Non torno a Pizzighettone dal 22 febbraio e ciò mi sta pesando molto. Attenua il dispiacere l'impulso a far riemergere i ricordi. I ricordi di un'infanzia, adolescenza, gioventù sostanzialmente felici. Ma anche quelli di pagine drammatiche di una comunità di cui non ho mai cessato di sentirmi parte. Il ricordo della falcidia della "spagnola" che, come mi raccontò la mia nonna, fece disastri sulle sponde dell'Adda. Per rendersene conto basta percorrere il viale centrale del cimitero e a metà imboccare a sinistra. Si trovano numerose epigrafi che menzionano i rapiti "dal morbo crudele". È accettabile che, mutatis mutandis, la tragedia si sia ripetuta in modo ancor più virulento un secolo dopo? Quando le vittime predestinate appartengono alla terza, quarta età. Non c'è stata una predeterminazione perversa; ma, indubbiamente, il risultato é cambiato poco per i “nonnini”, come una certa postura comunicativa da Mulino Bianco definisce i componenti dell'esercito della terza e quarta età.
Ebbene, la livella è andata giù pesante sulle rive dell'Adda ed, in particolare, entro le mura di quello che un tempo i pizzighettonesi chiamavano “l'Uspedal”.
Se è vero, come si è appreso dalla stampa, che almeno la metà degli ospiti è trapassata per le conseguenze di un morbo che si è accanito sulle esistenze più fragili e beneficiando delle conseguenze sia di un'impreparazione ormai manifesta per un evento così straordinario sia di linee-guida gestionali su cui, bon gré mal gré, bisognerà riflettere.
In cui rientra l'allucinante esternazione di una dirigente dell'AST, che per motivare il mancato conferimento di presidi di tutela al personale ed agli ospiti, ha qualificato le RSA come delle entità private.
Almeno su questo profilo (anche se la catalogazione può trovare agganci tecnico-amministrativi) sarà necessario che prima o poi il Welfare Lombardo (che integra sia la sanità che il socio-assistenziale ) chiarisca se il comparto dell'assistenza della terza età (che nel nostro territorio conta ben 25 strutture con migliaia di degenti ed altrettanti operatori medici, paramedici, ausiliari) si ritenga, al di là del format istituzionale, una branca pubblica e non figlio di un dio minore.
La riflessione ha un senso se si ricorda il proponimento maturato nella fase acuta della pandemia; secondo cui “dopo tutto dovrà cambiare!”.
Di cui (passato lo giorno, gabbato lo santo!) non esistono tracce significative nella volontà e nei propositi nell'establishment regionale (peraltro alle prese con una generalizzata chiamata di correità per colpevoli comportamenti suscettibili di aver amplificato le dinamiche della contagiosità e dell'ecatombe di vite tra i degenti e gli operatori).
Le RSA, alcune delle quali costituite veramente in azienda privata mirante al lucro, sono diventate, durante la pandemia, l'estrema periferia delle attenzioni comunitarie e, ad un tempo, una lateralità sui cui spalmare le criticità di una situazione che, agli occhi della sala regia regionale, non presentava opzioni alternative.
Non sarebbe inappropriato, considerati l'alta densità di case di riposo sul nostro territorio, le infauste e tuttora percepibili code del coronavirus, la non improbabile riaccensione della pandemia, rimodulare nel loro complesso le politiche socio assistenziali riservate alla terza età. Il modulo dell'ultimo quarto di secolo per fronteggiare le prolungate aspettative di vita non ha guardato molto oltre la soluzione “facilior” dell'istituzionalizzazione, vale a dire a qualcosa che, nel migliore dei casi, poco si discosta, nonostante la buona volontà del management gestionale e sociosanitario, dall'allettamento statico. Peraltro, praticato, come insegna la dinamica del Covid 19 con la sua scia di decessi (del resto concentrato nelle case di riposo)
Costretti, senza alcuna aspettativa di tornanti resilienti, in accomodation sicuramente migliorate negli standards di accudimento, gli utenti, che, nel nostro territorio invecchiato più della media con l'aggiunta di flussi in entrata da altri territori per effetto di un manifesto dumping delle rette, hanno dovuto scontare anche l'accanimento della pandemia.
Difficilmente le cose potranno-dovranno tornare come prima. Per una ragione etica, che diffida dal continuare a considerare la terza età come una fattispecie socio-generazionale da depositare nelle peggiori condizioni di precarietà nell'anticamera di una morte annunciata.
È bene che, partendo da tale imperativo etico-morale, si incominci (la comunità nel suo complesso, che fin qui ha beneficiato di un encomiabile afflato umanitario e di una incredibile dedizione da parte dei vertici gestionali come degli operatori delle RSA) a percepire la non sostenibilità del modello di questo tipo di assistenza. Perché non più congruente dal punto di vista degli standards civili e perché incapace di preservare in condizioni di tutela. Ma, soprattutto, perché non regge alla prova dei conti.
In questo senso, illuminante è la denuncia dell'Associazione delle RSA, il cui presidente, sen. Walter Montini ha dato prova, in sintonia con gli altri dirigenti, di grande dedizione alla causa.
Buona parte delle strutture è da considerarsi in grande sofferenza e potenzialmente ai limiti se non proprio del default tecnico, di una criticità sistemica.
Alcune di queste situazioni, come la Fondazione Luigi Mazza, si è trovata negli ultimi mesi alle prese con un combinato di problematicità: un quadro gestionale compromesso da tempo, l'indotto devastante della pandemia, il cambio di mandato del Consiglio.
Un combinato che avrebbe dovuto orientare la priorità dell'analisi su un terreno strategico, anziché, come ha ritenuto di fare il Sindaco, su una visione congiunturale.
Dopo un estenuante periodo di proroga del Presidente e del Consiglio uscenti, il Sindaco manifestamente convinto di fornire una soluzione all'insegna dell'ordinarietà ad una situazione in realtà molto complessa e compromessa, decideva di attivare un bando ad evidenza pubblica per l'acquisizione di candidature munite di requisiti congrui all'assunzione di responsabilità nei ranghi dell'amministrazione.
In piena solitudine rispetto sia alle minoranze consiliari sia agli stessi componenti la Giunta Comunale e le aggregazioni politiche che quattro anni fa aveva appoggiato la lista Civica e vinto le elezioni.
Il presupposto di questa alleanza fondava su un patto “civico”, non già su un compromesso tra partiti. Le responsabilità gestionali furono concordate ed assegnate in base alla partnership civica e non alla rappresentanza dei partiti.
Il profilo del Sindaco doveva prescindere dalle intime convinzioni politiche. In realtà egli non ha mai mostrato di voler essere aderente a questo patto.
La vicenda del rinnovo del vertice della Fondazione Mazza ne è la plastica dimostrazione. Di un pervicace disegno di sottomettere a calcoli di parte l'interesse più generale della Fondazione e dell'intera cittadinanza pizzighettonese.
Il bando di evidenza pubblica e la selezione si rivelano in realtà una sorta di ben studiato specchietto per le allodole funzionale al maldestro tentativo di accreditare una procedura apparentemente “trasparente”.
Un abito su misura cucito addosso alla volontà di occupare, al di fuori di ogni visione di pluralismo di idee e di apporti, manu militari l'intera regia della gestione.
D'altro lato, come ben si sa, ci sono entità capaci di fare le pentole, ma non i coperchi.
Infatti, incrociando i profili a precedenti asset di nomine, non è difficile scoprire la piena rispondenza del cliché dei prescelti alla volontà del pieno controllo politico.
Raccapriccianti appaiono inoltre due circostanze: nessuno dei futuri membri del CdA è cittadino pizzighettonese e tutti, per la prima volta, avranno remunerato il proprio ruolo.
Al conferimento di una patente di incapaci ai pizzighettonesi (se non altri a coloro che avevano partecipato al bando) si aggiunge un cambio di passo nella configurazione del profilo fin qui eminentemente volontario e non remunerato degli amministratori dell'Ente.
Da qui in poi, il Mazza, orgoglio di una cittadina coesa nell'afflato umanitario verso i più deboli, sarà retto da un équipe di “professionisti”, privi di qualsiasi diretta e maturata conoscenza della realtà locale e chiamati a rispondere all'investitura diretta del capo dell'Amministrazione Comunale.
La deriva di questa procedura segna immancabilmente una rottura verticale, oltre che nel Consiglio Comunale, anche nell'assetto dell'esecutivo e dei componenti della maggioranza.
La componente di maggioranza “Pizzighettone al Centro”, già Lista Pesenti, ha dichiarato con molta chiarezza il pieno dissenso con questa arrogante autoreferenzialità, impermeabile a qualsiasi sforzo dialettico con le (fondate) ragioni degli altri ed in evidente contrasto con gli interessi della comunità.
Come unica risposta la controparte ha opposto, nella migliore tradizione del dispotismo, la radiazione dei ranghi della Giunta dell'Assessore Melicchio, che aveva rappresentato la ragioni della componente “Pizzighettone al Centro”.
Con tale atto, il Sindaco politicamente e tecnicamente ha decretato il venir meno dell'alleanza sulla base della quale aveva assunto l'incarico.
Coerenza vorrebbe che ne prendesse per intero le conseguenze: dimettendosi e chiamando anticipatamente il corpo elettorale ad esprimersi sulle conseguenze di dissidio non componibile su una questione di rilevante importanza.
Di quanto appena considerato forniamo un'ampia documentazione, affinché l'opinione pubblica acquisisca elementi di conoscenza e di valutazione.