Il 50° anniversario della approvazione della legge 300/70 dal titolo: Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, (più conosciuta come dello statuto dei lavoratori) è stata ampiamente ricordato sui mezzi di informazione.
Da più parti si è tuttavia omesso di rammentare, che a favore del provvedimento votarono Dc, Psi, Pri, Psdi e Pli, mentre si astennero Pci, Psiup e Msi.
Che se la Costituzione, come si disse all'epoca, entrò nelle fabbriche, il merito principale lo si deve ai socialisti, al ministro del lavoro Giacomo Brodolini, nonché a Gino Giugni, suo collaboratore nella stesura del testo legislativo.
Che l'innovativo provvedimento fu contestato sia da sinistra che da destra, da partiti e sindacati oggi sul fronte dei più accesi difensori della legge stessa, di questo o quell'articolo normativo.
A distanza di cinquant'anni e in un mondo del lavoro radicalmente cambiato, ancora una volta si manifesta un ritardo propositivo al passo dei tempi.
Diversamente dagli stimoli, ancora oggi attuali, dal pensiero di Riccardo Lombardi, circa:
- la piena occupazione: lavorare meno, ma lavorare tutti; critica serrata quindi alle tendenze corporative del sindacato a difesa della parte più forte dei lavoratori ma a detrimento di quella più debole: sotto-occupati, disoccupati, donne e lavoratori del Sud;
- la partecipazione dello Stato in qualità di proprietario di imprese di interesse nazionale, anche in funzione concorrenziale al settore privato; opposizione ferma, quindi, al liberismo selvaggio tanto sbandierato, anche in tempi recenti, come ricetta più o meno salvifica;
- una diversa cultura e struttura economica per cui risultano ridondanti le moltissime industrie che producono lo stesso articolo con minime sfumature tra un prodotto e l'altro combattendosi a vicenda a colpi di pubblicità e, soprattutto, di bassi salari: meglio sarebbe un numero minore delle stesse che mirassero non solo alla ricerca del sacrosanto giusto profitto, ma anche della qualità, dell'ambiente e dell'interesse collettivo, ove nel collettivo rientrano anche i lavoratori che ne fanno parte;
- un lavoro anche lento ma teso ad una trasformazione culturale per la quale il fine della vita non sia l'accumulazione della ricchezza fine a se stessa, ma un giusto equilibrio tra vita lavorativa, vita affettiva e sviluppo culturale dell'essere umano per una società non “più” ricca, ma “diversamente ricca”.
Gli indirizzi sopra riassunti, sia pure con qualche parziale aggiornamento, sollecitano temi e proposte ancora all'ordine del giorno ovunque, a livello europeo come a quello mondiale.
Alla globalizzazione del capitalismo e della finanza, vanno urgentemente controbilanciate e coordinate azioni sociali univoche da parte di tutti i soggetti politici e sindacali portatori di visioni e prospettive simili.
I socialisti, più di altri, devono rilanciare le loro organizzazioni internazionali ed europee, a sostegno di un nuovo modello di sviluppo della società.
Tale impegno va moltiplicato ancor di più alla luce degli effetti sociali ed economici provocati dalla pandemia da coronavirus, anzi, si impone al pari della salvaguardia dei beni ambientali, già abbondantemente compromessi.
Il futuro delle nuove generazioni dipenderà sempre più dal grado di cooperazione internazionale, e non certo da soluzioni palliative nazionali fini a se stessi.