di Comuni nella nostra provincia (che ha più di cento Municipi a fronte di una popolazione piuttosto limitata). Lo definirei un processo indispensabile perché certi Comuni solo aggregandosi potranno affrontare esigenze e problemi che oggi si impongono. Problemi magari ieri trascurabili oggi importantissimi. I nostri amministratori li conoscono: dalla possibilità di dotarsi di risorse umane e tecnologiche a certi servizi di tipo nuovo alle questioni relative all'ambiente, all'energia, al territorio.
Le diverse forme di collaborazione tra Comuni, che pure esistono e vengono praticate, spesso si rivelano non più adeguate alla nuova dimensione di queste problematiche e anche non facili da gestire con continuità tra Amministrazioni diverse che si alternano nel tempo. La nascita, per aggregazione, di Comuni più robusti, dotati, stabili nel tempo appare perciò una esigenza da mandare avanti con tempestività e determinazione nell'interesse delle nostre comunità”.
Poi, con un moto di resipiscenza, la politica locale (soprattutto, per merito del “popolo degli amministratori comunali”, il vero valore aggiunto della comunità territoriale) ha avuto uno scatto di reni ed ha prodotto il risultato di un “modello da esportare” (definizione di Luciano Pizzetti):”La costituzione dell'area omogenea cremasca è un fatto di estrema positività.da esponenti politici di primo piano del territorio provinciale, tra i quali Cresce il numero di quanti auspicano che il modello organizzativo cremasco venga esportato in altri territori, consentendo alle amministrazioni locali di aggiornare le proprie competenze e giocare un ruolo di primo piano nelle sfide quotidiane della pubblica amministrazione, a partire dalla capacità di fornire adeguati servizi ai cittadini. “
Siccome ne abbiamo appena fatto cenno, diciamo subito, con riserva di tornarci disgiuntamente, che sulla vicenda del ripristino delle Province (senza del quale il concept insito nei recenti approdi progettuali) nulla può essere affidato né all'improvvisazione né al semplicistico ripristino del quo ante.
L'Ente intermedio, diciamolo con franchezza, negli ultimi trent'anni aveva (anche per inadeguatezza del ceto politico e del ceto burocratico) esalato l'ultimo respiro, in termini di capacità di collegamento alla rete territoriale.
Il ministro Calderoli sta lavorando perché si possa riallineare tutto il sistema (elettorale nel 2024), scrive la stampa nazionale, dando fiato al ministro leghista: “C'è la volontà di ritornare all'elezione diretta del Presidente della Provincia e di eleggere i consiglieri su liste provinciali con le preferenze. Torniamo agli enti che la riforma Del Rio ha azzoppato, lasciandoli in vita ma stravolgendone il modo di elezione e togliendoli competenze.”
La “riforma” (sic Del Rio) nella migliore delle ipotesi poteva essere definita un gesto da spending review verticale senza capo né coda.
Che sottintendesse un ulteriore impulso di vandalizzazione territoriale è dimostrato dal fatto che le Regioni, anziché regolamentare le residue funzioni le ha incorporate (la Lombardia si è generosamente (sic!) messa sulle spalle l'agricoltura). Rinnovare, in tali condizioni, un organo sfibrato dalla precarietà sarebbe esiziale. La Legge Del Rio va semplicemente rimessa nell'astuccio del denitrifico. La Provincia va ridefinita in omaggio alla consapevolezza dell'importanza centrale di un ruolo di cucitura tra Stato, Regioni e rete comunale. Un ruolo che diventa fondamentale per territori periferizzati e marginalizzati come il nostro.
Non parteciperemo alla riffa del come eleggere il Consiglio Provinciale. Di sicuro, come sostiene sempre Antonio Grassi, l'attuale format affidato ad un corpo elettorale “di secondo livello”, affidato (con criteri discriminanti nei confronti dei piccoli Comuni e della fattispecie dei Consiglieri “civici” non omologati alla nomenklatura partitica) ai Consiglieri Comunali.
Forse può essere prematura, ma non ci dispiace l'idea di un sistema misto in cui abbiano un ruolo paritario il suffragio universale e quello di “secondo livello” degli eletti comunali.
D'altro lato, tale approccio diventa coerente con la guideline di tutta l'elaborazione accumulata nelle ultime settimane di dibattito intenso e fecondo. In cui qualcuno ha dato, ammesso che fosse possibile, il peggio di sé. Rispetto a ciò ci sentiamo nell'obbligo di affermare, sia pure a posteriori, che. Il Cremasco non è un "problema" per Cremona. Sarebbe, bensì, una "risorsa". Ovviamente, "se” …e, a pioggia, tanti sospensivi. I primi dei quali sono. 1) i superiori livelli di governo considerano l'intero territorio una marginalità da trascurare e, quando possibile, da cannibalizzare 2) "Cremona" (nell'immaginario dei portatori, sani, di campanilistiche recriminazioni, più o meno consapevolmente mirate) è un (anzi, il) problema. Priva, come si sta rivelando dall'inizio della seconda repubblica in poi di una visione strategica. Di sé e di sé, come capoluogo. Più di 30 anni, se stai sulle sponde ad aspettare il transito sul pelo della corrente di qualsiasi trascinamento e, soprattutto, se pratichi gli ozi inoperosi del governismo come pratica di potere, passano senza che ne s'accorga anche se l'indotto produce distorsioni irreversibili.
In ciò la “periferia” sta dimostrando un rango di maggiore dedizione e consapevolezza. Su una questione nodale (come avrebbe potuto essere lo strabismo di essere al di qua dei confini, pur guardando oltre) i Sindaci di Crema e Lodi hanno ribadito la necessità di intensificare i contatti tra le due città. Una collaborazione vantaggiosa per entrambi i territori. La conferma la recente richiesta di Lodi e di alcuni comuni lodigiani di entrare nel Consorzio IT, braccio operativo dell'Area Cremasca.
L'Area Omogenea non va intesa come il passaggio ad una Provincia Crema-Lodi, ma come un organismo che possa migliorare il funzionamento di un territorio che per questioni geografiche e storiche è diviso in tre zone distinti. Non un elemento di divisione, ma di dialogo tra le realtà provinciali”.
Che si vuole di diverso!? D'altro lato, non faticheremo a ricordare il precedente illustre del Comprensorio Casalasco Viadanese (a cavallo tra le Province di Cremona e di Mantova) che diede origine all'ospedale interprovinciale Oglio Po. Ha ragione Pizzetti (una intelligenza che sarebbe utile ripristinare nel pannel della vita istituzionale locale): un “modello da esportare”.
A tutto tondo! Perché ripristina i perni di un ordinamento che si ispira, nel rapporto sinergico tra i Comuni come nella gestione ottimizzata dei servizi, sovraccomunali ma sub provinciali e sub regionali, l'istituto autogestionario. Come furono i Consorzi Intercomunali e le Unità Socio Sanitarie Locali. Di cui c'è evidente traccia nel documento dell'Area Omogenea e dei Sindaci del Comprensorio Cremasco.
Crescerà questa ondata di consapevolezze civiche e di mobilitazione del ceto amministrativo locale, a condizione che ci siano, respingendo comunque qualsiasi auto illusione, l'impulso per allargare lo spazio dell'immaginario, la “nostalgia del presente”, certi momenti bisogna metterli in un punto della mente a cui ricorrere in caso di bisogno), la conoscenza dei “precedenti”.
Nei giorni scorsi rivisitando percorsi esistenziali e professionali, comuni ad un caro amico che ci ha lasciato da poco (Fiorino Bellisario, Vicepresidente della Provincia nel quinquennio 1975-80) ci siamo imbattuti nel dossier Comprensori, pubblicato nella seconda metà del 1976. Non aggiungiamo altro, perché c'era scritto tutto. Riprendiamo l'intero testo, come gesto di servizio per chi vuole informarsi.