Incipit: territorio
Ci è sembrato trasparente (ai fini di un'inequivocabile definizione della nostra mission editoriale sul focus) e fecondo (dal punto di vista della disponibilità di una serie base di partenza di un confronto che mettesse al proprio centro i veri perni dell'”offerta” di programmi in vista del rinnovo delle Consiliature e dei vertici amministrativi) ispirare l'incipit ad un inquadramento tematico che volesse essere scaturigine di qualsiasi progetto di gestione amministrativa.
A dire il vero, l'argomento, nello storico delle pregresse edizioni, è risultato strabordante nell'economia degli argomenti da focalizzare.
Di tanto in tanto facciamo dissolvenze (nella preoccupazione di splafonare la soglia di attenzione) e, ora alla vigilia di un nodale appuntamento della vita pubblica del territorio, vi torniamo su.
Per essere esaurienti e sinceri, ammettiamo che l'assist ci è venuto una settimana fa dall'editoriale (titolato “tenersi i campanili e guardare al di là”) del direttore Gualandris del quotidiano La Provincia, che sull'argomento aveva già scritto in passato (“il campanile non bussa al condominio Italia”).
Ne è nato un incrocio che, per quanto fosse nelle nostre corde editing tematico, ci ha orientato a farne il segmento trainante di qualsiasi serio approccio programmatico in vista delle elezioni locali.
Andremo per blocchi. Iniziando ora dalla vexata quaestio della frammentazione della rete istituzionale locale, costituita da 113 entità, ormai prossima (sia in termini di mantenimento di un plafond di sostenibilità, sia in termini di possibilità di gestione amministrativa) all'implosione.
Partecipano all'approfondimento Virginio Venturelli, Coordinatore della Comunità Socialista Territoriale, che in questi anni è restato, come si suol dire, sempre sul pezzo; Sandro Gaboardi, con un significativo trascorso di dirigente ACLI e di Vicesindaco di Crema. Abbiamo, altresì interpellato Michel Marchi, personaggio attivo in molte delle iniziative di cittadinanza attiva e soprattutto conosciuto ed apprezzato Sindaco del Comune di Gerre Caprioli, che ha deciso di ricandidarsi per il terzo mandato. E questa è un'eccellente notizia sia per la prosecuzione delle battaglie territoriali sia per la garanzia di continuità della gestione del piccolo Comune alle porte del Capoluogo (tanto alle porte da indurre ormai indefinitamente il fratello maggiore a considerare l'entità contigua una sorta di back yard su cui scaricare le conseguenze delle proprie esigenze urbanistiche e soprattutto dei desiderata della “partecipata” A2a).
I piccoli Comuni e la riforma degli Enti Locali
Nonostante le opportunità e gli incentivi statali disposti, a più riprese in questi ultimi anni, a sostegno dei processi di fusione tra i Comuni, ad oggi complessivamente se ne contano ancora 7901, di cui 5529 sotto i 5000 abitanti e di questi 2005 hanno meno di mille residenti.
L'obbligatorietà dell'esercizio associato delle funzioni comunali, mai peraltro perentoria in quanto prorogata ad ogni scadenza di legge, non ha oggettivamente centrato gli obiettivi auspicati dal legislatore in ordine alla razionalizzazione dei municipi.
Il risparmio delle risorse pubbliche, sostanzialmente ipotizzato dalla soppressione delle piccole comunità, si è rivelato misero e molto controverso, cosi come il gradimento dei cittadini circa la cancellazione dei presidi e delle identità comunali.
Sulla contraddittoria situazione esistente, il Consiglio dei Ministri, nell'agosto del 2023, ha aggiornato le linee guida disciplinanti le forme aggregative tra gli Enti interessati, ignorando tuttavia la sentenza della Corte costituzionale affermante che i Comuni possono sottrarsi all'obbligo delle gestioni associate, previste dalla legge Del Rio.
Il documento governativo, altrettanto gravemente, ha mancato di esprimersi sulle proposte, allora in itinere, ma ora alla base del Disegno di legge Calderoli per l'attuazione delle autonomie differenziate, riguardanti i criteri per l'attribuzione delle competenze alle Regioni, i meccanismi per finanziarle, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Le indicazioni al momento previste, risultano palesemente avventate e da contrastare decisamente, salvo che si avvii una preventiva revisione demografica e territoriale degli ambiti regionali, affinché tutti siano posti nelle condizioni adeguate, per gestire le competenze che vorrebbero trasferite o richieste.
Purtroppo nessuno, con determinazione, ha posto tale l'esigenza di una riforma strutturale che riveda e modifichi le maglie amministrative delle attuali Regioni, unitamente a quelle delle Province, riassegnando alle prime le originarie ed esclusive funzioni legislative, mentre alle seconde tutte quelle strettamente amministrative ed esecutive.
La ridefinizione della cornice appena riassunta, più credibilmente del contesto attuale, sarà determinante anche per riaffrontate tutte le questioni aperte sulla dimensione dei Comuni e delle gestioni aggregate dei servizi, finora trattate separatamente, anziché insieme alla riorganizzazione degli altri Enti Locali.
In questo versante, anziché insistere sugli indirizzi impositivi, le piccole comunità aventi pari storia, reciproci interessi ambientali, sociali ed infrastrutturali, aspettative ed obiettivi omogenei, andranno assecondate nella ricerca di forme organizzative più sussidiarie, che garantiscano a tutte le zone dei territori aderenti, la fruizione di analoghe opportunità.
Al riguardo, emblematica può essere l'esperienza in corso nell'area omogenea cremasca, già riconosciuta dalle istituzioni provinciali e prossima ad esserlo anche negli ambiti regionali.
Il disinteresse delle forze politiche cremonesi a replicare il percorso dei Sindaci cremaschi, anche tra i comuni intorno a Cremona, e quelli del casalasco, stupisce non poco, stante le bocciature intercorse dei progetti di fusione comunale, come di qualche Unione, senza una adeguata visione strategica sovraccomunale.
Marginalità dei piccoli comuni e stagnazione delle attività economiche
L'inverno delle nascite ha steso neve e ghiaccio su tutto il territorio nazionale ed è certamente il motivo principale dello spopolamento dei piccoli comuni, ma non solo.
D'altro canto basta guardare la cerchia dei famigliari ed amici e ci accorgiamo che quasi nessuno dei figli ha prodotto altrettanti nipoti. Con tre figli io ho tre nipoti i mie vicini ne hanno due e uno. Cioè nove figli hanno procreato solo sei bambini.
In un recente passato la diminuzione di abitanti, nei piccoli comuni era in parte attenuato dal ritorno nei luoghi e sovente nelle case natie di quanti si erano allontanati alla ricerca di una occupazione. Avevano così costruito una famiglia a Milano e da pensionati, ancor giovani, tornavano.
Questo fenomeno è quasi scomparso, vuoi perché l'età del pensionamento è aumentata ma pure per la valutazione dei minori servizi che trovi nelle piccole comunità.
Una popolazione anziana è inevitabilmente meno imprenditiva. Ha più limitati progetti di vita ed è meno propensa ad intraprendere iniziative con alti tassi di insuccesso. Buona parte delle imprese artigiane condotte con successo dal titolare per anni non han proseguito l'attività con i figli. Hanno chiuso o venduto l'impresa e tesaurizzato il capitale.
Questi due aspetti, la marginalità dei piccoli comuni, e la stagnazione delle attività economiche sono in parte collegati, ma gli amministratori locali e le agenzie di supporto alle imprese, associazioni di categoria, consorzi, banche locali possono incidere in modo favorevole se agiscono con coordinazione.
In primo luogo favorendo la collaborazione fra i comuni affinché aumentino le dotazioni di servizi scuola sanità, trasporti, aree industriali e commerciali, area di stoccaggio produzione e riciclo dei rifiuti
Non è necessario l'accorpamento dei comuni. Unioni che trovano ostacoli di vario tipo. Serve una mentalità collaborativa per la soluzione dei problemi.
È necessario che il piccolo sia buono e bello.
Una riflessione andrebbe fatta a che sul perché non esista una azienda consortile provinciale per la gestione dei servizi comuni.
L'unica che ha ancora questa funzione è Padania acque. Ignoro se il capitale sia ancora a maggioranza pubblica, tuttavia noto che cerca di essere di supporto ai comuni. Altre imprese simili hanno fra i dirigenti ex amministratori delle ex società pubbliche che hanno trovato una collocazione soddisfacente.
Fortunatamente qualcuno non demorde: per la terza volta Marchi si mette a disposizione della comunità di Gerre de' Caprioli
La (ri)discesa in campo, semplicemente taumaturgica per un comunità numericamente piccola ma consapevole e sostanzialmente coesa, che diversamente, in buona compagnia di molte altre della “stazza”, si troverebbe in difficoltà ad assicurarsi la fisiologica dialettica fornita da diverse “offerte” di lista, consente non solo di sormontare tale pericolo (ormai testato in alcune realtà comunali, finite alla gestione commissariale per assenza di “contendenti” all'investitura, o in procinto di diventarlo, perché ormai si è sempre sul filo del rasoio nell'improba impresa di rimediare per il rotto della cuffia un gruppo di cittadini generosi e volonterosi disponibili a servire la loro comunità), ma, nella fattispecie, si avvarrà del valore aggiunto derivante dalla continuità di un significativo curriculum prestazionale.
Del piccolo Comune rivierasco si può dire che, non solo come giurisdizione amministrativa, ma come entità territoriale, comincia dove finisce il Capoluogo.
Sarebbe stato questo un motivo in più per riconsiderare il progetto di oltre un secolo fa, quando a seguito dell'aggregazione dei Corpi Santi e di Due Miglia, si vagheggiò la “Grande Cremona”, suscettibile (anche per effetto dell'allargamento della giurisdizione sulla sponda piacentina) di incardinare, almeno progettualmente, l'idea di un'entità amministrativa, se non proprio metropolitana, di vasta area sull'asta del Po.
Per un certo periodo restarono sul pezzo anche gli urbanisti del ventennio; ma la buona idea venne lasciata cadere, più per conformistica abitudine a non strizzare troppo il cervello, piuttosto che per pulsioni campanilistiche. Diciamo subito, nel caso di Gerre e di qualche piccola realtà municipale circostante, per campanilismo. Si tratta di un entità ben amministrata nel corso dei decenni; aggiungiamo, con un certo senso di correlazione col capoluogo, con cui, se non altro per il fatto che parecchi residenti lavorano a Cremona ma vivono al Bosco, le sinergie sono sempre state corpose ed evidenti. Quando i cervelli del ceto politico e delle istituzioni locali erano portatori di adeguate dosi di sale, ciò che non potette essere ottimizzato in termini di riscrittura dei confini istituzionali, veniva affrontato e risolto con virtuoso senso di sussidiarietà, nell'interesse della popolazione. In particolare di quella che si trovava a risiedere in un'entità obiettivamente angusta.
In tal modo le problematiche venivano affrontate e le condizioni di partenza venivano ottimizzate con soluzioni ispirate da senso sinergico.
Poi, il rullo compressore del cambio di evo politico (dalla Prima, alla Seconda Repubblica) spianò l'intelaiatura della partecipazione popolare alla vita politica ed istituzionale, riducendone il parterre ad una ristretta casta di players, autoreferenziali e disgiunti da un minimo sindacale di contatto e di percezione con la costituency. Che gli fornisce status e opportunità.
In un contesto del genere, può sembrare strana la sensazione che i movimenti politici (in tempi si diceva “forze politiche”, gradualmente ridefinite per effetto della rarefazione) e i muniti di mandato si preoccupino di riposizionare nel radar il tema della razionalizzazione della rete amministrativa?
Dall'integrazione delle comuni intuizioni di rendere, ad esempio, sinergiche le linee trasportistiche urbane e suburbane (tanto per fare cenno ad un segmento di collaborazione intercomunale del passato), si è passati ad una sinergia, oseremmo dire per accennare ad un tema caldo, ispirata da un senso di cannibalizzare il vicino di struttura più esile. Attraverso una dinamica atta a scaricare sul medesimo localizzazioni impiantistiche che non stanno bene nel proprio back yard. E' il caso dell'impianto Biometano, messo proditoriamente a punto dalla supermuncipalizzata, quotata in borsa e dispensatrice multi servizi, in teoria “partecipata” anche dal Comune di Cremona (anche se in realtà è il Capoluogo ad essere “partecipato2 da A2, in quanto prono a tutte le strategie insediative, e della localizzazione ai confini tra le due entità comunali di quel ben di dio che è la concentrazione di tutti gli insediamenti che a nessuno verrebbe in mente di avere come vicini di casa. Anche in questo, dalle malegiunte Pci-Dc, Cremona rivela un elettroencefalo irreversibilmente piatto. Rinunciando ad essere Capoluogo del territorio provinciale e del territorio circondariale. E non per malevolenza del proprio ceto politico. Ma per decerebrazione, sul piano di un minimo di consapevolezze e di decenza. D'altro lato, ne è avvisaglie che il Comune di Cremona si fa rappresentare il Provincia da un ultraottantenne PD. Con un passato ultradecennale di capo della struttura burocratica, colpevole come gli eletti del default dell'ente intermedio. L'ultimo tentativo di raddrizzare la barca lo fece Davide Viola. Arrivato alla Presidenza per un momento di "disattenzione" della nomenklatura PD.
Archiviata l'ineludibile chiosa sullo stato dell'arte dell'inadeguatezza del ceto politico-istituzionale ad affrontare la riconfigurazione dell'assetto territoriale o quanto meno, come sta facendo il Cremasco, di una minimale messa punto di strumenti di sinergia amministrativa, forniamo qui uno spunto che rivela (diversamente dalla nomenklatura con tripla AAA) la consapevolezza diffusa nel parterre dei soggetti marginalizzati. Ne è consapevole Michel Marchi, che in questi anni oltre ad assicurare un buon rating amministrativo alla sua comunità, ha fatto spaziare il suo impegno oltre gli stretti confini giurisdizionali. Come è il caso del Movimento che si oppone all'invasivo impianto di Biometano.
Sul punto il candidato Sindaco incardina sapientemente consapevolezze capaci di andare ben oltre le fisiologiche problematiche dei piccoli centri.
Risulta necessario lavorare per costruire un sistema Cremona, ovvero un gruppo di comuni (che sia la cintura o anche più poco cambia) che possa lavorare insieme.
Non è una operazione facile, richiede impegno e sacrificio, e non è detto che i risultati si vedano subito. Ma credo che il capoluogo troverebbe beneficio politico e amministrativo in questo lavoro. L'area omogenea cremasca va in questa direzione e credo sia un esempio meritevole.
Gerre è uno dei pochissimi Comuni in provincia di Cremona con tasso demografico positivo, i nuovi nati superano i decessi. Per questo l'Amministrazione deve continuare a lavorare affinché questa stupenda peculiarità non si interrompa, valorizzando quindi i servizi alle famiglie, i servizi scolastici e le opportunità per i più piccoli. Non mancherà certo un forte richiamo alla battaglia che il Comune sta portando avanti per impedire la realizzazione del noto impianto di Biometano in via Bosco, che troverà passaggi importanti proprio a ridosso del voto ma che necessita di essere presidiata con costanza e unità di intenti” si legge in una nota stampa.”
Va, per completezza di informazione, sottolineato, infine, che le giuste consapevolezze e propositi di Marchi discendono, oltre che da un'impronta soggettiva, anche all'esperienza maturata negli anni anche come Presidente dei Piccoli Comuni di Anci Lombardia.
Il rischio: diventare “basilischi”
Messi così titolo e apparato iconografico non servirebbero a niente. Per effetto sia della vetustà del richiamo cinematografico sia per l'abbassamento della perspicacia a triangolare le analogie.
Il richiamo era stato innescato in noi dalla prima visione del film d'esordio della brava Wertmüller, che sessant'anni fa contestualizzò in un tipico paesino di provincia, Minervino Murge, situato tra la Puglia e la Basilicata, il senso di “noia” (e, se non proprio di “noia” nell'accezione tecnica, di insormontabile apatia. Che avviluppa la mente e le posture di tre giovani privilegiati che vivono nel piccolo centro meridionale, ormai troppo intriso di apatia e provincialismo per poter far loro desiderare davvero di spiccare il volo verso mete più stimolanti.
Lo ammettiamo, forse la triangolazione tra quella realtà descritta dal bel lavoro cinematografico (in anni in cui non faceva fine, in contesti da Cassa del Meridione e da imperativi meridionalistici di cui l'aggregato della sinistra era diventato cantore, esternare fuori dal coro) e il nostro scenario padano (in cui, però, si faceva di tutto, ovviamente in aggiunta alla innata intraprendenza della popolazione, per accedere alle provvidenze legislative del “Comuni sottosviluppati”, può risultata tirata. Sicuramente rispetto allo scenario di 60 anni fa; ma può diventare congrua alle attuali dinamiche di marginalizzazione.
Sul piano di una certa condiscendenza ad integrare sia la fattispecie della periferizzazione socioeconomica sia la tendenziale identificazione nel microcosmo cognitivo dei Basilischi.
D'altro lato, il finale dell'opera cinematografica includeva una citazione del meridionalista Giustino Fortunato: «Siamo quelli che la razza, il clima, il luogo, la storia, hanno voluto che fossimo». Lentamente inconsapevolmente stiamo diventando Basilischi anche noi padani. Noi padani del sud. Non tutti i padani! Perché Mantova non è sprofondata nella periferizzazione marginalizzante. Ha una frammentazione municipale, meno accentuata della nostra. Ma, pur non avendo mai costruito un cm di autostrada e tangenziale nè di porto canale, è al centro di tutti gli assi infrastrutturali. I Comuni anche quelli piccoli mantengono una certa vivacità e sono ben lontani dal "consegnare i registri" della sostenibilità. I Consorzi Intercomunali in provincia erano tre. Hanno vissuto la loro vicenda non dico con esuberanza, ma con dignità e consapevolezza operosa. Quello Cremasco in particolare. Poi è arrivata la "ditta" della seconda repubblica. Li ha asfaltati. Ha accettato la cancellazione di fatto della Provincia come ente intermedio (indispensabile per un territorio amministrativamente frammentato come il nostro) e anche della Camera di Commercio. Anche il territorio montano è frammentato. Ma in Trentino regge! Perché c'è la Provincia. Che ha favorito le aggregazioni. E, diversamente da noi (dove si pratica la politica di prelevare dalle aree periferiche e frammentate per dare alle aree metropolitana e pedemontana), investe nel contrasto allo spopolamento. Mantenendo i presidi sanitari e ospedalieri, quelli scolastici. E sovvenzionando la permanenza delle claires alzate (lo sportello bancario anche a ore, lo spaccio alimentare, la posta). Che quando da noi si abbassano, decretano la morte dei piccoli centri. In contrasto con tutte queste evidenze, i corpi intermedi, socioeconomici e politici, non danno segni di consapevolezza. Neanche alla vigilia elettorale. Che dovrebbe essere momento di redde rationem e progetti.
Destino cinico e baro o perfidia di un odioso antagonista? Domanda quasi retorica. Ci sa tanto che c'abbia azzeccato Giustino Fortunato.